Non finisce mai di stupire, il nostro Adriatico. Abbiamo saputo, dagli studi condotti con piccoli aeroplani tre anni fa, e ripetuti quest'anno, che ci sono molti più delfini di quanto pensassimo. Ora una ricerca recentissima ci racconta che i delfini adriatici, pur in un mare così... limitato, tendono a dividersi in sotto popolazioni, che in pratica non si mescolano tra loro. E questo ha implicazioni sulle possibili strategie di conservazione dei mammiferi marini di casa nostra.
Lo studio è stato pubblicato poche settimane fa ed è il frutto di una ricerca condotta dall'Università di Firenze, in collaborazione con ricercatori croati, sloveni e greci. Le analisi del DNA su 89 campioni di tursiopi (Tursiops truncatus) adulti, raccolti durante il periodo 1992-2009 ha rivelato particolari molto interessanti, in generale, ma nello specifico proprio per il nostro Adriatico.
La raccolta dei campioni su animali spiaggiati è stata condotta in quattro aree, anzi cinque. Infatti, oltre al Tirreno, all'Egeo e allo Ionio, c'è appunto l'Adriatico, che però, per le sue caratteristiche geografiche e per la topografia (le profondità) dei suoi fondali è stato considerato come diviso in due bacini differenti: il settentrionale e il centro-meridionale. E anche questa, per un mare così peculiare come l'Adriatico, è comunque una semplificazione.
Infatti, le coste orientali di questo bacino sono frastagliate, rocciose, ricche di anfratti e isole; quelle italiane sono invece prevalentemente sabbiose e con fondali in genere bassi e dolcemente degradanti. E poi, la parte alta, diciamo dalle Marche in su, ha profondità molto limitate, che non arrivano mai a 100 metri, mentre al sud si accentuano, fino alla "fossa" davanti alla Puglia, di oltre 1200 metri. Questo "puzzle" di ambienti, come vedremo, influenza anche la distribuzione dei delfini.
Il dato più eclatante infatti che è emerso dallo studio è in realtà una conferma di quanto studi precedenti eseguiti confrontando le fotografie delle pinne dorsali dei delfini delle varie aree (foto-identificazione) avevano già fatto intuire: i delfini adriatici che abitano diverse aree sono relativamente isolati tra loro. In pratica le sotto-popolazioni di delfini adriatici abitano ambienti differenti e non si mescolano. Le caratteristiche fisiche e geografiche degli areali che abitano, e una certa fedeltà a questi luoghi, sono dunque più importanti di altri fattori, come la specializzazione su particolari prede, ad esempio.
Come già detto, alcuni ricercatori se ne erano già fatti un'idea con il metodo della foto-identificazione: i delfini del Golfo di Trieste non venivano mai fotografati nelle acque del Quarnero (Croazia) e viceversa; lo stesso per delfini che vivono in zona diverse, al largo della Croazia.
Non sappiamo molto dei delfini adriatici, se si fa eccezione per alcune aree, come lo stesso Quarnero, studiate a fondo negli ultimi anni. Questi frammenti di informazioni, sicuramente da analizzare, valutare e approfondire, sono comunque importanti spiragli che ci aiutano a comprendere meglio i mammiferi marini dell'Adriatico, e anche il nostro stesso mare. Conoscenze che hanno comunque anche implicazioni, per esempio nelle strategie di conservazione.
Sappiamo che i delfini adriatici vivono in un ambiente pesantemente "infestato" dall'uomo: pesca, traffico navale, inquinamento, ricerca di gas e idrocarburi. Dal momento che lo studio identifica sotto-popolazioni separate, anche le strategie di conservazione dovrebbero tenerne conto, considerando ad esempio come anche le attività umane possano essere differenti, nelle diverse aree del bacino.
Gli autori sottolineano come già la Convenzione di Barcellona consideri importante l'instaurazione di aree marine protette, per i Cetacei, in Adriatico.