mercoledì 23 dicembre 2009

Buone feste


Auguro a tutti voi di trascorrere delle feste
dolci come il pandoro,
serene come un bimbo che dorme,
calde come la vostra poltrona preferita,
appassionate come la persona che vi fa battere il cuore,
preziose come la sapienza di un nonno,
amorevoli come la mano di una mamma,
intense come le parole di un amico vero,
divertenti come l'ultima volta che vi siete lasciati andare.
Praticamente perfette, come madre natura.

Auguri

Marco

sabato 19 dicembre 2009

Capodogli e mosche

E così dopo internet, i quotidiani, e dopo i quotidiani la televisione: adirittura il TG1! Tutti a riprendere la storiella che i capodogli sono morti a causa delle buste di plastica che avevano ingerito. Anzi che il capobranco aveva ingerito, e gli altri dietro a lui, fedeli, lo hanno seguito, fino alla fine, fino alla morte. E venivano addirittura dall'Atlantico. Che storia!
Peccato sia una bufala, un'invenzione. Qualcuno in cerca dei suoi cinque minuti di notorietà l'ha confezionata, e tutti pronti a cascarci dentro con le mani e con i piedi.
I sacchetti negli stomaci c'erano, ma non aveano causato danni, e NON sono la causa dello spiaggiamento. Dubito fortemente che quel gruppo avesse un "capobranco"; andiamo, basta con queste storielle sugli animali sempre uguali. Ma che schifo.
Ma non si poteva aspettare che chi ha fatto le autopsie comunicasse ufficialmente cosa aveva trovato (Sandro, se mi leggi, fallo presto, serve chiarezza in questa vicenda)? Bisogna cavalcare la notizia ancora fresca, approfittando delle intense emozioni (questa sì, una bella novità) che questo spiaggiamento ha suscitato negli italiani, per far parlare magari più di sè. E vai poi di opinionisti, di corsivi sui quotidiani, tutti già sicuri, senza nemmeno un dubbio: li ha uccisi la plastica. Non lo diaciamo sempre, che i nostri rifiuti in mare uccidono gli animali marini? Ecco la dimosrazione, semplice no?
Mi direte, ma con chi ce l'hai? C'è l'ho con chi approfitta del clamore di questa storia. Ce l'ho con chi vuole una risposta, subito, per cui prende la prima che gli passa davanti, magari ben confezionata (ma neanche poi tanto).
Le cause di questo spiaggiamento vanno indagate, e magari scopriremo che c'entra davvero l'uomo, e non ci stupiremmo più tanto, ma è un fenomeno complesso e non si può improvvisare nel tirare le conclusioni (tra l'altro pare che uno dei capodogli sia stato identificato come un esemplare fotografato per otto anni consecutivi nelle acque della Grecia ionica, altro che Atlantico!).
Questi capodogli, con il loro dramma, queste figure totemiche, quasi mitologiche che finiscono a morire insieme su una spiaggia pugliese, sono come miele per le tante mosche che vi ronzano attorno. Alcune si occupano di cetacei e di spiaggiamenti da anni, altre si sono imporvvisate esperti.
Sono come le mosche, quelle vere stavolta, che adesso ronzano attorno a quelle carcasse smembrate e putrescenti, a quegli scheletri dal valore scientifico/educativo inestimabile, ma che forse finiranno male, persi per incuria e intempestività, come rifiuti in qualche discarica. E qualcuno ci guadagnerà pure, e non poco.
Fondazione Cetacea nel suo piccolo ha subito presentato alla regione Puglia il suo grande progetto, per recuperare tutti e sette gli scheletri, lasciandoli pulire in mare, con una tecnica già sperimentata: pulita, rapida, persino economica. Di più, noi proponevamo poi di lasciare lì i reperti finali, montati ed esposti, lì in Puglia, senza mandarli in giro per diversi musei in Italia. L'avevamo chiamato "La spiaggia dei Capodogli". Il progetto è piaciuto a molti, ma non a chi si vedeva sottrarre l'osso succulento (metafora azeccata, no?) e dunque non passerà.
E va beh, tanto sai quanti ne capitano di spiaggiamenti del genere...

lunedì 14 dicembre 2009

Inumano

Sul caso dei capodogli il Ministro Stefania Prestigiacomo dice "Era stato deciso di abbreviare l’agonia dei capodogli morenti con una forma di eutanasia medica, ma purtroppo non sono disponibili in Italia dosi del farmaco indicato. Ho ritenuto e continuo a ritenere inumano farli uccidere a colpi di armi da fuoco pesanti".
Inumano mettere fine alle sofferenze di quelle bestie con un colpo di fucile?
E' stato dunque più umano lasciarli agonizzare per 48 ore, coricati su un fianco, impossibilitati a muoversi, schiacciati dal loro stesso peso, lottando per ogni respiro?

