L’abate Giuseppe Olivi, nel 1792 completava la sua opera di studio delle popolazioni biologiche dell’Adriatico, e pubblicava dunque la sua “Zoologia Adriatica”. Ad un certo punto del suo libro Olivi dice che “vi abbondano gli animali coperti d'integumenti duri per lo più calcarei, i quali decomponendosi contribuiscono di nuovo a formare concrezioni parimenti calcaree, che rendono quei letti ineguali ed aspri ...”. Insomma parla di concrezioni calcaree, di origine animale, che rendono i fondali, in alcuni punti, appunto ineguali e aspri.
Queste formazioni rocciose sono le tegnùe. La parola tegnùe o tenùe è veneta e significa “trattenute”. Il nome fu proprio affibbiato dai pescatori a queste rocce affioranti, a causa della loro capacità di trattenere le reti da pesca che appunto vi restavano impigliate. Anche se poi sono sempre state apprezzate dai pescatori stessi per la loro elevata pescosità.
Le tegnùe sono uno dei tesori nascosti del nostro Adriatico. Ed è molto strano che, nonostante la loro particolare popolazione biologica – in pratica sono delle mini-barriere coralline – siano state studiate solo a partire dagli anni sessanta.
Di tegnùe ve ne sono un po' in tutto l'Adriatico settentrionale, a profondità variabili dai 10 ai 40 metri, e in genere sono orientate in direzione parallela alla costa. Hanno dimensioni che vanno dai piccoli massi isolati fino a formazioni estese per centinaia di metri.
Le formazioni più estese e meglio conosciute sono quelle al largo di Chioggia. Queste rocce sono organogene carbonatiche, cioè costruite negli ultimi 3-4000 anni dagli organismi marini, generalmente sopra a substrati duri preesistenti formatisi per il consolidamento di sabbie. Si tratta in pratica come si diceva di vere e proprie barriere coralline naturali, solo che non sono coralline, in quanto i principali organismi costruttori qui non sono i coralli ma bensì le alghe rosse calcaree, chiamate "Corallinacee".
Ovviamente, un po’ come succede con i relitti, o con le basi delle piattaforma metanifere, questi substrati duri danno la possibilità a molte forme di vita di svilupparsi, dando origine a piccoli ecosistemi davvero ricchi e interessanti. Così questi affioramenti sono delle piccole isole di colore e di vita, che rompono la “monotonia” dei fondali più o meno uniformemente sabbiosi del nord Adriatico.
Vi si trovano spugne, ascidie coloniali e anemoni, tutti molto vari e colorati. Sono poi abitate da ofiure e crostacei, dai piccoli paguri agli astici. Tra i pesci è possibile osservare una moltitudine di bavose, castagnole, sacchetti e scorfani, non mancano i grandi gronghi e le corvine. Spesso è possibile osservare banchi di merluzzetti che volteggiano intorno alle rocce.
Nell’area di Chioggia, il valore naturalistico di questo habitat è stato riconosciuto e protetto con l'istituzione, nell'agosto 2002, di una Zona di Tutela Biologica che ha introdotto il divieto di pesca. L'area protetta è stata promossa dal Comune di Chioggia, da Enti di ricerca ed Università, dalla Regione Veneto, dal Ministero per le Politiche Agricole e Forestali, dalla Capitaneria di Porto, dalle associazioni dei pescatori e dagli operatori turistici, che oggi operano insieme nell'Associazione Tegnùe di Chioggia onlus (dal cui sito è tratta la foto, di Piero Mescalchin, che vedete in alto).
Le tegnùe sono uno dei tesori nascosti del nostro Adriatico. Ed è molto strano che, nonostante la loro particolare popolazione biologica – in pratica sono delle mini-barriere coralline – siano state studiate solo a partire dagli anni sessanta.
Di tegnùe ve ne sono un po' in tutto l'Adriatico settentrionale, a profondità variabili dai 10 ai 40 metri, e in genere sono orientate in direzione parallela alla costa. Hanno dimensioni che vanno dai piccoli massi isolati fino a formazioni estese per centinaia di metri.
Le formazioni più estese e meglio conosciute sono quelle al largo di Chioggia. Queste rocce sono organogene carbonatiche, cioè costruite negli ultimi 3-4000 anni dagli organismi marini, generalmente sopra a substrati duri preesistenti formatisi per il consolidamento di sabbie. Si tratta in pratica come si diceva di vere e proprie barriere coralline naturali, solo che non sono coralline, in quanto i principali organismi costruttori qui non sono i coralli ma bensì le alghe rosse calcaree, chiamate "Corallinacee".
Ovviamente, un po’ come succede con i relitti, o con le basi delle piattaforma metanifere, questi substrati duri danno la possibilità a molte forme di vita di svilupparsi, dando origine a piccoli ecosistemi davvero ricchi e interessanti. Così questi affioramenti sono delle piccole isole di colore e di vita, che rompono la “monotonia” dei fondali più o meno uniformemente sabbiosi del nord Adriatico.
Vi si trovano spugne, ascidie coloniali e anemoni, tutti molto vari e colorati. Sono poi abitate da ofiure e crostacei, dai piccoli paguri agli astici. Tra i pesci è possibile osservare una moltitudine di bavose, castagnole, sacchetti e scorfani, non mancano i grandi gronghi e le corvine. Spesso è possibile osservare banchi di merluzzetti che volteggiano intorno alle rocce.
Nell’area di Chioggia, il valore naturalistico di questo habitat è stato riconosciuto e protetto con l'istituzione, nell'agosto 2002, di una Zona di Tutela Biologica che ha introdotto il divieto di pesca. L'area protetta è stata promossa dal Comune di Chioggia, da Enti di ricerca ed Università, dalla Regione Veneto, dal Ministero per le Politiche Agricole e Forestali, dalla Capitaneria di Porto, dalle associazioni dei pescatori e dagli operatori turistici, che oggi operano insieme nell'Associazione Tegnùe di Chioggia onlus (dal cui sito è tratta la foto, di Piero Mescalchin, che vedete in alto).
Interessantissimo questo discorso dei reef dell'Adriatico. In questi giorni ho letto molto del reef artificiale che si è formato nelle acque che avvolgono il relitto del "Paguro". Dalle immagini sembra una piccola osai colorata ed accogliente. Mi domandavo però che tipo di impatto ambientale provocò l'esplosione ed in seguito l'incendio che durò tre mesi. Da quando è sorta la piattaforma metanifera davanti a casa mia ho cercato di documentarmi il più possibile. Non riesco ad avere informazioni concrete riguardo a cosa comporta a livello ambientale la presenza di queste piattaforme. Quindi lo chiedo a te Marco; ci sono pericoli dei quali dovremmo essere a conoscenza?
RispondiEliminaun saluto a tutti
Christina