Oggi vorrei approfittare di Elena, una amica conosciuta su
Goodreads.com, per rispondere a due domande che, in forme diverse, ma uguali nella sostanza, spesso mi vengono poste.
Elena ha letto "Il mare che non ti aspetti" e mi scrive "Marco, sulla vicenda di Mary G... quando ti chiedi se vale la pena di affrontare tutte le spese e gli sforzi per salvarla, solo per avere un delfino in piu' nel mare... ti giro la domanda: saresti riuscito a guardarla morire?".
Io le ho risposto che questa domanda merita una lunga e ponderata risposta, e lei allora aggiunge: "immagino.... anche perche' continuando a leggere il libro mi sembra di percepire una sorta di tensione interna tra il biologo, piu' scientifico e distaccato che dice che raramente si affeziona agli animali, e l'animalista che pero' nell'ultima pagina dice di non essere animalista ma dimostra di amare gli animali (credo, altrimenti come faresti a fare un lavoro cosi'???!!!)"
Dunque la prima domanda, brutale, è: sarei riuscito a guardare morire Mary G? La risposta è che, no, allora, in quel momento, non ci sarei riuscito. E' cambiato qualcosa da allora? Sì. E molto è cambiato proprio a causa di Mary G.
Ho già scritto diverse volte che la vicenda di Mary G. ha cambiato il mio modo di vedere alcune cose, e ha dato inizio a
profondi ripensamenti che poi si sono portati dietro altri effetti collaterali (esempi recenti: la mia svolta decisa verso il pensiero contro la cattività, come
qui e
qui, e le mie letture recenti sulla bioetica animale). Ne "Il mare che non ti aspetti", che è stato scritto a cavallo fra il 2005 e il 2006, si leggono le prime avvisaglie di queste riflessioni. Ma altri anni sono passati e le mie riflessioni sono continuate.
Recentemente sono stato membro di un tavolo tecnico (
ne ho parlato qui) nato per volontà del Ministero dell'Ambiente e che ha il compito di redigere le linee guida per gli interventi sui Cetacei spiaggiati vivi. Il gruppo è composto da una decina di persone e consta di un biologo, un naturalista (io), una esperta di bioetica e diversi veterinari (quasi tutti afferenti ai parchi e dunque legati alla cattività). Bene, il punto che ha causato le discussioni più accese e feroci è stato proprio sollevato da me, e deriva dall'esperienza di Mary. In pratica ho affermato che per quanto mi riguarda
non avrei voluto mai più un'altra Mary G.
Nel caso cioè di un delfino che può essere salvato ma che sarebbe comunque destinato alla cattività, cioè un piccolo non svezzato o un animale con gravi mutilazioni,
andrebbe secondo me praticata l'eutanasia. E' durissima pensare di sopprimere un cucciolo che invece si potrebbe salvare, ma se non lasciarlo morire significa condannarlo a una vita in cattività, io credo si debba decidere per la soppressione.
Voglio essere molto chiaro: stiamo parlando di un animale che sarebbe morto senza l'intervento dell'uomo, ma che noi decidiamo di fare sopravvivere, destinandolo a una vita di una qualità decisamente inferiore a quella naturale, selvatica.Non lo trovo accettabile (anche perché molte altre considerazioni gravano attorno a questa decisione, come ad esempio il valore dal punto di vista della conservazione, di un animale spiaggiato, e molto altro). Quindi, sì, oggi come oggi, io... guarderei Mary morire. O meglio, l'aiuterei a farlo.
Il
secondo punto è più facile. Innanzitutto non mi sono mai definito animalista (ma oggi, forse, chissà...) perchè ho sempre dato al termine un'accezione negativa, intendendo con questo nome un fanatico, uno disposto a tutto per la difesa degli animali (o di un singolo animale, concetto che per me ha una valenza molto diversa). Detto questo, è vero, non mi affeziono mai al singolo animale, non ci riesco proprio, salvo rare eccezioni: il gatto di casa,
la tartaruga Sole...
Non credo sia solo questione di "biologo, scientifico e distaccato", ma anche e soprattutto di un affetto e di un profondo amore per gli animali, ma che si esprime su un altro livello. Come ho già scritto: ho per loro un profondo rispetto, rispetto la loro natura, il loro essere, la loro dignità. Non sono pet, sono solo altri abitanti del nostro stesso pianeta. Come noi, al pari di noi.