sabato 12 dicembre 2009

I capodogli morenti

Giovedì sera, due giorni fa, mentre ero a cena ho ricevuto la telefonata del mio amico Giovanni, del Centro Recupero Tartarughe Marine di Manfredonia. Mi informava di quella che poi sarebbe stata la notizia del giorno dopo: un gruppo di capodogli, 6, 10, 9, all’inizio i numeri erano confusi, si stava spiaggiando sulla costa settentrionale del promontorio del Gargano, nei pressi del lago di Lesina.
La notizia è eccezionale dal momento che l’unico altro spiaggiamento del genere in Italia risale al 1938, a Marzocca (7 esemplari).
Ho contattato Sandro Mazzariol dell’Università di Padova, che fra le altre cose è a capo di un gruppo di intervento che lavora sui grandi Cetacei, soprattutto praticando accurate autopsie, quando se ne presenta l’occasione. Sandro mi dice che è al corrente della cosa. La mattina dopo i grandi cetacei sono ancora lì, sono sette in tutto (a quanto pare due sono stati visti allontanarsi) e tre sono già morti.
Sento di nuovo Sandro che mi dice che sul posto è intervenuto il Centro Studi Cetacei a coordinare le operazioni e che lui sta partendo per raggiungere il Gargano.
Pur non essendo a questo punto richiesta la nostra presenza, alle 11 decidiamo che il fenomeno è troppo straordinario per non andare a dare un’occhiata. In quattro e quattr’otto siamo in macchina, destinazione Gargano.
Arriviamo là verso le 16, piove e il cielo è tutto coperto, la luce sta scemando velocemente. Ci mettiamo un po’ a trovare il posto, poi un assembramento di auto indica chiaramente dove si sta svolgendo la tragedia. Scendiamo lungo il sentiero in mezzo alla pineta e siamo sulla spiaggia, alla nostra destra, un mezzo chilometro più in giù, un folto gruppo di gente e tante auto con i lampeggianti. Ci incamminiamo verso quella direzione, e poco dopo siamo in grado di vedere in acqua una sagoma scura. E’ il primo dei capodogli ancora in vita. Agonizzante in pochi centimetri d’acqua, fa male al cuore vedere la coda che ogni tanto si solleva, e stancamente ricade giù. E’ ovviamente coricato su un lato, quello destro, e la pettorale sinistra ogni tanto si muove e punta verso l’alto, quasi a implorare pietà. A volte le onde che si ritraggono scoprono totalmente l’enorme testone. Tutt’attorno, sulla spiaggia, gente e famiglie con bambini che assistono al tremendo spettacolo della morte in diretta.
Proseguiamo ancora ed ecco un secondo esemplare. Stessa scena di prima, ma questa volta ci sono dei veterinari che cercano di prendergli un campione di sangue dalla coda, apparentemente senza successo. La Capitaneria vede i loghi sulle nostre felpe e si avvicina. Chiacchieriamo un po’, non sembrano sapere assolutamente che fare. Non che si sia molto da fare.
Avanti ancora, fino a un terzo individuo. Questo sembra più piccolo ma anche meno stremato. Ogni tanto solleva addirittura la testa. Da lontano scorgiamo un quarto capodoglio, ma ne abbiamo abbastanza e decidiamo di tornare indietro.
Una troupe televisiva ci vede e ci ferma “E’ un’ora che camminiamo su e giù sulla spiaggia” ci dicono “qui non c’è nessun responsabile con cui parlare, possiamo intervistarvi?”. Dico di sì ma chiarisco che non siamo noi a gestire le operazioni e che da lì poco ce ne andremo.
Molta gente è imbufalita perchè nessuno fa niente per salvare gli animali. Ma hanno ragione solo a metà, perchè non si può far niente per salvare quei cetacei. Ma si potrebbe fare qualcosa per evitare che agonizzino per ore davanti alla gente. Infatti più tardi saprò che è stato chiesto al Ministero il permesso di praticare l’eutanasia sui capodogli sopravvissuti. Sono d’accordo, sarebbe la cosa migliore, ma so anche che stamattina (sabato) il permesso ancora non c’era e dunque uno dei tre è morto durante la notte e gli altri due agonizzano ancora dopo quasi 48 ore. Una tortura.
Noi ripartiamo quando si è fatto buio già da un’ora. Seguiremo la cosa a distanza e nel frattempo facciamo subito richiesta ufficiale per potere avere una carcassa dalla quale ricavare lo scheletro intero. Sarebbe un reperto di importanza scientifica e soprattutto educativa, fondamentale.
Il resto della storia è su tutti i giornali.

venerdì 4 dicembre 2009

Delfinari...

