mercoledì 25 gennaio 2006

News: una morte annunciata

Venerdì 20 gennaio scorso, un cetaceo particolare, un iperodonte si è reso protagonista di un fatto ancora più particolare: ha infatti lasciato le fredde, ma per lui consuete, acque del Mar del Nord, ed ha risalito per più di 60 kilometri quelle limacciose del Tamigi arrivando fino a Londra. La notizia ha fatto scalpore, e l’avventura del cetaceo è stata seguita da due ali di folla sempre più numerose sulle sponde del fiume, e poi anche dai mass-media che hanno riportato la notizia su giornali e televisioni.

L’esemplare ha tentato diverse volte di spiaggiarsi, sempre respinto indietro da volonterosi che gettatisi nelle acque gelide del fiume lo spingevano indietro. Tentativo apprezzabile, ma sbagliato. Se un cetaceo cerca di spiaggiarsi è proprio perché non ha più le forze nemmeno per sostenersi in acqua; per continuare a respirare in superficie, senza dover utilizzare energie che ormai non ha più, la soluzione è “appoggiarsi” a riva.

Questi segnali, uniti al fatto che comunque se un cetaceo lascia il mare e si infila in un fiume, un canale, un porto, un motivo c’è, facevano temere il peggio. E infatti poche ore dopo, proprio nel momento in cui l’animale è stato imbragato e sollevato dall’acqua in un disperato tentativo di recupero, è morto.

Quel venerdì, mentre la notizia si diffondeva, mi è stato chiesto più volte, dalla stampa, di esprimere un parere sulla vicenda, e su eventuali speranze di salvare l’iperodonte. Le risposta era sempre quella: se un cetaceo si comporta in quel modo, lasciando il suo ambiente per qualcosa di “alieno” e diverso come un fiume o un porto, ha dei problemi, di solito molto seri.

Questo è la prima considerazione che ci troviamo a formulare in casi del genere, e il pensiero non poteva non tornare al giugno scorso, quando, proprio sulla base di ragionamenti come questo, è iniziata l’operazione “Mary G.”. La storia è nota: il piccolo grampo, poi ribattezzato Mary, e sua madre, si erano venute a trovare all’interno del porto di Ancona, in mezzo ai pescherecci ormeggiati. La situazione ha più analogie con la storia dell’iperodonte di quanto non sembri. Ma non pensando a Mary che oggi, grazie al cielo e agli sforzi della Fondazione, è viva e vegeta, dopo 7 mesi di ospedalizzazione. Dobbiamo pensare alla mamma di Mary che, malata ha cercato riparo in un porto, come l’iperodonte l’ha cercato in un fiume, e che dopo nemmeno due giorni è morta, come è morto il cetaceo nel Tamigi.

Mary è l’eccezione, Mary è l’avvenimento che non ti aspetti, ma la cui salvezza si può comunque spiegare, non solo con l’enorme lavoro di veterinari, biologi e volontari, ma anche tenendo presente che Mary era in quel porto solo perché seguiva la sua mamma, da cui dipendeva in tutto e per tutto, essendo ancora una lattante. Mary probabilmente non era malata, e se lo era, lo era solo a causa degli ultimi giorni errabondi passati seguendo la madre in fin di vita.

Purtroppo l’esperienza maturata in 20 anni di recuperi e interventi su cetacei in difficoltà, ci ha insegnato che normalmente la triste fine che aspetta questi animali, è quella a cui è andata incontro anche “la balena” del Tamigi. E questo nonostante gli sforzi prodigati ogni volta da gruppi di intervento, improvvisati o meno.

Eppure è giusto continuare a provarci; intervenire su un delfino malato, sofferente è prima di tutto un dovere morale e un gesto di umanità, ed è importante continuare a farlo, anche facendo tesoro delle esperienze precedenti, pur se finite male.

Foto:
Peter Macdiarmid/Getty Images

2 commenti:

  1. piu' che un commento la mia vuole essere una curiosità...ma questo animale come faceva a sopravvivere in acqua dolce dato che il suo habitat è quello marino!?
    puo' darsi che parte del suo stress sia legato a un fattore di osmoregolazione?

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  2. I Cetacei, per tempi non troppo lunghi, non hanno problemi in acqua dolce. Soltanto dopo molte ore, eventualmente, possono avere problemi cutanei. Lo strato isolante di grasso e cute evita loro anche immediati disturbi di osmoregolazione.
    In questo caso l'acqua dolce era veramente l'ultima delle sue preoccupazioni.

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