martedì 30 ottobre 2012

Appuntamenti di novembre

Questo novembre sarà ricco di incontri.
Ecco dove, se volete, ci possiamo incontrare:

- Sabato 10 novembre, a Bari, alla quarta tappa della Biennale Habitat.
Farò due interventi, entrambi al mattino:
* nel primo presenterò "Jack il delfino e altre storie di mare" a un gruppo di ragazzi delle scuole medie
* nel secondo parlerò del problema, e delle possibili soluzioni, delle catture accidentali di tartarughe marine, in Adriatico

- Venerdì 16 novembre, a Miramare di Rimini
Alle ore 21,00, presso l'Hotel Giorg (Viale Principe di Piemonte, 39):
* conferenza sull'Adriatico "Il mare che non ti aspetti". Organizzata dal Blue Abyss Diving, aperta a tutti, ingresso libero

- Sabato 24 e domenica 25, in Svizzera
due incontri organizzati dalla Swiss Whale Society
* il 24, alle 20,30, presentazione del libro "Jack il delfino e altre storie di mare", presso l'albergo Pestalozzi, a Lugano
* il 25, nel pomeriggio, conferenza, presso la sala di Casa Serodine, ad Ascona.

mercoledì 24 ottobre 2012

Chi uccide i delfini adriatici?

Succedono strane cose in Adriatico. Ultimamente ci sono state segnalazioni di delfini trovati morti, uccisi da colpi di armi da fuoco, o mutilati della coda.
Ne ho parlato in un articolo sul quotidiano La Voce di Romagna di ieri.

Riporto qui il testo dell'articolo:

Killer di delfini in Adriatico? La possibilità che questi cetacei possono ancora essere vittime di uccisioni deliberate esiste tuttora. Lo riferisce un articolo pubblicato da "La Voce del Popolo" di Fiume raccontando la notizia del ritrovamento di un delfino portato dalle correnti sulla battigia della spiaggia Rivarella di Cittanova Si tratta di un esemplare adulto di 2,5 m e di quasi 300 kg di peso. Stando ai segni riscontrati sul corpo, il cetaceo potrebbe essere soffocato in una rete da pesca, una delle comuni passelere usate per la pesca della sogliola, ma ci sono possibilità che l'animale sia anche stato deliberatamente ucciso.
Abbiamo chiesto a Marco Affronte, naturalista studioso della fauna dell'Adriatico, un parere sul caso riferito dal giornale croato. "Purtroppo nell'articolo in questione non si capisce quali segni siano stati riscontrati sul corpo del delfino, tali da far sospettare una morte non naturale. È vero però, come riporta l'articolo stesso, che in autunno ritrovamenti di delfini con evidenti segni di terribili interazioni con l'uomo, sono purtroppo frequenti: stiamo parlando ad esempio di due delfini ritrovati con la coda mozzata, venerdì scorso [il 12 ottobre] in acque slovene. Oppure del delfino ritrovato il 14 settembre, spiaggiato sulle coste croate (laguna Zelena), con evidenti segni di colpi di arma da fuoco. Segnalazioni di delfini uccisi con armi da fuoco, si ritrovano in notiziari e quotidiani, anche gli anni precedenti, più o meno sempre nel periodo autunnale.
Probabilmente è proprio in questo periodo che diventa più frequente l'utilizzo delle reti da posta, come lo sono appunto le passelere. Le reti da posta si portano dietro conseguenze molto spiacevoli, per la loro natura, e per il modo in cui sono utilizzate. Queste reti non vengono trainate da una barca, ma vengono invece calate e poi lasciate sul posto per diverso tempo. Questo significa che possono accumulare molti animali e pesci intrappolati, pescando appunto per lunghi periodi. Questi animali morti o morenti, e comunque ovviamente incapace di fuggire, rappresentano un ghiotto bottino per molti predatori, compresi i delfini e le tartarughe. Se, mangiando questi pesci, un delfino rimane intrappolato nella rete, non ha scampo, ed è destinato ad annegare.
Spesso quindi il ritrovamento di delfini con la coda mozzata può avere due significati: il pescatore, per liberare la rete dalla carcassa del delfino può "tagliare via le sporgenze", come le pinne e appunto la coda, proprio per rendere più facile il lavoro di districamento della rete. La seconda possibilità, molto più tremenda, e che un delfino venga intenzionalmente catturato dai pescatori e venga mutilato in modo che, rigettato a morire in mare, comunichi ai compagni segnali di grave pericolo, tenendoli quindi lontani dalle reti (questa pratica barbara è per esempio ancora sporadicamente presente in Sardegna). Allo stesso modo è possibile che vengano sparati colpi d'arma da fuoco ai delfini, per allontanarli dalle reti o per fare in modo che la loro sofferenza tenga lontani gli altri.
Perché non c'è dubbio, purtroppo, che delfini possano danneggiare anche seriamente le reti, nel tentativo di sottrarre il pesce imprigionato.

