Giovedì sera, due giorni fa, mentre ero a cena ho ricevuto la telefonata del mio amico Giovanni, del Centro Recupero Tartarughe Marine di Manfredonia. Mi informava di quella che poi sarebbe stata la notizia del giorno dopo: un gruppo di capodogli, 6, 10, 9, all’inizio i numeri erano confusi, si stava spiaggiando sulla costa settentrionale del promontorio del Gargano, nei pressi del lago di Lesina.
La notizia è eccezionale dal momento che l’unico altro spiaggiamento del genere in Italia risale al 1938, a Marzocca (7 esemplari).
Ho contattato Sandro Mazzariol dell’Università di Padova, che fra le altre cose è a capo di un gruppo di intervento che lavora sui grandi Cetacei, soprattutto praticando accurate autopsie, quando se ne presenta l’occasione. Sandro mi dice che è al corrente della cosa. La mattina dopo i grandi cetacei sono ancora lì, sono sette in tutto (a quanto pare due sono stati visti allontanarsi) e tre sono già morti.
Sento di nuovo Sandro che mi dice che sul posto è intervenuto il Centro Studi Cetacei a coordinare le operazioni e che lui sta partendo per raggiungere il Gargano.
Pur non essendo a questo punto richiesta la nostra presenza, alle 11 decidiamo che il fenomeno è troppo straordinario per non andare a dare un’occhiata. In quattro e quattr’otto siamo in macchina, destinazione Gargano.
Arriviamo là verso le 16, piove e il cielo è tutto coperto, la luce sta scemando velocemente. Ci mettiamo un po’ a trovare il posto, poi un assembramento di auto indica chiaramente dove si sta svolgendo la tragedia. Scendiamo lungo il sentiero in mezzo alla pineta e siamo sulla spiaggia, alla nostra destra, un mezzo chilometro più in giù, un folto gruppo di gente e tante auto con i lampeggianti. Ci incamminiamo verso quella direzione, e poco dopo siamo in grado di vedere in acqua una sagoma scura. E’ il primo dei capodogli ancora in vita. Agonizzante in pochi centimetri d’acqua, fa male al cuore vedere la coda che ogni tanto si solleva, e stancamente ricade giù. E’ ovviamente coricato su un lato, quello destro, e la pettorale sinistra ogni tanto si muove e punta verso l’alto, quasi a implorare pietà. A volte le onde che si ritraggono scoprono totalmente l’enorme testone. Tutt’attorno, sulla spiaggia, gente e famiglie con bambini che assistono al tremendo spettacolo della morte in diretta.
Proseguiamo ancora ed ecco un secondo esemplare. Stessa scena di prima, ma questa volta ci sono dei veterinari che cercano di prendergli un campione di sangue dalla coda, apparentemente senza successo. La Capitaneria vede i loghi sulle nostre felpe e si avvicina. Chiacchieriamo un po’, non sembrano sapere assolutamente che fare. Non che si sia molto da fare.
Avanti ancora, fino a un terzo individuo. Questo sembra più piccolo ma anche meno stremato. Ogni tanto solleva addirittura la testa. Da lontano scorgiamo un quarto capodoglio, ma ne abbiamo abbastanza e decidiamo di tornare indietro.
Una troupe televisiva ci vede e ci ferma “E’ un’ora che camminiamo su e giù sulla spiaggia” ci dicono “qui non c’è nessun responsabile con cui parlare, possiamo intervistarvi?”. Dico di sì ma chiarisco che non siamo noi a gestire le operazioni e che da lì poco ce ne andremo.
Molta gente è imbufalita perchè nessuno fa niente per salvare gli animali. Ma hanno ragione solo a metà, perchè non si può far niente per salvare quei cetacei. Ma si potrebbe fare qualcosa per evitare che agonizzino per ore davanti alla gente. Infatti più tardi saprò che è stato chiesto al Ministero il permesso di praticare l’eutanasia sui capodogli sopravvissuti. Sono d’accordo, sarebbe la cosa migliore, ma so anche che stamattina (sabato) il permesso ancora non c’era e dunque uno dei tre è morto durante la notte e gli altri due agonizzano ancora dopo quasi 48 ore. Una tortura.
Noi ripartiamo quando si è fatto buio già da un’ora. Seguiremo la cosa a distanza e nel frattempo facciamo subito richiesta ufficiale per potere avere una carcassa dalla quale ricavare lo scheletro intero. Sarebbe un reperto di importanza scientifica e soprattutto educativa, fondamentale.
Il resto della storia è su tutti i giornali.
La notizia è eccezionale dal momento che l’unico altro spiaggiamento del genere in Italia risale al 1938, a Marzocca (7 esemplari).
