mercoledì 23 dicembre 2009

Buone feste


Auguro a tutti voi di trascorrere delle feste
dolci come il pandoro,
serene come un bimbo che dorme,
calde come la vostra poltrona preferita,
appassionate come la persona che vi fa battere il cuore,
preziose come la sapienza di un nonno,
amorevoli come la mano di una mamma,
intense come le parole di un amico vero,
divertenti come l'ultima volta che vi siete lasciati andare.
Praticamente perfette, come madre natura.

Auguri

Marco

sabato 19 dicembre 2009

Capodogli e mosche

E così dopo internet, i quotidiani, e dopo i quotidiani la televisione: adirittura il TG1! Tutti a riprendere la storiella che i capodogli sono morti a causa delle buste di plastica che avevano ingerito. Anzi che il capobranco aveva ingerito, e gli altri dietro a lui, fedeli, lo hanno seguito, fino alla fine, fino alla morte. E venivano addirittura dall'Atlantico. Che storia!
Peccato sia una bufala, un'invenzione. Qualcuno in cerca dei suoi cinque minuti di notorietà l'ha confezionata, e tutti pronti a cascarci dentro con le mani e con i piedi.
I sacchetti negli stomaci c'erano, ma non aveano causato danni, e NON sono la causa dello spiaggiamento. Dubito fortemente che quel gruppo avesse un "capobranco"; andiamo, basta con queste storielle sugli animali sempre uguali. Ma che schifo.
Ma non si poteva aspettare che chi ha fatto le autopsie comunicasse ufficialmente cosa aveva trovato (Sandro, se mi leggi, fallo presto, serve chiarezza in questa vicenda)? Bisogna cavalcare la notizia ancora fresca, approfittando delle intense emozioni (questa sì, una bella novità) che questo spiaggiamento ha suscitato negli italiani, per far parlare magari più di sè. E vai poi di opinionisti, di corsivi sui quotidiani, tutti già sicuri, senza nemmeno un dubbio: li ha uccisi la plastica. Non lo diaciamo sempre, che i nostri rifiuti in mare uccidono gli animali marini? Ecco la dimosrazione, semplice no?
Mi direte, ma con chi ce l'hai? C'è l'ho con chi approfitta del clamore di questa storia. Ce l'ho con chi vuole una risposta, subito, per cui prende la prima che gli passa davanti, magari ben confezionata (ma neanche poi tanto).
Le cause di questo spiaggiamento vanno indagate, e magari scopriremo che c'entra davvero l'uomo, e non ci stupiremmo più tanto, ma è un fenomeno complesso e non si può improvvisare nel tirare le conclusioni (tra l'altro pare che uno dei capodogli sia stato identificato come un esemplare fotografato per otto anni consecutivi nelle acque della Grecia ionica, altro che Atlantico!).
Questi capodogli, con il loro dramma, queste figure totemiche, quasi mitologiche che finiscono a morire insieme su una spiaggia pugliese, sono come miele per le tante mosche che vi ronzano attorno. Alcune si occupano di cetacei e di spiaggiamenti da anni, altre si sono imporvvisate esperti.
Sono come le mosche, quelle vere stavolta, che adesso ronzano attorno a quelle carcasse smembrate e putrescenti, a quegli scheletri dal valore scientifico/educativo inestimabile, ma che forse finiranno male, persi per incuria e intempestività, come rifiuti in qualche discarica. E qualcuno ci guadagnerà pure, e non poco.
Fondazione Cetacea nel suo piccolo ha subito presentato alla regione Puglia il suo grande progetto, per recuperare tutti e sette gli scheletri, lasciandoli pulire in mare, con una tecnica già sperimentata: pulita, rapida, persino economica. Di più, noi proponevamo poi di lasciare lì i reperti finali, montati ed esposti, lì in Puglia, senza mandarli in giro per diversi musei in Italia. L'avevamo chiamato "La spiaggia dei Capodogli". Il progetto è piaciuto a molti, ma non a chi si vedeva sottrarre l'osso succulento (metafora azeccata, no?) e dunque non passerà.
E va beh, tanto sai quanti ne capitano di spiaggiamenti del genere...

lunedì 14 dicembre 2009

Inumano

Sul caso dei capodogli il Ministro Stefania Prestigiacomo dice "Era stato deciso di abbreviare l’agonia dei capodogli morenti con una forma di eutanasia medica, ma purtroppo non sono disponibili in Italia dosi del farmaco indicato. Ho ritenuto e continuo a ritenere inumano farli uccidere a colpi di armi da fuoco pesanti".
Inumano mettere fine alle sofferenze di quelle bestie con un colpo di fucile?
E' stato dunque più umano lasciarli agonizzare per 48 ore, coricati su un fianco, impossibilitati a muoversi, schiacciati dal loro stesso peso, lottando per ogni respiro?