Il problema di fondo resta il fatto che delfini e esseri umani competono per la stessa risorsa, e questo molto spesso ha portato a perpetrare danni notevoli a questi nostri "coinquilini" del mare. Per quanto attualmente amati e protetti, anche da leggi, è difficile sviluppare una coscienza etica e un rispetto da parte dei pescatori che comunque si vedono danneggiati economicamente per questi animali furbi e opportunisti. È un problema che risale a tempi antichi e che difficilmente avrà mai una definitiva conclusione."

lunedì 22 ottobre 2012

L'occhio misterioso

Ne avrete sicuramente letto: la notizia è che su una spiaggia della Florida è stato trovato un grosso occhio, e nessuno sa cosa sia. Vedi, ed è solo un esempio, l'articolo su Corriere della Sera.

Una bella analisi sulle varie possibilità, comprese alcune... semi-serie, è stata compiuta da Lisa Signorile, sul blog del CICAP.

L'ente incaricato delle indagini, il Florida Fish and Wildlife Conservation Commission, a cui è stato consegnato il reperto, dice che le analisi genetiche sono ancora in corso, ma secondo loro si tratta dell'occhio di un grosso pesce spada.

Può darsi, ma io, in attesa della prova del DNA, resto della mia idea. Secondo me è l'occhio di un pesce luna (Mola mola).

Qui sotto vedete la foto dell'occhio misterioso, e quella scattata a Riccione su un esemplare  di pesce luna spiaggiato, vivo, nel 2002 (era poco più di 2 metri di "diametro"). Ne ho parlato ne "Il mare che non ti aspetti".

Voi che ne dite?


Aggiornamento [23 ottobre 2012]:
e invece mi sbagliavo. Ho scritto alla Florida Fish and Wildlife Conservation Commission, e mi hanno risposto che le indagini genetiche hanno confermato che è un pesce spada.
"Thank you for contacting the FWC's Fish and Wildlife Research Institute. We have received the genetic test results and both the gene sequences are matches to swordfish (Xiphias gladius). Thank you for your suggestion and the pictures!"


venerdì 19 ottobre 2012

Un libro e un appuntamento

Il 30 ottobre, alle 17, presso il Museo della Marineria di Cesenatico, il libro "Where to go and what to eat", pubblicato in questi giorni dalla Aracne.
Il libro, come mi scrive uno dei due editor, Annalisa Zaccaroni (l'altro è Dino Scaravelli, e sono entrambi amici e colleghi che conosco bene) "nasce come presentazione dei contributi presentati al meeting svoltosi a Cesenatico il 22 Maggio 2010 ed organizzato dal Corso di Laurea in Acquacoltura ed Igiene delle Produzioni Ittiche dell’Università di Bologna, nell'ambito delle iniziative del Gruppo di Ricerca sui Grandi Vertebrati Pelagici. L’idea è quella di riunire in un unico testo alcuni spunti su quelli che sono i principali fattori ecologici che condizionano le scelte evolutive dei mega-vertebrati marini, focalizzando l’attenzione sulle catene trofiche e sulle migrazioni, analizzate in diversi modelli animali marini (elasmobranchi, tartarughe marine e cetacei)".

Il libro, che essendo una pubblicazione prettamente scientifica, è in inglese, è appunto un compendio di interventi di vari autori, che toccato tematiche diverse: dalle conseguenze per la catena alimentare a seguito della perdita di predatori al top, come gli squali, al caso dei capodogli spiaggiati nel 2009 al Gargano; dall'identificazione dei rischi per delfini e tartarughe dell'Adriatico, a uno studio sullo squalo bianco in Sudafrica; dai Cetacei del Golfo di Trieste alle stenelle del Tirreno. E così via.

