Più o meno per coincidenza, negli ultimi giorni, mi sono trovato spesso a parlare di aree marine protette. Ad esempio, la settimana scorsa sono stato ad assistere a una riunione della IV commissione del Comune di Rimini, dove si parlava di pesca, e qualcuno ha tirato fuori il discorso (sentito persino troppe volte, senza risultati) di istituire una o più aree protette, viste le condizioni della pesca e del mare. C'è poi un mio amico, appassionato sub, che spesso mi parla di un progetto di affondare relitti o altro in Adriatico, per farci un parco, protetto e redditizio, sfruttando il turismo dei divers. Mentre un altro amico porta avanti un progetto di un "Parco dei relitti", dalle parti del monte Conero.
Coincidenze, ma mica poi tanto. Chi si trova spesso a parlare di mare, e chi lo fa dalla parte della tutela e della conservazione, ben presto arriverà anche alle aree marine protette, come soluzione, o almeno come una delle soluzioni ad una mare sofferente, sovrasfruttato e impoverito.
Così mi è anche tornato in mente un articolo, che ormai ha una decina d'anni, in cui B. S. Halpern, dell'Università della California, si domandava quale fosse l'impatto delle riserve marine: in pratica, funzionano o no?
Lo faceva studiando i dati di ben 89 aree marine protette, di dimensioni davvero molto varie: da una di 0,002 chilometri quadrati, alla più grande di 846 chilometri quadrati. Nello studio venivano presi in considerazione 4 fattori, confrontandoli fra quello che avveniva dentro alla riserva e fuori da essa: densità, biomassa (cioè la massa totale di tutti gli organismi viventi di una particolare area), taglia degli organismi e loro diversità.
I risultati non lasciano spazio a molti dubbi: all'interno di un'area marina protetta la biomassa degli individui è circa il triplo di quella riscontrabile all'esterno, mentre la densità è più o meno il doppio. Sia la diversità degli organismi che la loro taglia è circa il 20-30% più alta nelle riserve.
Che le riserve marine "funzionino", ormai lo sappiamo. Negli anni è diventato evidente anche il cosiddetto spillover effect, cioè il fenomeno, facilmente comprensibile, per cui le aree protette si "riempiono" di organismi che poi ovviamente fuoriescono e vanno a rimpinguare anche le zone limitrofe, che quindi subiscono i positivi effetti della riserva, senza esserlo loro stesse.
Ad esempio, come scrive Lester Brown nel suo Plan B 3.0 "Un caso di studio relativo a una zona di pesca dello snapper (pesce oceanico simile all’orata), al largo della costa del New England, ha evidenziato che i pescatori, nonostante si fossero violentemente opposti all’istituzione della riserva, ora si battono a favore avendo constatato che la popolazione locale di snapper è aumentata di 40 volte."
Insomma di riserve marine protette ci sarebbe un gran bisogno, anche tenendo conto che, a fine 2010, nel mondo ce n'erano circa 6800, e coprivano solo l'1,17% della superficie degli oceani (sigh).
Se volete approfondire, qua trovate molte notizie, mentre invece se volete "navigare" in tutte le aree protette del mondo, non perdetevi questo sito.
Che le riserve marine "funzionino", ormai lo sappiamo. Negli anni è diventato evidente anche il cosiddetto spillover effect, cioè il fenomeno, facilmente comprensibile, per cui le aree protette si "riempiono" di organismi che poi ovviamente fuoriescono e vanno a rimpinguare anche le zone limitrofe, che quindi subiscono i positivi effetti della riserva, senza esserlo loro stesse.
Ad esempio, come scrive Lester Brown nel suo Plan B 3.0 "Un caso di studio relativo a una zona di pesca dello snapper (pesce oceanico simile all’orata), al largo della costa del New England, ha evidenziato che i pescatori, nonostante si fossero violentemente opposti all’istituzione della riserva, ora si battono a favore avendo constatato che la popolazione locale di snapper è aumentata di 40 volte."
Insomma di riserve marine protette ci sarebbe un gran bisogno, anche tenendo conto che, a fine 2010, nel mondo ce n'erano circa 6800, e coprivano solo l'1,17% della superficie degli oceani (sigh).
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