sabato 12 dicembre 2009

I capodogli morenti

Giovedì sera, due giorni fa, mentre ero a cena ho ricevuto la telefonata del mio amico Giovanni, del Centro Recupero Tartarughe Marine di Manfredonia. Mi informava di quella che poi sarebbe stata la notizia del giorno dopo: un gruppo di capodogli, 6, 10, 9, all’inizio i numeri erano confusi, si stava spiaggiando sulla costa settentrionale del promontorio del Gargano, nei pressi del lago di Lesina.
La notizia è eccezionale dal momento che l’unico altro spiaggiamento del genere in Italia risale al 1938, a Marzocca (7 esemplari).
Ho contattato Sandro Mazzariol dell’Università di Padova, che fra le altre cose è a capo di un gruppo di intervento che lavora sui grandi Cetacei, soprattutto praticando accurate autopsie, quando se ne presenta l’occasione. Sandro mi dice che è al corrente della cosa. La mattina dopo i grandi cetacei sono ancora lì, sono sette in tutto (a quanto pare due sono stati visti allontanarsi) e tre sono già morti.
Sento di nuovo Sandro che mi dice che sul posto è intervenuto il Centro Studi Cetacei a coordinare le operazioni e che lui sta partendo per raggiungere il Gargano.
Pur non essendo a questo punto richiesta la nostra presenza, alle 11 decidiamo che il fenomeno è troppo straordinario per non andare a dare un’occhiata. In quattro e quattr’otto siamo in macchina, destinazione Gargano.
Arriviamo là verso le 16, piove e il cielo è tutto coperto, la luce sta scemando velocemente. Ci mettiamo un po’ a trovare il posto, poi un assembramento di auto indica chiaramente dove si sta svolgendo la tragedia. Scendiamo lungo il sentiero in mezzo alla pineta e siamo sulla spiaggia, alla nostra destra, un mezzo chilometro più in giù, un folto gruppo di gente e tante auto con i lampeggianti. Ci incamminiamo verso quella direzione, e poco dopo siamo in grado di vedere in acqua una sagoma scura. E’ il primo dei capodogli ancora in vita. Agonizzante in pochi centimetri d’acqua, fa male al cuore vedere la coda che ogni tanto si solleva, e stancamente ricade giù. E’ ovviamente coricato su un lato, quello destro, e la pettorale sinistra ogni tanto si muove e punta verso l’alto, quasi a implorare pietà. A volte le onde che si ritraggono scoprono totalmente l’enorme testone. Tutt’attorno, sulla spiaggia, gente e famiglie con bambini che assistono al tremendo spettacolo della morte in diretta.
Proseguiamo ancora ed ecco un secondo esemplare. Stessa scena di prima, ma questa volta ci sono dei veterinari che cercano di prendergli un campione di sangue dalla coda, apparentemente senza successo. La Capitaneria vede i loghi sulle nostre felpe e si avvicina. Chiacchieriamo un po’, non sembrano sapere assolutamente che fare. Non che si sia molto da fare.
Avanti ancora, fino a un terzo individuo. Questo sembra più piccolo ma anche meno stremato. Ogni tanto solleva addirittura la testa. Da lontano scorgiamo un quarto capodoglio, ma ne abbiamo abbastanza e decidiamo di tornare indietro.
Una troupe televisiva ci vede e ci ferma “E’ un’ora che camminiamo su e giù sulla spiaggia” ci dicono “qui non c’è nessun responsabile con cui parlare, possiamo intervistarvi?”. Dico di sì ma chiarisco che non siamo noi a gestire le operazioni e che da lì poco ce ne andremo.
Molta gente è imbufalita perchè nessuno fa niente per salvare gli animali. Ma hanno ragione solo a metà, perchè non si può far niente per salvare quei cetacei. Ma si potrebbe fare qualcosa per evitare che agonizzino per ore davanti alla gente. Infatti più tardi saprò che è stato chiesto al Ministero il permesso di praticare l’eutanasia sui capodogli sopravvissuti. Sono d’accordo, sarebbe la cosa migliore, ma so anche che stamattina (sabato) il permesso ancora non c’era e dunque uno dei tre è morto durante la notte e gli altri due agonizzano ancora dopo quasi 48 ore. Una tortura.
Noi ripartiamo quando si è fatto buio già da un’ora. Seguiremo la cosa a distanza e nel frattempo facciamo subito richiesta ufficiale per potere avere una carcassa dalla quale ricavare lo scheletro intero. Sarebbe un reperto di importanza scientifica e soprattutto educativa, fondamentale.
Il resto della storia è su tutti i giornali.

venerdì 4 dicembre 2009

Delfinari...