I lavori sono sicuramente interessanti ed è un bene che siano stati pubblicati gli atti di quel convegno, dal momento che non è che l'Italia sia ricca di iniziative come questa.

Se venite a Cesenatico, tra l'altro, prendete i proverbiali due piccioni con una fava, visto che al Museo della Marineria, dal 20 ottobre al 18 novembre, c'è una mostra da vedere, dedicata alla baleneria. Attraverso immagini d’epoca quali stampe, dipinti, fotografie, la mostra ripercorre la storia secolare della caccia alla balena: un'attività umana oggi per fortuna quasi scomparsa, che ha tuttavia scritto pagine memorabili della marineria. Le immagini provengono dall'archivio di Giancarlo Costa, giornalista e fotografo che ha curato la mostra, realizzata in collaborazione con l’Acquario Civico di Milano.

Ci vediamo a Cesenatico.


lunedì 15 ottobre 2012

I sei delfini mancanti

Anche quest'anno, a settembre, come sempre, nella ormai famigerata baia di Taiji, in Giappone, decine di tursiopi e globicefali sono stati catturati. Alcuni di loro saranno semplicemente macellati, altri invece venduti a delfinari, giapponesi, ma non solo.
Dopo il clamore suscitato dal film The Cove, ormai quella di Taiji non è più "la baia dei segreti". Per la verità, sembra quasi che ormai non faccia neanche più notizia. Ma quest'anno se ne parla più del solito perché il 9 ottobre si è venuto a sapere che 6 di quei delfini sono stati spediti, su un aereo della Japan Airlines, in Europa.

Nell'era del web, la notizia è girata veloce e rimbalzata un po' ovunque, ma resta comunque una notizia a metà. Infatti, non si sa quale sia la destinazione dei delfini, né dove si trovino adesso.

Giovedì 11 il sito di Sea Shepherd dava per certo che gli animali sarebbero atterrati a Londra, all'aeroporto di Heatrow. Addirittura sembrava che il Dipartimento per l'Ambiente della Gran Bretagna avesse confermato di aver ricevuto i permessi della Cites per fare arrivare i delfini.

Venerdì 12 invece, lo stesso Dipartimento confermava alla Whale and Dolphin Conservation che nessun delfino era arrivato all'aeroporto londinese, e nemmeno erano attesi arrivi.
Altre cose che si sanno, o si pensava di sapere, è che i delfini sono stati comprati da una società che si chiama Aspro International, una grossa compagnia, proprietaria di 41 parchi di divertimento, in otto diverse nazioni. Una compagnia di certo "virtuosa", visto che tra i suoi slogan c'è anche"living creatures coexisting in harmony (esseri viventi che coesistono in armonia)". E se vi pare poco sappiate che la Aspro ha fondato anche la Fundaciòn Aspro Natura, che ha tre obiettivi:
- contribuire alla protezione della natura e dell'ambiente
- accrescere la consapevolezza del pubblico sull'importanza della conservazione della biodiversità
- sviluppare attività educative e ricreative per persone con bisogni speciali.
Bello, no? Come questo si concili con il tenere animali in cattività, io non saprei dire.

Ma pare che la faccenda sia ancora più complicata. Adesso, non è nemmeno certo che la Aspro sia coinvolta. Infatti, ecco quello che riporta ancora SeaShepherd: "Un'attenta Guardiana della Baia [i Guardiani della Baia sono persone dello SeaShepherd che controllano e osservano quello che avviene nella famigerata baia di Taiji] era sullo stesso volo dell'acquirente e ha notato che il suo bagaglio portava il logo del Marineland Mallorca (un parco di proprietà della Aspro). Per caso lo ha visto di nuovo il giorno seguente, presso la Baia, mentre lavorava con i delfini e li preparava per il trasporto insieme agli addestratori. L'acquirente era presente sul posto anche per dirigere e filmare la procedura di carico assieme agli assassini dell'Unione dei Pescatori. Fonti che operano sul territorio hanno identificato quest'uomo come possibile ex dipendente del Marineland Mallorca. Le fonti hanno ragione di credere che potrebbe aver acquistato i delfini per conto dello Zoo di Lisbona o di un parco marino negli Emirati Arabi Uniti, che potrebbe rappresentare la destinazione finale di questi animali. Da quanto si evince dalle nuove informazioni in nostro possesso, pare che i delfini non siano destinati ai parchi della Aspro International in Europa, come riferito in un primo momento. L'informazioni ricevuta era errata perché questo acquirente non stava acquistando per la Aspro, quindi Sea Shepherd ritira tali informazioni."