Quando ho iniziato a lavorare per Fondazione Cetacea, questa aveva la sua sede in un piccolo ufficetto all'interno del delfinario di Riccione. Dopo alcuni anni ci siamo trasferiti in un contesto più ampio, il parco Oltremare, dove le occasioni di contatto con i delfini erano molto minori, ma era ed è comunque una struttura che incentra molte delle sue attività e promozioni, sulla grande vasca dei delfini. Da un anno e mezzo a questa parte siamo in una nuova sede, totalmente autonoma, e adesso lontana da tutto il mondo della cattività.
Ho premesso questo perchè quando parlo di delfini in cattività sia chiaro che so di cosa parlo.
Nei primi due anni al delfinario mi occupavo soprattutto di educazione e didattica. Ho fatto decine e decine di visite guidate, di approfondimenti, di lezioni. Il discorso cattività emergeva quasi sempre. Io riportavo il "messaggio standard" dei delfinari: c'è un risvolto educativo in queste strutture, i bambini non hanno occasione di vedere i delfini dal vero in mare, qui si divertono e imparano, eccetera eccetera. Poi c'è l'aspetto delle ricerche, che in vasca si possono fare con relativa facilità, e le informazioni apprese possono poi essere utili per azioni di conservazione e tutela della specie in mare.
Con il tempo e l'evolversi di Fondazione Cetacea, ma anche e soprattutto della mia coscienza e conoscenza di certe tematiche, ho in gran parte cambiato idea.
No, non credo più che i delfinari siano educativi. Se i miei figli mi chiedono di andarci (per la verità non lo fanno praticamente mai) ho qualche remora e almeno alle due bimbe grandi spiego che quello che vedranno sarà forse divertente, ma quelli non sono "veri" delfini, semmai sbiadite caricature delle splendide creature che potrebbero avere la fortuna di vedere in mare, un giorno.
Per quanto riguarda la ricerca, penso ancora che si possa approfittare degli animali in vasca, per ricavare preziose informazioni. Forse in qualche caso anche utili in senso più generale. Ma penso anche che il gioco non valga la candela.
Mi rendo conto che non si possono chiudere di botto zoo e delfinari e liberare tutti gli animali (sono convinto che moltissimi animalisti lo farebbero all'istante). Non è mandandoli a morire , perchè questo succederebbe, che risolve il problema. Credo che la cosa fondamentale sarebbe invece ALL'ISTANTE, vietare ogni nuovo ingresso che non provenga da riproduzioni o da animali salvati da morte certa e non più rilasciabili in natura (sebbene anche questo secondo caso mi disturba assai). Purtroppo so per certo che il "sistema delfinari", pur con le tecniche all'avanguardia di oggi, non si auto-sostiene. Cioè le nascite non controbilanciano le morti. Fatto gravissimo, ma contiene la soluzione in sè: lasciamo che i delfinari si estinguano con la continua diminuzione delle popolazioni in vasca, non permettendo loro di attingere dall'ambiente naturale. Che nel 2009 si catturino ancora delfini in mare per rinchiuderli in vasca mi fa inorridire. Mi piacerebbe che a poco a poco queste strutture anacronistche (andiamo! chi ha ancora bisogno di andare a vedere i delfini saltare in vasca?) morissero di morte naturale, come una reliquia del passato.

Questo, a mio parere, è vero al di là delle storie più o meno tragiche e più o meno trite e ritrite che girano su queste strutture già da vent'anni, e che qualcuno riporta senza nemmeno rinnovarle un pochino!
E' il caso di questo articolo che ho ritrovato già diverse volte sul web e anche quasi sicuramente in una rivista sulla natura del Salento. Mal sopporto chi scrive senza documentarsi, mettendo insieme luoghi comuni e pezzeti di vecchie cose, trovate qua e là.
Si parla di "numerosi maltrattamenti subiti" da questi animali nei delfinari. Mai visto niente del genere. E' una sciochezza enorme! E poi chi rovinerebbe la propria gallina dalle uova d'oro? I delfinari fanno i soldi con i delfini, e devono in ogni modo mantenerli in perfetta salute. A questo si aggiunga in molti casi, il grande amore che gli addestratori mostrano per i loro delfini (sarà magari un amore malato, ma comunque...).
Non è vero che i delfini vengono costretti a lavorare prendendoli per fame. Un'altra sciocchezza colossale. La prima cosa che fa un delfino che non si sente bene è proprio smettere di lavorare. E l'articolo prosegue così, con dati, idee, convizioni errati e quanto meno vecchi, superati: presunti suicidi, aspettative di vita smentite dalla realtà dei casi, etc.

Cari attivisti anti-delfinari, sono con voi! Liberiamoci di questo spettacolo che non ha più niente a che fare con il nostro tempo e che offende la nostra sensibilità umana. Ma facciamolo con criterio e razionalità. Abbiamo mille argomenti validi, a partire da quello che deve essere un doveroso e ritrovato rispetto per l'ambiente naturale che è anche il nostro ambiente. L'unico che abbiamo. Lasciamo però le pagliacciate ad altri.

giovedì 26 novembre 2009

A piccoli passi

In un post di poco tempo fa citavo un libro che stavo leggendo, e che ora ho finito. Il libro è quello di Maurizio Pallante "La descrescita felice". Tempo dopo sono anche andato a sentire Pallante alla presentazione del suo libro nuovo: "La felicità sostenibile".
Mi piace molto l'idea della decrescita, il mettere a nudo l'assurdità della nostra società dove tutto è sempre solo legato e orientato verso i consumi. La produzione e i consumi devono sempre crescere, crescere, crescere... Il PIL, questo fantomatico dio economico a cui siamo sempre e tutti votati. Bisogna comprare, non importa cosa, non importa se serve, ma compriamo! Spendiamo! Consumiamo! E per consumare tanto, bisogna guadagnare tanto, e dunque lavorare tanto. A scapito del resto, lavorare sempre.
"Lavoriamo più degli schiavi ai tempi dei Faraoni. Per trent'anni. Quarant'anni, cinquant'anni. L'età della pensione si allontana fino a coincidere con quella della morte. Il lavoro ha, sempre più spesso, come unico obiettivo uno stipendio. Non è importante che il lavoro sia utile, necessario per la società o per l'individuo che lo svolge. Lo scopo di un'attività è, di solito, il denaro che se ne può ricavare. Denaro che serve per comprare beni inutili, prodotti da altre persone che fanno altrettanti lavori inutili. Per rendere utili beni inutili, aumentare la salivazione dei consumatori, abbiamo inventato l'industria della pubblicità. Un inganno colossale, un'autoipnosi a fini di lucro." scrive Beppe Grillo nel suo blog.