Ho contattato Sandro Mazzariol dell’Università di Padova, che fra le altre cose è a capo di un gruppo di intervento che lavora sui grandi Cetacei, soprattutto praticando accurate autopsie, quando se ne presenta l’occasione. Sandro mi dice che è al corrente della cosa. La mattina dopo i grandi cetacei sono ancora lì, sono sette in tutto (a quanto pare due sono stati visti allontanarsi) e tre sono già morti.
Sento di nuovo Sandro che mi dice che sul posto è intervenuto il Centro Studi Cetacei a coordinare le operazioni e che lui sta partendo per raggiungere il Gargano.
Pur non essendo a questo punto richiesta la nostra presenza, alle 11 decidiamo che il fenomeno è troppo straordinario per non andare a dare un’occhiata. In quattro e quattr’otto siamo in macchina, destinazione Gargano.
Arriviamo là verso le 16, piove e il cielo è tutto coperto, la luce sta scemando velocemente. Ci mettiamo un po’ a trovare il posto, poi un assembramento di auto indica chiaramente dove si sta svolgendo la tragedia. Scendiamo lungo il sentiero in mezzo alla pineta e siamo sulla spiaggia, alla nostra destra, un mezzo chilometro più in giù, un folto gruppo di gente e tante auto con i lampeggianti. Ci incamminiamo verso quella direzione, e poco dopo siamo in grado di vedere in acqua una sagoma scura. E’ il primo dei capodogli ancora in vita. Agonizzante in pochi centimetri d’acqua, fa male al cuore vedere la coda che ogni tanto si solleva, e stancamente ricade giù. E’ ovviamente coricato su un lato, quello destro, e la pettorale sinistra ogni tanto si muove e punta verso l’alto, quasi a implorare pietà. A volte le onde che si ritraggono scoprono totalmente l’enorme testone. Tutt’attorno, sulla spiaggia, gente e famiglie con bambini che assistono al tremendo spettacolo della morte in diretta.
Proseguiamo ancora ed ecco un secondo esemplare. Stessa scena di prima, ma questa volta ci sono dei veterinari che cercano di prendergli un campione di sangue dalla coda, apparentemente senza successo. La Capitaneria vede i loghi sulle nostre felpe e si avvicina. Chiacchieriamo un po’, non sembrano sapere assolutamente che fare. Non che si sia molto da fare.
Avanti ancora, fino a un terzo individuo. Questo sembra più piccolo ma anche meno stremato. Ogni tanto solleva addirittura la testa. Da lontano scorgiamo un quarto capodoglio, ma ne abbiamo abbastanza e decidiamo di tornare indietro.
Una troupe televisiva ci vede e ci ferma “E’ un’ora che camminiamo su e giù sulla spiaggia” ci dicono “qui non c’è nessun responsabile con cui parlare, possiamo intervistarvi?”. Dico di sì ma chiarisco che non siamo noi a gestire le operazioni e che da lì poco ce ne andremo.
Molta gente è imbufalita perchè nessuno fa niente per salvare gli animali. Ma hanno ragione solo a metà, perchè non si può far niente per salvare quei cetacei. Ma si potrebbe fare qualcosa per evitare che agonizzino per ore davanti alla gente. Infatti più tardi saprò che è stato chiesto al Ministero il permesso di praticare l’eutanasia sui capodogli sopravvissuti. Sono d’accordo, sarebbe la cosa migliore, ma so anche che stamattina (sabato) il permesso ancora non c’era e dunque uno dei tre è morto durante la notte e gli altri due agonizzano ancora dopo quasi 48 ore. Una tortura.
Noi ripartiamo quando si è fatto buio già da un’ora. Seguiremo la cosa a distanza e nel frattempo facciamo subito richiesta ufficiale per potere avere una carcassa dalla quale ricavare lo scheletro intero. Sarebbe un reperto di importanza scientifica e soprattutto educativa, fondamentale.
Il resto della storia è su tutti i giornali.
a quanto pare il permesso è stato negato...non dico altro perchè forse è meglio evitare polemiche inutili al momento.
RispondiEliminaquando ho sentito la notizia al telegiornale venerdì ho immaginato che saresti stato coinvolto in qualche modo e che ne avresti scritto...
RispondiEliminauna mia cugina che lavora come biologa della pesca mi ha detto che l'unico risvolto positivo di eventi del genere è che alimentano in qualche modo l'interesse e di conseguenza i fondi per la ricerca nel settore della biologia marina, che tristezza che debbano succedere cose del genere però...
il mio insegnante di cetologia, Mauruzio Wurtz, ci ha parlato di questa tragedia a lezione, sottolineando ancora quanto l'uomo sia impreparato ad affrontare tali avvenimenti...non posso non essere amareggiata ma concorde..
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