Ma poco importa. Sono convinto che prima o poi si verrà a sapere dove sono finiti i delfini, in quale o in quali delfinari  Difficile che questi animali possano arrivare in una di queste strutture, senza che si venga a sapere.

Ancora una volta, però, dobbiamo rimarcare che, nonostante tutti i proclami relativi all'educazione, alla ricerca, alla conservazione, i parchi restano strutture commerciali senza troppi scrupoli, senza troppe remore a strappare dall'ambiente naturale degli animali selvatici. Le finalità pseudo educative e scientifiche di cui si riempiono la bocca, non possono giustificare questi comportamenti contro l'etica e contro il sentire diffuso.
Se non tutti i parchi si comportano in questo modo, allora voglio sentire quelli che si definiscono virtuosi, condannare fortemente e pubblicamente chi continua a prelevare delfini dall'ambiente naturale. Se non lo fanno, sono altrettanto colpevoli. 

venerdì 12 ottobre 2012

Mare, delfini e balene, alla radio

Questa sera sarò ospite, per tutta la puntata, della trasmissione radiofonica "Backstreets", su RadioIcaro, che si può ascoltare a Rimini sui 92,0 MHz, e in tutta Italia tramite lo streaming (http://www.radioicaro.it).
La trasmissione inizia alle 18:20 (o, in replica, alle 00:20). Sarà una puntata tutta dedicata al mare, comprese le canzoni che ascolteremo tra una chiacchiera e l'altra.

Ci sentiamo!

P.S.: sono stato ospite delle Backstreets anche mercoledì 3 ottobre, ma in quel caso non ho parlato di mare, ma della mia passione per la musica blues (e non è l'unica). Qui potete ascoltare o scaricare il podcast.

lunedì 8 ottobre 2012

La morte del delfino "accattone"

Pochi giorni fa, il 21 di settembre, si è saputo della morte di un "personaggio" famoso. Viveva in Florida, ma non era né un attore né uno sportivo in pensione; era invece un solitary dolphin, cioè un delfino che viveva a stretto contatto con l'uomo. Si chiamava Beggar, ed era noto da oltre 20 anni a tutti gli abitanti e i turisti di una certa area della baia di Sarasota, in Florida, appunto.

I solitary dolhpins, conosciuti anche come lone sociable, sono animali che per diversi motivi non vivono all'interno di un gruppo di delfini della stessa specie, ma frequentano aree costiere dove vengono a contatto con l'uomo e dal quale, generalmente, diventano dipendenti.
Questo delfino in particolare, un tursiope, aveva imparato a elemosinare cibo dalle barche, in maniera anche insistente, al punto da essere chiamato "accattone", che è esattamente il significato di Beggar.

La convivenza fra Beggar e l'uomo, come già detto, è di lunga data. Al punto che probabilmente, era divenuto uno dei delfini più studiati al mondo. L'inizio del rapporto fra questo cetaceo e gli esseri umani resta un piccolo mistero; è possibile che sia iniziato in maniera del tutto naturale, così come può succedere e come succede, più spesso di quanto si pensi, in altre parti del mondo (in effetti sono circa 90 i delfini solitari conosciuti, nel mondo). Ma ci sono anche altre ipotesi.
Ad esempio, nel report pubblicato nel 2008, da due ricercatrici dell'associazione Marine Connection, dal titolo "Lone Rangers", si ipotizza che Beggar abbia iniziato il suo legame con l'uomo dopo essere stato catturato, nel 1979, nel corso di una ricerca, per essere misurato, pesato, sottoposto a prelievo di sangue, e poi rilasciato.
Secondo altre persone, Beggar invece non era altri che "Moby", un delfino scappato da un parco acquatico, il Floridaland, che ha chiuso i battenti nel 1971, i cui animali vennero venduti ad altri parchi: a quanto pare uno di loro fuggì (non chiedetemi come, ma la storia della fuga sembra essere stata confermata da un ex-addestratore del parco).