Ma tornando alla decrescita, trovo che quello che dice Pallante sia più che giusto, e la strada che lui traccia è senz'altro da seguire, ma applicare la sua teoria alla vita pratica è davvero difficile. Spesso impossibile. Eppure bisogna cercare di fare ognuno il proprio piccolo passo verso il futuro, verso una vita più intelligente, più rispettosa e sostenibile, ma anche più nostra. Facciamo noi le nostre scelte, e non lasciamo che altri scelgano per noi.

Ho provato a fare l'elenco di quel poco che sto facendo, per andare verso una vita più sostenibile, per sposare la decrescita. Un esercizio utile, se non altro per capire quanto molto altro potrei fare. Vediamo un po', andando a memoria e senza ordine.

Raccolta differenziata: va beh dai, troppo facile, la facciamo da anni in casa.
Lampadine a basso consumo: sì, le ho cambiate tutte in casa, tranne quella della piantana del salotto, che essendo regolabile, non ne vuole sapere delle lampade nuove. Grrr...
Bere solo acqua di rubinetto: da poco tempo, ma ce l'ho fatta. Non è stato facile convincere la famiglia che era la cosa giusta, ma da qualche settimana siamo partiti. Prima avevo una caraffa di quelle col filtro interno, poi ho letto su Altroconsumo che possono dare problemi di sviluppo di batteri. Adesso abbiamo una bella caraffa di vetro che riempiamo e poi basta aspettare una decina di minuti che il cloro evapori. Buona, economica, e basta con tutte quelle bottiglie di plastica. Evviva.
Prendere il latte dal distributore: ero partito bene, c'è pure un distributore vicino a casa mia, ma da un po' non lo faccio più. Devo ricominciare, senza meno. Basta tetrapak o plastica, e il latte è pure più buono (ma non è indicato per i bimbi sotto i 3 anni e io ne ho uno).
Fare acquisti tramite il Gruppo di Acquisto Solidale: sì! La cosa più importante e più recente per me. Ci si iscrive a un Gruppo di Acquisto Solidale (il mio è il Rigas, quello di Rimini) e tramite il sito www.economia-solidale.org si fanno gli acquisti. Poi un giorno o due alla settimana si ritira la spesa. Bellissimo comprare solo cose prodotte a due passi da casa tua, biologiche e buonissime, direttamente dai produttori, senza intermendiari e senza viaggi di merce da chissà dove. Ad esempio il miele che ritirerò sabato viene da Mondaino, a meno di 40 km da Rimini, mentre il vasetto che ho a casa, preso alla Coop, viene dall'Ungheria...
Car sharing: ci provo. Sempre tramite il sito www.economia-solidale.org, ho messo a disposizione i miei viaggi Rimini-Riccione (casa-lavoro) a chiunque voglia condividere gli spostamenti. Vedremo...
Banca del tempo: sempre sullo stesso sito; ancora non ho fatto niente per questo, mi riprometto di pensarci
Vendere e comprare dai negozi che "riutilizzano" giochi, vestiti e altro, per bambini: bella idea, perchè no? Ho scoperto che ce n'è uno anche a Rimini, Ho tre figli e crescono in fretta, lasciandosi indietro giocattoli e vestiti, ancora praticamente nuovi. Perchè non metterli a dispozione di altri, e non usare quello che altri hanno messo a disposizione prima di me? Basta con questa cultura dell'"usa e getta". Usa e riusa!!
Telelavoro: nei mesi invernali, quando il nostro lavoro è più basato sul progettare che non sul fare, sto molto tempo al computer. Perchè non farlo da casa? Basta il pc, il telefono e un collegamento a internet (ho tutto). Mi piacerebbe farlo uno o due giorni alla settimana. Sai il tempo e la benzina risparmiata? Ma è un concetto duro da far passare a chi vede il lavoro in modo "tradizionale". Vedremo.

C'è molto altro che potrei fare? Ovviamente sì, ma sono contento di quello che già sto facendo o pensando di fare. E se i figli imparano seguendo gli esempi che vedono con i loro occhi, allora forse sto anche facendo più di quello che penso.
Se avete però suggerimenti su cos'altro potrei fare, fatelo sapere!

