Riscaldamento globale, cambiamenti climatici. Termini che sono diventati di uso comune, conseguenze, forse un giorno devastanti, dell’effetto dell’attività dell’uomo sull’”ecosistema Terra”. Dietro a queste espressioni, altre ne seguono, conseguenze o effetti collaterali di questi grandi cambianti apparentemente in (rapido) corso. In mare, dove gli effetti sono comunque se non meno ampi, forse meno evidenti o leggibili, si parla per esempio di tropicalizzazione e meridionalizzazione.
Il primo termine indica l’ingresso nel Mare Mediterraneo di organismi provenienti da mari più caldi, tropicali o sub-tropicali, appunto. Ma il Mediterraneo, lo si legge su ogni libro di geografia, è un mare semi-chiuso. Da dove arrivano dunque questi nuovi ospiti? Due sole sono le strade: lo stretto di Gibilterra, apertura naturale del bacino verso l’Atlantico, e il canale di Suez. Questa volta un’entrata “secondaria” aperta però proprio dall’uomo e che collega il nostro mare con il Mar Rosso.
Siamo chiari: ingressi di specie alloctone (cioè non appartenenti a quel dato ambiente) in Mediterraneo, soprattutto da Gibilterra ci sono sempre state. In mare non ci sono muri o cancelli. La novità è data dal fatto che ora alcune di queste specie possono trovare anche qui un ambiente non ostile, soprattutto meno freddo, e dunque viverci e proliferare.
Cosa si intende invece per meridionalizzazione? Qualcosa forse di più semplice. E’ ovvio che anche in un mare relativamente piccolo (in confronto agli oceani) come il Mediterraneo, ci sia una anche evidente differenza di temperature – medie, massime e minime – fra le aree più a nord e quelle più meridionali. Queste differenze di temperature incidono sulle specie presenti nelle diverse zone, ed è evidente che animali che prediligono acque più fredde si trovino nei bacini settentrionali, e viceversa. Con l’aumento delle temperature, non solo la differenza tra le due aree tende a diminuire, ma soprattutto le acque tendono a scaldarsi e ad assomigliare così a quelle del sud. Dunque le specie meridionali non sono più impedite dal freddo e possono ora colonizzare anche bacini settentrionali.
Questa la teoria. Nella pratica, la capacità di molte specie di migrare e di spostarsi a piacimento magari in cerca di cibo, rende il tutto meno netto e definito.
In Adriatico per esempio, si osservano sì cambiamenti di questo tipo, ma non dobbiamo pensare alla comparsa assoluta di nuove specie, quanto semmai alla maggiore frequenza con cui specie prima del tutto occasionali, ora diventano più o meno regolarmente pescate o avvistate. Così ad esempio Attilio Rinaldi della Dafne fa notare “la presenza massiva e superiore alla norma” nelle nostre acque “di specie termofile”, cioè che prediligono acque più calde. “Tra queste l'Alaccia (Sardinella aurita), la Lampuga (Coryphaena hippurus), la Ricciola (Seriola dumerili), la Leccia (Lichia amia), la Palamita (Sarda sarda) e il Barracuda boccagialla (Sphyraena viridensis). Mentre la Donzella pavonina (Thalassoma pavo) viene segnalata come abbondante nell’Adriatico centrale”.
Attenzione però, mentre le specie di derivazione più meridionale possono, con l’innalzarsi delle temperature spostarsi o semplicemente espandere il proprio areale a nord, quelle invece che ricercano temperature più basse, non trovano scampo, nel vicolo cieco dell’alto Adriatico, non potendo in effetti spostarsi più nord. Queste sono dunque a rischio di scomparsa. Un esempio pare essere quello dello Spratto (Sprattus sprattus), che ha già fatto registrare una significativa riduzione in termini di biomassa.
E’ importante ricordare che l’ingresso di nuove specie in un determinato ambiente è un fenomeno da non trascurare. Non si tratta di stilare elenchi di specie quasi come curiosità, tutt’al più per subacquei e appassionati. Ambienti ed ecosistemi sono delicati equilibri, che devono riorganizzarsi ogni volta che si provoca un notevole cambiamento, e l’ingresso di nuove specie lo è eccome, si pensi alle catene alimentari. Dunque la meridionalizzazione va tenuta almeno sotto stretta osservazione e di certo non sottovalutata.
Siamo chiari: ingressi di specie alloctone (cioè non appartenenti a quel dato ambiente) in Mediterraneo, soprattutto da Gibilterra ci sono sempre state. In mare non ci sono muri o cancelli. La novità è data dal fatto che ora alcune di queste specie possono trovare anche qui un ambiente non ostile, soprattutto meno freddo, e dunque viverci e proliferare.
Cosa si intende invece per meridionalizzazione? Qualcosa forse di più semplice. E’ ovvio che anche in un mare relativamente piccolo (in confronto agli oceani) come il Mediterraneo, ci sia una anche evidente differenza di temperature – medie, massime e minime – fra le aree più a nord e quelle più meridionali. Queste differenze di temperature incidono sulle specie presenti nelle diverse zone, ed è evidente che animali che prediligono acque più fredde si trovino nei bacini settentrionali, e viceversa. Con l’aumento delle temperature, non solo la differenza tra le due aree tende a diminuire, ma soprattutto le acque tendono a scaldarsi e ad assomigliare così a quelle del sud. Dunque le specie meridionali non sono più impedite dal freddo e possono ora colonizzare anche bacini settentrionali.
Questa la teoria. Nella pratica, la capacità di molte specie di migrare e di spostarsi a piacimento magari in cerca di cibo, rende il tutto meno netto e definito.
In Adriatico per esempio, si osservano sì cambiamenti di questo tipo, ma non dobbiamo pensare alla comparsa assoluta di nuove specie, quanto semmai alla maggiore frequenza con cui specie prima del tutto occasionali, ora diventano più o meno regolarmente pescate o avvistate. Così ad esempio Attilio Rinaldi della Dafne fa notare “la presenza massiva e superiore alla norma” nelle nostre acque “di specie termofile”, cioè che prediligono acque più calde. “Tra queste l'Alaccia (Sardinella aurita), la Lampuga (Coryphaena hippurus), la Ricciola (Seriola dumerili), la Leccia (Lichia amia), la Palamita (Sarda sarda) e il Barracuda boccagialla (Sphyraena viridensis). Mentre la Donzella pavonina (Thalassoma pavo) viene segnalata come abbondante nell’Adriatico centrale”.
Attenzione però, mentre le specie di derivazione più meridionale possono, con l’innalzarsi delle temperature spostarsi o semplicemente espandere il proprio areale a nord, quelle invece che ricercano temperature più basse, non trovano scampo, nel vicolo cieco dell’alto Adriatico, non potendo in effetti spostarsi più nord. Queste sono dunque a rischio di scomparsa. Un esempio pare essere quello dello Spratto (Sprattus sprattus), che ha già fatto registrare una significativa riduzione in termini di biomassa.
E’ importante ricordare che l’ingresso di nuove specie in un determinato ambiente è un fenomeno da non trascurare. Non si tratta di stilare elenchi di specie quasi come curiosità, tutt’al più per subacquei e appassionati. Ambienti ed ecosistemi sono delicati equilibri, che devono riorganizzarsi ogni volta che si provoca un notevole cambiamento, e l’ingresso di nuove specie lo è eccome, si pensi alle catene alimentari. Dunque la meridionalizzazione va tenuta almeno sotto stretta osservazione e di certo non sottovalutata.
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