Dopo lunga attesa è finalmente stato pubblicato il lavoro finale sul caso dei sette capodogli spiaggiati al Gargano, e sulle cause di morte. Chi non ricorda quell'evento, può leggere qui, e qui, per esempio.
Avevo anche già scritto di come, non solo i media, ma anche qualche "scienziato frettoloso" avesse ben presto concluso che fossero morti a causa della plastica che avevano ingerito e che era in effetti stata trovata nei loro stomaci. Per i media tale notizia era troppo ghiotta, e dunque l'avevano cavalcata.
C'erano poi ipotesi anche relative alle possibili concomitanti prospezioni geologiche, con l'utilizzo degli air-guns, cioè i cannoni ad aria compressa che servono a rilevare per esempio giacimenti petroliferi in profondità.
Il titolo dell'articolo, scritto a molte mani, ma che ha come primo autore Sandro Mazzariol dell'Università di Padova, non ha il classico titolo iper-tecnico e serioso delle pubblicazioni scientifiche; recita invece: "Qualche volta i capodogli non riescono a ritrovare la strada per i mari profondi: uno studio multidisciplinare su uno spiaggiamento di massa."
Il lavoro svolto su quegli esemplari è stato molto complesso. Tre delle sette carcasse sono state sottoposte a una autopsia molto approfondita. Sono state compiute analisi biologiche, genetiche, tossicologiche, istopatologiche, insomma come dice il titolo, si è analizzato il fenomeno sotto diversi aspetti e con un approccio, appunto, multidisciplinare.
Da notare che tre dei sette esemplari erano animali "conosciuti", cioè già precedentemente foto-identificati. Erano:
- Cla, maschio fotografato per la prima volta nel 2002 nel Mar Ligure, e poi riavvistato altre cinque volte, nel 2003, 2005 e 2007. Era in genere solitario, o in compagnia di altri maschi;
- Pomo, maschio anche lui identificato nel Mar Ligure nel 2003, in un gruppo di altri maschi;
- Zak Whitehead, visto per la prima volta nel 2000 nello Ionio sudorientale, e rivisto altre sette volte, dal 2002 al 2005, sempre nello stesso gruppo sociale.
Le conclusioni dunque, sulla morte di questi sette esemplari, portano a diverse cause concomitanti. Non sono stati rilevati problemi di tipo biologico (tipo malattie) nè sindromi riferibili all'utilizzo di sonar o air-guns, sebbene, concludono gli autori, non è da escludere che le prospezioni geologiche abbiano potuto avere il loro effetto.
In definitiva, sembra invece che i sette capodogli abbiano preso una "direzione sbagliata" (tra virgolette anche nell'articolo) e si siano infilati nell'Adriatico, una trappola per questi animali. Tutti mostravano chiaramente i segni della fame e della privazione di cibo. Tutti avevano alte concentrazioni di inquinanti, in diversi tessuti. Questi inquinanti erano principalmente organo-clorurati, che sono sostanze chimiche che si trovano nei pesticidi, principalmente.
Non mangiando da molto tempo, il metabolismo ha cominciato a sciogliere il tessuto adiposo (i grassi di riserva) e dunque a mettere in circolo nel sangue anche questi inquinanti che qui erano rimasti immagazzinati. Queste sostanze hanno abbassato le difese immunitarie e danneggiato il sistema nervoso.
In poche parole, i capodogli hanno perso la strada, per cause difficili da indovinare, e poi la fame e gli inquinanti di origine umana hanno fatto il resto. Si conclude così un'indagine che, per diversi motivi, lascia senz'altro con l'amaro in bocca.
- Cla, maschio fotografato per la prima volta nel 2002 nel Mar Ligure, e poi riavvistato altre cinque volte, nel 2003, 2005 e 2007. Era in genere solitario, o in compagnia di altri maschi;
- Pomo, maschio anche lui identificato nel Mar Ligure nel 2003, in un gruppo di altri maschi;
- Zak Whitehead, visto per la prima volta nel 2000 nello Ionio sudorientale, e rivisto altre sette volte, dal 2002 al 2005, sempre nello stesso gruppo sociale.