venerdì 6 novembre 2009

No gas, grazie

Luca Amico, del Comune di Numana e amico e collaboratore da anni di Fondazione Cetacea, mi ha chiesto di elaborare insieme a lui una relazione tecnica, per conto del Comune di Sirolo. La relazione tecnica è una denuncia contro il progetto "Terminale GNL Tritone Offshore Marche".
In pratica c'è in progetto di installare, circa 34 chilometri al largo del Conero, un enorme struttura detta comunemente "rigassificatore", lunga come tre campi da calcio, che comprende enormi serbatoi di gas metano.
Non ne sapevo niente di rigassificatori, ma basta cercare un po' sulle rete e viene fuori di tutto. Dalle numerose voci contro, che parlano di elevata pericolosità e alto impatto ambientale, a quelle a favore. Ad esempio il più grande rigassificatore al mondo si trova al largo del Veneto ed opera da pochi mesi. E' stato inaugurato dal Berlusca in persona. Solo articoli positivi sulla struttura veneta, e già questo è sospetto...
Sul rigassificatore del Conero si sta mettendo in azione un ampio movimento di protesta, e molte informazioni si trovano su un sito creato ad hoc: www.rigassificatorenograzie.com.
La società che costruirà la struttura si chiama Gaz de France, e tra le altre cose, scrive: "L’area di mare interessata dalla realizzazione del Terminale GNL e del gasdotto ad esso collegato non rappresenta una zona abituale di stazionamento di rettili o mammiferi marini, bensì di passaggio al seguito delle rotte delle navi o nel corso delle loro migrazioni". E ancora "L’area di mare interessata dalle opere a progetto non rappresenta una zona abituale di stazionamento di rettili o mammiferi marini".
Sulla seconda affermazione c'è poco da dire, è una sciocchezza; tartarughe e delfini in quella area ce ne sono eccome.
La prima frase tende a ridurre l'importanza della presenza di questi animali "perchè lì sono solo di passaggio". E se anche fosse?
Il rigassificatore in attività prevede un intenso trattamento delle acque marine stimato in 14.000 metri cubi all'ora, porterà ad un importante abbassamento della temperatura dell’acqua che nei pressi della struttura offshore è stato stimato, in fase di progetto, in – 7° C e che interesserà una colonna d’ acqua di circa 40 mt di profondità.
Lo stesso enorme tubo che collegherà il rigassificatore alla terraferma (a Porto Recanati), abbasserà la temperatura dell'acqua circostante.
Questi abbassamenti di temperatura così cospicui e su aree così ampie possono rappresentare una vera barriera per gli spostamenti, migratori o no, di delfini e tartarughe. L'impatto ci sarà, si sono pochi dubbi. E addirittura ho sentito parlare di acqua clorata, che sarebbe un altro disastro.
Non conosco ancora troppo la materia per dare giudizi definitivi ma la cosa mi preoccupa non poco, e continuerò a leggere e seguire la vicenda. Fatelo anche voi (soprattutto se abitate in zona) cominciando proprio da www.rigassificatorenograzie.com.
Ci sono altri rigassificatori in costruzione o in progetto, in giro per l'Italia, o per il mondo. Volevano farne uno anche nel golfo di Trieste, ma la Slovenia ha fatto saltare tutto. Sembra che questo sia il business del momento. Ma questi mostri fanno paura.
Un'ultima cosa: il rigassificatore appena partito al largo di Rovigo coprirà, da solo, il 10% dei bisogni di metano dell'Italia. Gas che prima evidentemente veniva acquistato da altre parti. Prima non c'era, adesso c'è: dobbiamo aspettarci una diminuzione della bolletta del gas?
Tra l'altro sembra pure che questo gas non serva, ne abbiamo già troppo: leggete qua.

venerdì 30 ottobre 2009

Aspettando LineaBlu

Ieri avevo appuntamento con la troupe di LineaBlu, per parlare dell'emergenza tartarughe di questa estate. Li avevo contattati ad agosto, in pieno allarme, si sono fatti vivi i primi di ottobre...
Sarebbero dovuti venire a Riccione, ma poi mi hanno chiamato che non era possibile, e avrei dovuto raggiungerli io a Porto Garibaldi.
Mercoledì rimedio (a pagamento!) le immagini che in agosto aveva girato San Marino RTV al nostro Ospedale, almeno anche la Rai potrà mostrare l'emergenza nel momento che avveniva...
Ieri mattina lascio i figli a scuola e alle 8,30 sono già in viaggio. La Romea è la solita stradaccia, camion e lavori ovunque, ma gran bei paesaggi in certi punti. Pinete e aree umide.
Arrivo a destinazione alle 10. Mi fermo sul portocanale per chiedere informazioni sul punto in cui abbiamo l'appuntamento, e proprio davanti alla macchina attracca una vedetta della Capitaneria, con a bordo la troupe. Pura coincidenza. Mi faccio riconoscere e mi dicono ok, aspetta che adesso partiamo con le macchine e andiamo dove si gira. Passa un'ora. Donatella Bianchi è al telefono che urla con qualcuno, gli altri (10-12 persone) caricano le macchine e le attrezzature, ma senza fretta.
Finalmente partiamo e... facciamo meno di un chilometro. In pratica attraversiamo il porto canale e ci fermiamo vicino ad un approdo turistico, nei pressi di un ristorante-enoteca. Si scarica l'attrezzatura e fra una cosa e un'altra passa un'altra ora. Io posso incavolarmi a bestia o prenderla con filosofia. Scelgo la seconda, e passeggio lungo i moli, si sta bene e cammino volentieri.
Mi fermo a vedere un pescatore che tira su dei pesciolini con una bilancina. Quelli grandini li tiene, quelli piccolini li ributta in acqua, mentre i granchi li sbatte a terra e li schiaccia con la scarpa. Aaaagh...
Finalmente iniziano le riprese ma prima di me ci sono le interviste con quelli del ristorante, che parlano di vino e anguille. Viene ripresa la preparazione delle anguille. Sbattute vive su un tavolo di legno, gli piantano un coltello in testa, poi gli inchiodano la coda al legno (perchè si muovono ancora) e infine le tagliano lungo il corpo, fino a ottenere il lungo filetto. Poi via sulla brace.
Si passa poi a un altro servizio, non so bene su cosa, perchè mi sono allontanato a fare ancora due passi. Finalmente alle 13,30 tocca a me, tre ore e mezza dopo l'orario stabilito...
Facciamo l'intervista sull'estremità di un pontile. Donatella finalmente mi stringe la mano e forse si ricorda di avermi già intervistato almeno altre due o tre volte, negli anni. O forse no... Mi fa togliere il giubbotto così si vede bene la felpa di Cetacea.
Come al solito è molto preparata (ha studiato il dossier che lo ho mandato), non deve chiedermi spiegazioni prima, nè concordare niente, e sa bene quali domande fare.
Un paio di minuti ed è già fatta. Così è la tv, tanto lavoro per pochi attimi di realizzazione vera. A chi piace...
Il tempo di una piadina con la porchetta e sono in strada. Penso che sarebbe stato meglio parlare di questa cosa in piena estate, non adesso a bocce ferme. Peccato, ma va bene lo stesso, almeno se ne parla.
La puntata dovrebbe andare in onda il 14 novembre, ma attendo conferma. E vi farò sapere.