In ogni caso, qualunque sia l'origine di Beggar, la sua vita aveva ormai ben poco a che fare con quella di un delfino selvatico. Nel 2011 una ricercatrice del Sarasota Dolpihn Research Project, aveva condotto uno studio accurato, seguendolo per un totale di 100 ore di osservazione, durante le quali erano stati contati:
- 3600 interazioni con esseri umani, fino a 70 in un'ora
- 169 tentativi di dargli da mangiare, con 520 differenti tipi di alimenti
- 121 tentativi di toccarlo, nove dei quali finiti con la persona morsa dal delfino.

Tutto questo avveniva nonostante le leggi americane, come ad esempio il Marine Mammal Protection Act, e nonostante cartelli e avvisi che comunicavano il divieto di recare danno al delfino o di gettargli del cibo, fossero sparsi un po' ovunque. Ovviamente, i controlli in mare sono sempre difficili.

Comunque, ora il delfino è morto, anche se non si conoscono esattamente le cause. L'autopsia effettuata dal Mote Marine Laboratory ha rivelato particolari inquietanti: hanno trovato diverse ferite, probabilmente derivanti da vecchie collisioni con le barche, diverse vertebre e costole rotte. Aveva anche vecchie lesioni simili a punture, tre ami nello stomaco, e due pungiglioni di razze nelle carni. Era in stato di disidratazione. Gretchen Lovewell, manager del programma di ricerca sugli spiaggiamenti, del Mote, dice "Non possiamo dire quali di queste ferite siano la causa della morte di Beggar, ma tutto quello che abbiamo trovato indica che era in precaria salute da molto tempo, e che le interazioni con le persone hanno giocato un ruolo. [...] Passava più tempo a chiedere cibo agli uomini che non a nutrirsi da solo." Insomma non sarà, come hanno titolato giornali e siti web, che Beggar è morto a causa di una dieta di hot dog e birra (che comunque sono stati davvero gettati al delfino), ma il suo legame con l'uomo dovrebbe c'entrare.

Beggar ha divertito e intrattenuto molte persone per oltre 20 anni, ma la sua vita non deve essere stata facile, e sicuramente nulla di paragonabile a quella di un delfino selvatico. Secondo molte persone lui era felice così, ma il mio parere è che questi confondono il loro divertimento e la loro "felicità", con quella di un animale che ormai non conosceva altro tipo di vita. Se gli uomini avessero evitato comportamenti errati come dare del cibo, inseguire, toccare, richiamare il delfino, forse lui avrebbe "scelto" una vita differente, una vita naturale.

Concordo e chiudo con le parole di Stacey Horstman, della NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration ): "Beggar è stato un'icona locale è un'attrazione turistica per oltre due decadi, e i risultati dell'autopsia ci ricordano come le azioni della gente sono dannose per i delfini selvatici. C'è un'idea sbagliata e diffusa, che nutrire, toccare, e nuotare con i delfini non sia per loro di nessun danno è che non vengano mai colpiti dalle barche. Siamo preoccupati per quanto frequentemente il pubblico e i pescatori continuino a nutrire delfini selvatici, dal momento che Beggar è solo uno dei tanti delfini del sud-est degli Stati Uniti che sono stati nutriti dalla gente e ha imparato ad associare gli uomini con il cibo. Rapportarsi con i delfini selvatici con responsabilità è fondamentale per la loro sopravvivenza e noi chiediamo a tutti di aiutarci affinché le popolazioni di delfini restino sane e selvatiche per le generazioni future".

venerdì 5 ottobre 2012

Dopo vent'anni, l'olio della Exxon Valdez fa ancora danni

La superpetroliera Exxon Valdez, il 24 marzo 1989, rimase incagliata in una scogliera all'interno di un'insenatura del Golfo di Alaska. Rovesciò in mare quasi 41 milioni di litri di petrolio. Si stima che la fuoriuscita di petrolio uccise 250.000 uccelli marini, 2800 lontre, insieme a migliaia di mammiferi marini e innumerevoli pesci, invertebrati e piante marine. Oltre a questo, miliardi di uova di salmone di aringhe e di altri pesci vennero distrutte.
L'incidente della petroliera Exxon Valdez resta uno dei maggiori disastri per l'ambiente naturale che la storia ricordi.

