Fino a qualche anno fa sembravano la soluzione di ogni problema. Il mare è troppo sfruttato e si sta impoverendo? Perchè invece che pescare i pesci selvatici non li alleviamo?
Bello, no? Non servono più prelievi in natura e, molla ancora più efficace, si possono ricominciare a guadagnare dei gran bei soldoni. Soldoni che con il declino drammatico della pesca mondiale sembravano cominciare a venire meno. Dunque via con le grandi “fish farm”, e pure i consumatori più coscienziosi possono continuare a mangiare il pesce senza più il senso di colpa per contribuire a depredare le scarse risorse marine.
Ben presto però, il business dell’allevamento in mare, perchè questo è subito e soprattutto diventato, un grosso affare, ha cominciato a mostrare i suoi lati negativi. Ormai gli esempi si sprecano, e valga fra tutti quelli che qui riporto, reso noto recentemente dal Max Planck Institute.
Il Cile è uno dei massimi produttori mondiali di salmoni di allevamento. Ne esporta, solo verso gli USA, per un valore di oltre due miliardi di dollari. La zona con la massima concentrazione di impianti si trova nell’area, ricca di fiordi, della provincia di Aysen, in Patagonia (provincia che in massima parte, ma non in quella acquatica, è classificata come parco nazionale). Da notare che la gran parte degli allevamenti che invece si trovavano a nord del Cile, hanno recentemente chiuso i battenti a causa dell’ISA (Infectious Salmon Anaemia), un virus che causa anemia nei salmoni (negli allevamenti i salmoni sono concentratissimi, dunque i virus hanno vita facile). A proposito, il salmone allevato è quello altlantico, qui alieno per il Cile, un ulteriore rischio per l'ecosistema naturale che lo "ospita".
In ogni caso, ben presto è stato chiaro in quali modi, purtroppo più di uno, questa concentrazione di allevamenti sta modificando e danneggiando l’ambiente e molti suoi abitanti. Per esempio, Heike Vester, ricercatrice norvegese che studia i leoni marini in quell’area fa notare, con fervore, come i giovani leoni marini restino spesso impigliati nelle reti che circondano gli allevamenti, restando soffocati. Spesso persino quando riescono a liberarsi, si portano con sè pezzi di rete che possono successivamente soffocarli o impedire loro i movimenti.
Questo si aggiunge ad altri negativi effettivi della farm sull’ambiente, purtroppo oramai già ben noti. Gli eccessi di cibo, e i grossi quantitativi di feci prodotte dai salmoni possono essere trasportati via dalle correnti e andare a modificare, alterandone le catene alimentari, le aree limitrofe. Lo stesso dicasi, con effetti ancora peggiori, per l’elevato utilizzo di medicinali e pesticidi che l’elevata concentrazione di salmoni necessariamente richiede.
Come se non bastasse, le misurazioni acustiche effettuate nell’area hanno evidenziato un problema ulteriore. Il rumore prodotto dalle navi che vanno e vengono dagli allevamenti, e dai generatori per la conservazione e la distribuzione del cibo, è costante e di elevata intensità. Questi disturbi sonori possono impedire le comunicazioni fra i mammiferi marini, che possono decidere di abbandonare quell’area. E parliamo di specie a rischio come la balenottera azzurra, (Balaenoptera musculus), la megattera (Megaptera novaeangliae), la balenottera boreale (Balaenoptera borealis), il lagenorinco australe (Lagenorhynchus australis) il cefalorinco eutropia o delfino del Cile (Cephalorhynchus eutropia).
Ancora una volta viene da pensare, con sconforto, come per ragioni di profitto ci si lanci in imprese senza prima studiare i possibili effetti, anche e soprattutto sull’ambiente, di queste attività. Non credo fosse difficile prevedere come gli accumuli di cibo e di rifiuti prodotti da queste strutture avrebbero causato problemi all’ambiente circostante. E lo stesso vale per gli altri “effetti secondari”… Ma almeno possiamo essere contenti perchè gli allevamenti riducono la pressione della pesca sugli ambienti naturali? Mica tanto. Adesso un terzo del pesce pescato nel mondo serve come nutriente per i pesci di allevamento. Un bel autogol, davvero.