venerdì 23 ottobre 2009

Pensieri sparsi...

...in un piovoso venerdì sera.

Le mareggiate di questi giorni stanno portando a riva un sacco di animali morti. Oltre dieci tartarughe e un delfino, in pochi giorni. Tutti animali abbastanza grossi – il delfino era oltre tre metri! – e in avanzata decomposizione. Il mare fa le pulizie.

Abbiamo, ricoverate all’Ospedale delle Tartarughe, ancora una ventina di tartarughe di quelle piccole di quest’estate, più la mascotte Sole, il gobbo Quasimodo, il povero Monocolo con la testa spaccata da un elica, e Nevio a cui manca una natatoia anteriore. Prima che il mare diventi proprio freddo freddo, ci libereremo di altre 8-9 piccoline, ma poi per l’inverno le altre rimarranno qua. Dunque, sarà un lungo e duro inverno.

Nel mese scorso ho lavorato tanto a un grosso progetto che partecipa a un bando europeo, capitanato dal Comune di Venezia, e con dentro tanti partner, anche sloveni, croati e albanesi. E’ un progetto dal budget pesante, che riguarda tartarughe e delfini adriatici e che tanto bene farebbe al nostro Ospedale e al nostro lavoro. Scadenza bando settimana prossima, poi c’è da tenere le dita incrociate…

Alla conferenza del 16 ottobre a Roma, sugli squali, pubblico scarsissimo. Roma offre mille possibilità e avere visibilità è durissima. Peccato per c’era una bella location, dei bravi relatori (ehm…) e una causa, quella degli squali, davvero importante. Per me è stata anche l’occasione di rivedere due amiche, volontarie della Fondazione nel 2000 o 2001 che non si sono dimenticate di quella esperienza, e scambiare quattro chiacchiere davanti a un’ottima pizza (alta, per favore!). Un bacio Federica e Viviana.

Dialogo con Tommaso, mio figlio di due anni e mezzo.
T: papà dove vai?
Io: a lavorare
T. Ancora?
Io: eh sì, ancora…
T: vai dalle tattaughe?
Io: sì vado dalle tartarughe
T: perchè ‘tanno male?
Io: sì, hanno la bua
T: hanno tanta bua?
Io: sì
T: guadda papà (mi mostra una caviglia scorticata), anche io ho la bua…
Chiaro il messaggio, no? Se esci sempre per andare dalle tartarughe con la bua, perchè allora non stai con me, che ho la bua anch’io? Sono uscito lo stesso, ma un po’ più triste…

Ho quasi finito il mio nuovo libro. O meglio, quello che potrebbe diventare il mio nuovo libro, SE e QUANDO troverò un editore, che peraltro non ho ancora cominciato a cercare, perchè devo finire di correggerlo. Per il momento un risultato l’ho già ottenuto: mi sono divertito molto a scriverlo. Non è mica poco, anche percè l'ho scritto a orari... insoliti: la mattina molto presto o la sera molto tardi, per non rubare tempo alla famiglia. Di cosa parla? Non so… non ricordo… ve lo dirò più avanti eh?