Sono passati 23 anni da quel disastro e mentre molti pensano che le conseguenze di quanto è successo siano in azione ancora oggi, questo resta difficile da dimostrarsi. Provare a individuare in che modo le specie di un dato ambiente riescono a recuperare dopo un grave disastro ambientale non è una questione semplice: innanzitutto è difficile avere dei dati sull'abbondanza di popolazione e sui trend di questa, prima del disastro; inoltre non è facile stabilire se durante gli anni, successivi al fatto, ci siano altri fattori che influiscono sul recupero stesso delle specie. Nel caso di un oil spill, attribuire il ritardo nel recupero delle specie proprio all'olio rimasto nell'ambiente implica, fra le altre cose, che si riesca a provare che le specie sono ancora sottoposte al contatto e all'esposizione con le sostanze oleose.

È questo lo scopo del lavoro di un folto gruppo di scienziati dell'Alaska Science Center e del National Marine Fisheries Service, che ha studiato le zone della fascia intertidale del Prince William Sound (luogo del disastro della Exxon Valedz) - dove è noto che ci siano delle riserve di olio residuo persistente - analizzando le conseguenze sulle lontre che si nutrono proprio in queste zone. La fascia intertidale è quella compresa fra le due linee di marea, cioè quella fascia litorale che può essere sommersa, nei momenti di alta marea, o emersa durante la bassa. Le lontre sono solite scavare proprio in questa zona per cercare cibo, e dunque gli scienziati si sono chiesti con quale frequenza incontrano l'olio residuo e quali conseguenze possa avere su di loro.

I primi studi successivi al disastro identificarono un elevato tasso di decadimento dell'olio, si parlava di circa il 58% all'anno. Si pensava dunque che non ci fossero particolari preoccupazioni relativamente al recupero a lungo termine delle specie coinvolte. Studi successivi mostrarono la rapida ripresa di molte specie e dichiararono che le conseguenze dell'olio residuo e persistente per le lontre erano minime. Ma secondo altri autori, non tutte le specie degli ecosistemi colpiti si riprendevano così velocemente, in particolare quelle che dipendevano dalle catene alimentari vicine alla spiaggia. In particolare due studi, del 2001 è del 2007, rivelarono che la velocità di ripresa delle lontre era circa la metà di quella attesa, soprattutto nelle aree più colpite dal petrolio. Il destino delle lontre marine era condiviso dalle lontre di fiume, e da due specie di uccelli: tutti si riprendevano in maniera inspiegabilmente lenta. E tutte sono specie che occupavano habitat di riva. 

Il contatto con gli idrocarburi, appunto nella fascia intertidale, provoca in queste specie problemi metabolici che portano a diverse conseguenze, anche gravi, come la ridotta capacità di sopravvivenza delle femmine. Nel 2004 fu pubblicato uno studio, relativo al 2001, che documentava come negli habitat intertidali fossero presenti ancora 55.600 kg di olii su un'area di oltre 11 ettari.

Ricapitoliamo: quell'area a distanza di anni è ancora piena di olii residui; questi si trovano soprattutto nella fascia intertidale: lì le lontre scavano delle buche per cercare cibo, vengono a contatto con gli olii e ne subiscono le conseguenze.

I ricercatori hanno dunque equipaggiato 28 lontre con degli strumenti che registrano la durata e la profondità delle immersioni; di questi strumenti, 19 sono stati raccolti, e i dati che contenevano, analizzati. Sulla base della mappa della presenza degli olii e della frequenza con la quale le lontre si immergono per nutrirsi nella zona intertidale, i ricercatori hanno stabilito che una lontra incontrerà l'olio residuo in media 10 volte in un anno, con una probabilità per le femmine 2,5 volte maggiore rispetto ai maschi. Circa la metà dei sedimenti analizzati, prelevandoli direttamente dalle biche scavate dalle lontre, erano contaminati dall'olio. Dunque le lontre non evitano le spiagge contaminate, e entrano in contatto con gli idrocarburi residui.