Quando ho iniziato a lavorare per Fondazione Cetacea, questa aveva la sua sede in un piccolo ufficetto all'interno del delfinario di Riccione. Dopo alcuni anni ci siamo trasferiti in un contesto più ampio, il parco Oltremare, dove le occasioni di contatto con i delfini erano molto minori, ma era ed è comunque una struttura che incentra molte delle sue attività e promozioni, sulla grande vasca dei delfini. Da un anno e mezzo a questa parte siamo in una nuova sede, totalmente autonoma, e adesso lontana da tutto il mondo della cattività.
Ho premesso questo perchè quando parlo di delfini in cattività sia chiaro che so di cosa parlo.
Nei primi due anni al delfinario mi occupavo soprattutto di educazione e didattica. Ho fatto decine e decine di visite guidate, di approfondimenti, di lezioni. Il discorso cattività emergeva quasi sempre. Io riportavo il "messaggio standard" dei delfinari: c'è un risvolto educativo in queste strutture, i bambini non hanno occasione di vedere i delfini dal vero in mare, qui si divertono e imparano, eccetera eccetera. Poi c'è l'aspetto delle ricerche, che in vasca si possono fare con relativa facilità, e le informazioni apprese possono poi essere utili per azioni di conservazione e tutela della specie in mare.
Con il tempo e l'evolversi di Fondazione Cetacea, ma anche e soprattutto della mia coscienza e conoscenza di certe tematiche, ho in gran parte cambiato idea.
No, non credo più che i delfinari siano educativi. Se i miei figli mi chiedono di andarci (per la verità non lo fanno praticamente mai) ho qualche remora e almeno alle due bimbe grandi spiego che quello che vedranno sarà forse divertente, ma quelli non sono "veri" delfini, semmai sbiadite caricature delle splendide creature che potrebbero avere la fortuna di vedere in mare, un giorno.
Per quanto riguarda la ricerca, penso ancora che si possa approfittare degli animali in vasca, per ricavare preziose informazioni. Forse in qualche caso anche utili in senso più generale. Ma penso anche che il gioco non valga la candela.
Mi rendo conto che non si possono chiudere di botto zoo e delfinari e liberare tutti gli animali (sono convinto che moltissimi animalisti lo farebbero all'istante). Non è mandandoli a morire , perchè questo succederebbe, che risolve il problema. Credo che la cosa fondamentale sarebbe invece ALL'ISTANTE, vietare ogni nuovo ingresso che non provenga da riproduzioni o da animali salvati da morte certa e non più rilasciabili in natura (sebbene anche questo secondo caso mi disturba assai). Purtroppo so per certo che il "sistema delfinari", pur con le tecniche all'avanguardia di oggi, non si auto-sostiene. Cioè le nascite non controbilanciano le morti. Fatto gravissimo, ma contiene la soluzione in sè: lasciamo che i delfinari si estinguano con la continua diminuzione delle popolazioni in vasca, non permettendo loro di attingere dall'ambiente naturale. Che nel 2009 si catturino ancora delfini in mare per rinchiuderli in vasca mi fa inorridire. Mi piacerebbe che a poco a poco queste strutture anacronistche (andiamo! chi ha ancora bisogno di andare a vedere i delfini saltare in vasca?) morissero di morte naturale, come una reliquia del passato.

Questo, a mio parere, è vero al di là delle storie più o meno tragiche e più o meno trite e ritrite che girano su queste strutture già da vent'anni, e che qualcuno riporta senza nemmeno rinnovarle un pochino!
E' il caso di questo articolo che ho ritrovato già diverse volte sul web e anche quasi sicuramente in una rivista sulla natura del Salento. Mal sopporto chi scrive senza documentarsi, mettendo insieme luoghi comuni e pezzeti di vecchie cose, trovate qua e là.
Si parla di "numerosi maltrattamenti subiti" da questi animali nei delfinari. Mai visto niente del genere. E' una sciochezza enorme! E poi chi rovinerebbe la propria gallina dalle uova d'oro? I delfinari fanno i soldi con i delfini, e devono in ogni modo mantenerli in perfetta salute. A questo si aggiunga in molti casi, il grande amore che gli addestratori mostrano per i loro delfini (sarà magari un amore malato, ma comunque...).
Non è vero che i delfini vengono costretti a lavorare prendendoli per fame. Un'altra sciocchezza colossale. La prima cosa che fa un delfino che non si sente bene è proprio smettere di lavorare. E l'articolo prosegue così, con dati, idee, convizioni errati e quanto meno vecchi, superati: presunti suicidi, aspettative di vita smentite dalla realtà dei casi, etc.

Cari attivisti anti-delfinari, sono con voi! Liberiamoci di questo spettacolo che non ha più niente a che fare con il nostro tempo e che offende la nostra sensibilità umana. Ma facciamolo con criterio e razionalità. Abbiamo mille argomenti validi, a partire da quello che deve essere un doveroso e ritrovato rispetto per l'ambiente naturale che è anche il nostro ambiente. L'unico che abbiamo. Lasciamo però le pagliacciate ad altri.