Il 2 gennaio del 1997 è stato il mio primo giorno di lavoro alla Fondazione Cetacea, per la quale ora rivesto il ruolo di Responsabile Scientifico, Redattore-Capo di Cetacea Informa altre tre o quattro posizioni non sempre ben definite e chiare, nemmeno a me stesso.
Venivo da un anno e mezzo di lavoro come libero professionista nel campo della “consulenza ambientale”, un termine pomposo che significa in buona sostanza che spillavo quattrini, parecchi per la verità, a piccole e medie imprese (il cuore pulsante dell’economia italiana) affinché esse fossero in regola con le normative vigenti in materia di ogni tipo di inquinamento: acustico, dell’acqua, dell’aria, del suolo. E’ stato il mio primo lavoro serio dopo circa 3 anni di lavori disparati ma senza dubbio formativi (caratterialmente, quanto meno), fra cui annovero, con una punta di orgoglio e una certa, matura, incredulità: insegnante al CEPU e commesso in un negozio di acquari. Del primo conservo il ricordo di una simpatica deejay di una radio privata di Riccione, che studiava per affrontare l’esame di ammissione alla facoltà di Odontoiatria (il rapporto fra le due cose mi affascinava e sconcertava). Del secondo rammento la fatica immane di allestire un nuovo, enorme, moderno negozio di acquari a Cesena (che oggi ha chiuso) e l’agghiacciante dietro le quinte di un hobby dal quale comunque non sono riuscito a disamorarmi.
Mi sono faticosamente laureato nel marzo del 1992 con una tesi su un semi-sconosciuto merluzzetto, che risponde al nome comune di merlano, del nord-Adriatico. Tesi scelta con lucida determinazione solo per lo scarso impegno previsto per la sua stesura; ma che, del tutto inconsapevolmente, conteneva i germi di quello che la mia vita professionale sarebbe diventata, di lì a pochi anni: lo studio di una specie marina, e non di un mare qualunque, ma del mio Adriatico.
Non avrei mai pensato allora, che occuparmi di animali marini sarebbe diventata la mia professione, ma a ripensarci mi sembra di scorgere nei miei anni precedenti alla Fondazione Cetacea, come dei piccoli segnali, preannunci illeggibili allora, ma rivelatori adesso, a posteriori, di un futuro “in preparazione”. Segni del destino, credo li chiamerebbe qualcuno più fatalista di me.
Una tesi su un pesce, la passione per gli acquari, l’amore per l’Adriatico, l’infatuazione precoce per gli squali, tre mesi di volontariato (a cavallo fra il ’93 e il ’94) proprio per la Fondazione Cetacea, quando ancora era solo un ufficio di neanche 10 metri quadri, senza riscaldamento né bagno. Segnali, no?
E in effetti, nella trama della mia esistenza di quegli anni c’è come un filo rosso, visibile solo in piccoli punti e per brevi tratti, ma presente sempre. Indizi di quello che sarei diventato? Profezie? O semplicemente il maturare di una passione allora sconosciuta anche a me, ma che “tirava” fortemente” in una direzione precisa?
Fino a gennaio ’97 appunto, alla conclusione (che fu un nuovo inizio invece) di un percorso che può apparire scontata solo a chi questo percorso lo legge al contrario.
E così, da allora, mi occupo di animali; animali marini. E che animali! Delfini, squali, tartarughe, balene, più qualche stranezza qua e là: pesci luna, cavallucci e qualcos’altro. E forse penserete che sono fortunato, che un lavoro così non è nemmeno un lavoro, che capita a pochissimi, eccetera eccetera. E non sarò certo io a contraddirvi. Anche ora, dopo nove anni, ora che conosco i retroscena (la fatica fisica, la fatica mentale, le responsabilità, la politica, tanta, troppa politica, la perenne e frustrante carenza di fondi, gli animali sofferenti, gli animali morti…), anche ora sono consapevole della fortuna che mi è capitata, sebbene non credo affatto che mi sia solo “capitata”.
E anche ora ricordo benissimo i primi giorni di lavoro: il mio primo grosso incarico fu di allestire una mostra sugli squali. Così si discuteva di testi da scrivere, fotografie da scegliere, messaggi da dare, e tutto sugli squali, una mia passione silente che ora tornava fuori prepotente, per lavoro! E in auto, nei venti minuti che separano Rimini, dove vivo, da Riccione, mi ritrovavo a chiedermi: ma davvero mi pagano per fare questo?
Oggi non me lo chiedo più, ovviamente; ma non ho smesso comunque di amare il mio lavoro. Uno strano lavoro, spesso frenetico, a volte frustrante, sempre comunque intenso e multiforme: relazioni, articoli e protocolli da scrivere, ricerche da svolgere, animali da recuperare o da curare, mostre, progetti didattici e lezioni da organizzare, tesi (e tesisti) da seguire, contatti da tenere e mantenere, e tanto di più ma tutto sempre in qualche modo legato a loro, agli animali.
Animali che possono persino, col tempo e la stanchezza diventare routine; storie che nel contesto di un lavoro strano possono sembrare normali. Ma che se le guardi da fuori, con l’occhio della persona comune (che può essere anche solo quello di tua moglie, o di un amico) normali non sono.
E così può essere interessante leggerle (lo spero) e utile per me scriverle.
Perché di questo si tratta: di (stra)ordinarie storie di animali, con qualche divagazione su quello che vi ruota intorno.