In definitiva, a 20 anni e oltre di distanza dal disastro della Exxon Valdez, le lontre di quell'area sono potenzialmente esposte al contatto con gli olii fuoriusciti dalla nave, e rimasti in ambiente. Inoltre, in accordo con il comportamento di alimentazione di questi animali, la maggiore probabilità di venire a contatto con gli olii si ha in tarda primavera - inizio estate, quando la gran parte delle femmine adulte dà alla luce i piccoli. Questi sono dunque esposti ad alti livelli di rischio. I ricercatori concludono dunque che vanno riconsiderati i tempi in cui si suppone che le specie, almeno alcune, siano sottoposte a potenziale rischio, dopo un disastro ambientale che coinvolge gravi perdite di idrocarburi.

Per la cronaca, la Exxon Valdez è tuttora in attività, ha solo cambiato nome in Sea River Mediterranean. Le è però proibito entrare nel Price William Sound.

Bibliografia:
Bodkin J.L.,Ballachey B.E., Coletti H.A., Esslinger G.G., Kloecker K.A., Rice S.D, Reed J.A., Monson D.H. 2012
Long-term effects of the ‘Exxon Valdez’ oil spill: sea otter foraging in the intertidal as a pathway of exposure to lingering oil
MEPS 447:273-287 (2012) - doi:10.3354/meps09523

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martedì 2 ottobre 2012

L'alberello di Darwin

Sto leggendo un libro che non conoscevo, l'ho trovato sugli scaffali di un negozio di libri usati. Si intitola "Darwin e l'evoluzione dell'uomo".

Il libro raccoglie i testi delle relazioni presentate a un convegno che si è tenuto a Torino nell'aprile del 2009 (il convegno si intitolava come il libro). Per questo motivo ogni capitolo ha un autore diverso; alcuni capitoli sono difficili e impegnativi, altri si leggono con maggiore facilità. Tanto per fare un esempio, il penultimo capitolo si intitola "Scenari evo-devo per una storia evolutiva dell'uomo", e mi ci sono"incagliato" diverse volte.

L'ultimo capitolo invece, scritto da Telmo Pievani, è stato una vera rivelazione. Mi ha emozionato e mi sono soffermato più volte in vari punti. Pievani è un bravo divulgatore, e nel capitolo ripercorre le scoperte, gli scritti, le intuizioni del grande naturalista. Non ho detto che per Darwin io ho una vera passione; ritengo, e non è che ci voglia tanto, che le sue scoperte e i suoi scritti abbiano cambiato la storia dell'uomo.

Pievani ripercorre la storia delle scoperte del naturalista inglese, dal famoso viaggio, durato cinque anni, sul brigantino Beagle, al ritorno in patria, alla pubblicazione dei suoi libri, e soprattutto alla stesura dei suoi famosi taccuini, nei quali annotava le sue scoperte e le sue intuizioni. Una mole di dati incredibile, un lavoro incessante e puntiglioso, una raccolta di idee che lascia sbalorditi. Un idea, un progetto, un quadro che pian piano cresceva nella sua mente, fino alla famosa "rivelazione", quella scarabocchiata nel celebre disegno che vedete in alto: una specie di alberello con la scritta "I think".

Il disegno risale a quasi 20 anni prima della pubblicazione de "L'origine delle specie", eppure contiene in sé già quell'idea sconvolgente: la vita e la natura non più viste come un insieme di specie presenti "sin dall'inizio" ma forme che cambiano nel tempo, che sono collegate le une alle altre, che evolvono le une dalle altre. Oggi lo diamo per scontato, ma allora era una rivoluzione culturale assolutamente sconvolgente. Alla quale peraltro, ne seguirono altre, dirette conseguenze della prima e altrettanto sorprendenti. Per esempio la perdita della centralità del ruolo dell'uomo; in altre parole, l'uomo scende dal piedistallo (più o meno divino) e diventa specie fra le specie.

Non siamo il fine ultimo della creazione, e nemmeno dell'evoluzione, se è per questo. La nostra tanto decantata intelligenza torna al ruolo di caratteristica finalizzata all'adattamento della specie. Insomma, nel contesto naturale, ci rende speciali né più né meno di quanto le ali rendano speciali gli uccelli, e il biosonar i delfini. Ma Darwin lo sa scrivere meglio di me: "Quando parliamo degli ordini superiori, dovremmo sempre dire, intellettualmente superiore. Ma chi, al cospetto della Terra, ricoperta di splendide savane e foreste, oserebbe dire che l'intelletto e l'unico scopo di questo mondo?"

Rileggere Darwin: dovrebbe essere materia scolastica.