giovedì 15 ottobre 2009

Squali, proviamoci ancora

Questa è la settimana europea degli squali. Domani sarò a Roma (se siete in zona non mancate) per l'evento"Squali: predatori predati", qui potete scaricare il programma.
Nell'ambito della stessa iniziativa, domenica 18 ottobre, qui al centro Adria, a Riccione, ci sarà una iniziativa collegata, ecco il volantino.
Sono quasi tredici anni che mi occupo di squali, soprattutto dal punto di vista della conservazione, attraverso la divulgazione e la sensibilizzazione. Ho fatto mostre, campagne, conferenze, di tutto. La cosa preoccupante è che nel 1997 dicevo più o meno le stesse cose che si dicono oggi. Non sembra cambiato niente.
O forse sì? Vediamo... In effetti di squali si parla di più, ci sono iniziative importanti come la Shark Alliance, o il film Sharkwater, molto bello e d'impatto. Qualcosa a livello politico/normativo si muove ma troppo poco. Gli squali protetti si contano ancora su una mano, sigh, e le regole come quelle sul finning vengono bellamente aggirate.
Nel 1997 parlavo già di finning come di una spaventosa piaga. E oggi? Beh è diverso: la piaga è ancora più diffusa e spaventosa...
Poi mi battevo contro la pesca sportiva nella preziosa nursery area dell'Adriatico. Lì cosa è successo? Che effettivamente i pescatori sportivi (alcuni... dai, non esageriamo) sono più responsabili e autoregolati. Purtroppo sembra tardi. Perchè di verdesche e squali volpe, le loro prede più ambite, non se ne prendono quasi più. Il declino è stato rapido e drastico.
Insomma, poco tempo fa, parlando a tavola con la collega Simona Clò che si occupa di squali da prima di me, ci dicevamo che forse tutto ciò non serve. Che noi facciamo piccoli passi in avanti, ma la strage corre molto più veloce di noi.
Forse davvero ormai stiamo perdendo una gran parte (cioè tantissime specie) di una delle creature più utili, affascinanti e "simboliche" dei mari.
Comunque sia, firmate la petizione.

mercoledì 7 ottobre 2009

Al lavoro per le tartarughine

Ecco il risultato di una riunione organizzata ieri da Fondazione Cetacea:

– COMUNICATO STAMPA -

Nasce un Gruppo di Lavoro sull’emergenza tartarughe marine dell’estate 2009

L’estate del 2009 verrà ricordata, almeno sulle coste italiane del nord Adriatico, come l’estate della grande emergenza tartarughe marine. Nei due mesi di luglio e agosto, con una coda che è proseguita anche a settembre e in qualche caso ai primi di ottobre, una marea di piccole tartarughe della specie Caretta caretta ha invaso le spiagge e le acque basse. Erano tartarughe seriamente in difficoltà, profondamente debilitate, di giovanissima età (2-4 anni) e tutte spaventosamente coperte da un piccolo crostaceo, detto comunemente “dente di cane” o “balano”. I balani ne ricoprivano completamente il carapace, la pelle delle zampe, del collo, della testa, ed erano presenti anche sugli occhi, sui contorni della bocca e nel suo interno.. A volte formavano una “armatura” (i balani hanno un guscio calcareo) tale da impedire alla tartaruga ogni movimento.
I numeri sono impressionanti, parliamo di circa 180 esemplari, che da Ancona a Trieste, sono stati trovati spiaggiati o in difficoltà in poca acqua, e consegnati ai centri di recupero. Un fenomeno senza precedenti non solo in Adriatico ma addirittura a livello mondiale.
Fronteggiata l’emergenza con ogni mezzo disponibile, per gli enti che hanno fronteggiato questa situazione drammatica è ora il tempo delle domande, dei tentativi di spiegazione del fenomeno, anche per essere pronti nell’eventualità, remota e terrificante, che lo stesso possa verificarsi di nuovo la prossima estate.
Il primo importantissimo passo è stato compiuto proprio il 6 ottobre. Organizzato e ospitato da Fondazione Cetacea, a Riccione, si è svolto infatti un incontro fra i vari enti coinvolti nel fenomeno, e si è subito raggiunto l’accordo per formare un Gruppo di Lavoro che studierà questo inedito fenomeno. Ne fanno parte:
– Associazione Archè - Research and Educational Activities for Chelonian Conservation
– Associazione Benessere Animale
– ARPA Daphne
– Centro Ricerche Marine Cesenatico
– Fondazione Cetacea
– Museo di Jesolo
– Museo di Venezia
– Università di Bologna, Dipartimento Sanità Pubblica Veterinaria e Patologia Animale, Gruppo di Ricerca sui Grandi Vertebrati Pelagici
– Università di Padova, Dipartimento di Scienze Cliniche Veterinarie

Durante la riunione, durata oltre due ore, si sono stilati piani di lavoro, sollevate domande scientifiche a cui si cercherà di dare risposta, puntualizzato e condiviso alcuni aspetti del fenomeno. Ecco alcuni punti che vale la pena di sottolineare.