Le conclusioni dunque, sulla morte di questi sette esemplari, portano a diverse cause concomitanti. Non sono stati rilevati problemi di tipo biologico (tipo malattie) nè sindromi riferibili all'utilizzo di sonar o air-guns, sebbene, concludono gli autori, non è da escludere che le prospezioni geologiche abbiano potuto avere il loro effetto.
In definitiva, sembra invece che i sette capodogli abbiano preso una "direzione sbagliata" (tra virgolette anche nell'articolo) e si siano infilati nell'Adriatico, una trappola per questi animali. Tutti mostravano chiaramente i segni della fame e della privazione di cibo. Tutti avevano alte concentrazioni di inquinanti, in diversi tessuti. Questi inquinanti erano principalmente organo-clorurati, che sono sostanze chimiche che si trovano nei pesticidi, principalmente.
Non mangiando da molto tempo, il metabolismo ha cominciato a sciogliere il tessuto adiposo (i grassi di riserva) e dunque a mettere in circolo nel sangue anche questi inquinanti che qui erano rimasti immagazzinati. Queste sostanze hanno abbassato le difese immunitarie e danneggiato il sistema nervoso.
In poche parole, i capodogli hanno perso la strada, per cause difficili da indovinare, e poi la fame e gli inquinanti di origine umana hanno fatto il resto. Si conclude così un'indagine che, per diversi motivi, lascia senz'altro con l'amaro in bocca.
Ciao Marco! E forse la domanda piu' importante da farsi e' proprio questa: "come mai hanno perso la strada?". Quali sono le cause della perdita di orientamento di sempre piu' cetacei? Ancora gli esseri umani, tanto per cambiare? A presto! Elena
RispondiEliminaCredo che si possa fare qualche considerazione.
RispondiEliminaNell’articolo citato leggo che le ipotesi fatte sugli spiaggiamenti si possono ricondurre a questi fattori:
• agenti patogeni biologici;
• il deterioramento dei sistemi di eco-localizzazione a causa di caratteristiche batimetriche, acustiche o anomalie del campo magnetico terrestre;
• effetti dei cicli lunari;
• distribuzione delle prede correlate a fattori meteorologici ed oceanografici (es.: variazioni di temperatura del bacino marino;
• eventi climatici;
• inquinamento acustico;
• agenti inquinanti nell’ambiente;
Una concausa sembrerebbe essere la forte componente sociale, che possono indurre animali sani a seguire i membri malati di un pod.
Dato che le analisi sugli organi degli animali spiaggiati hanno rivelato lunghi periodi di digiuno (e contemporaneo avvelenamento da sostanze chimiche presenti negli strati adiposi) credo si possa tranquillamente puntare il dito accusatorio sugli effetti nefasti dell’attività umana nel e sul mare (=nei e sui mari). Infatti sappiamo proprio da “Storie di Mare”:
http://www.storiedimare.net/2011/04/il-pesce-e-finito-andiamo-in-pace.html
che attualmente l’Adriatico è virtualmente un mare vuotato. Non solo per chi ama il pesce fresco, anche e soprattutto per i disgraziati animali marini che dovessero capitarvi. Se a questo “deserto” marino aggiungiamo il continuo carico di pesticidi e veleni vari scaricati impunemente da anni è agevole trarre la conclusione che non lo spiaggiamento è evento notevole ma, al contrario, proprio la presenza o gli avvistamenti di delfini, capodogli e altri cetacei che per loro sventura si addentrano in questo lungo cul-de-sac del Mediterraneo.
Cordiali (e pessimistici) saluti
Manuel
Chi diceva che il mare è il sangue del nostro pianeta non sbagliava di certo.
RispondiEliminaStiamo distruggendo l'ecosistema ed anche io, mio malgrado, per quanto faccia attenzione, per certi versi sono colpevole.
Nell'Adriatico le navi norvegesi che hanno contratti con lo stato italiano vengono qui e prendono dal fondale il petrolio, non raffinato pagando una somma allo stato italiano, ora so per certo che usano la tecnica dell'air gun per l estrazione! E indovinate in po' come funziona questa tecnica?! Disorienta i mammiferi già da tempi ormai.... Non solo con la perdita di scie di petrolio sono a rischio le nostre coste e i bagnanti causa agenti radioattivi, ora fatevi due conti e ditemi se lo stato non è un killer
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