– tartarughe di questa classe età non sono affatto frequenti in Adriatico, dove di solito si trovano individui sub-adulti. Perchè sono comparse quest’anno e in numero così elevato?
– le tartarughe erano coperte praticamente da alcune specie di balani che è da valutare se siano proprio la causa della loro debilitazione, e non una conseguenza. Quando, e per quali condizioni ambientali, i balani possono avere “assalito” le piccole tartarughe? E perché solo su di loro così infestanti mentre sugli adulti giunti nella stessa area questo balano rimaneva su livelli fisiologici? Ricerche sulla diffusione e sul ciclo biologico di queste specie di crostaceo, sono in corso.
– in molti casi le tartarughe avevano l’intestino pieno, ai limiti dell’occlusione, di una fanerogama marina dalle lunghe foglie nastriformi (Zostera marina). Questa pianta non è comune lungo il litorale romagnolo, ma è comunque frequente ad esempio negli ambienti lagunari. Perchè questa “abbuffata” di piante marine, e come si collega questo con l’età e il ciclo biologico delle tartarughe? E con la invasione dei balani?
– altri elementi ambientali da considerare: quest’anno l’Adriatico ha raggiunto temperature delle acque superficiali con un valore medio di 27,8 °C e con valori massimi di 29,2 °C. C’è stata anche una inusuale fioritura di larve di granchio (anche essi crostacei come i balani) che hanno causato anche problemi alla balneazione a causa delle numerose punture provocate ai bagnanti.
– i veterinari sono in sintonia su quanto hanno trovato nelle piccole tartarughe: un quadro clinico allarmante. Profonda debilitazione, forte anemia, carenza di calcificazione, fegato in cattivo stato e diffusi batteri secondari. Pur con ancora le poche informazioni in loro possesso, i veterinari stanno valutando le ipotesi della possibile infezione virale o batterica come probabile causa del fenomeno anche se al momento i risultati ottenuti sembrano protendere maggiormente per una causa di tipo ambientale, unitamente all’invasione dei balani, che potrebbe aver portato le piccole tartarughe a condizioni cliniche così gravi.
– in diversi centri ci sono ancora decine di tartarughe ricoverate, e non è detto che tutte potranno tornare in mare prima dell’arrivo del freddo, costringendole così al ricovero forzato per molti mesi.
– tutte le tartarughe già rilasciate da Fondazione Cetacea portavano un microchip sotto la pelle, in modo da potere essere identificate in caso di successivi ritrovamenti. Seguirà anche una lettera a tutte le Capitanerie di Porto, dal Friuli alle Marche, affinchè non si abbassi l’attenzione sul fenomeno. Sarebbe importante infatti conoscere il “futuro” degli esemplari ritornati al mare. Per questa finalità il gruppo di lavoro si sta anche adoperando per la ricerca di fondi necessari all’applicazione di impianti satellitari per il monitoraggio post-rilascio degli esemplari in cura: sarebbe uno studio unico nel suo genere e preziosissimo vista la giovane età degli animali.
In ogni caso, l’Università di Padova studierà durante l’inverno il decorso delle degenti sul lungo termine.
– molte analisi sono in corso o in programma: ricerca di biotossine algali, di inquinanti, di virus. Analisi ematiche e istologiche. Il peso economico di queste analisi è notevole, ed è stato in toto preso in carico dagli enti in questione.

La formazione di questo Gruppo di Lavoro è un momento fondamentale per la maggiore comprensione di un fenomeno che riguarda il nostro mare, e che può essere indice di condizioni ambientali quanto meno da valutare con attenzione.
Le volontà degli enti coinvolti di continuare a lavorare per la salute delle tartarughe marine dell’Adriatico, in maniera coordinata e sinergica, è lodevole e porterà ben presto a un secondo incontro e a una produzione di documenti scientifici e a iniziative di sensibilizzazione verso il grande pubblico, per altro già messe in atto diverse volte questa estate, sempre su spontanea iniziativa e impegno degli enti stessi.

giovedì 24 settembre 2009

Vado lento

Guardo la data del mio ultimo post e leggo 1 settembre. Poi guardo quella sul calendario: 24 settembre. Sono più di tre settimane che non scrivo sul blog, non credo fosse mai successo. E' stato un insieme di lavoro frenetico, stanchezza e qualche problema di salute, che mi ha tenuto lontano dalle Storie di Mare, e mi dispiace.
L'estate appena finita è stata strana, e difficile. Tanto, tanto lavoro e poco altro. Ma, per coincidenza o "destino" ho incontrato dei libri che sembravano fatti apposta per il periodo che stavo passando. "Un altro giro di giostra" di Tiziano Terzani è un lbro che fa bene all'anima, e a me ne ha fatto davvero. Poi ancora Terzani con "La fine è il mio inizio".
Adesso sto leggendo "Decrescita felice" di Maurizio Pallante. Mi ha già catturato. Cos'è la decrescita? "La decrescita è elogio dell’ozio, della lentezza e della durata; rispetto del passato; consapevolezza che non c’è progresso senza conservazione; indifferenza alle mode e all’effimero; attingere al sapere della tradizione; non identificare il nuovo col meglio, il vecchio col sorpassato, il progresso con una sequenza di cesure, la conservazione con la chiusura mentale; non chiamare consumatori gli acquirenti, perché lo scopo dell’acquistare non è il consumo ma l’uso; distinguere la qualità dalla quantità; desiderare la gioia e non il divertimento [...]"
Potete andare avanti a leggere qua: http://www.decrescitafelice.it/
Presto tornerò a scrivere regolarmente sul blog. Per ora vado lento... e me la godo un po'.

martedì 1 settembre 2009

Due delfini

Ecco due storie recenti e che hanno a che fare con delfini solitari e socievoli, anche se il secondo rientra a fatica in questa categoria.

Moko (è quello della foto) è un tursiope femmina che "risiede" ormai dal 2007 nelle acque di Mahia Beach, in Nuova Zelanda. A fine luglio del 2009, una donna è scesa in acqua per giocare e nuotare con il delfino. Erano circa le quattro del pomeriggio. "Ho nuotato per un bel po' con lei" dice la donna "sono una buona nuotatrice e non avevo nessuna preoccupazione". I problemi sono iniziati quando la donna ha deciso di rientrare in spiaggia. Per lei il gioco era finito, ma non lo era per Moko. Il delfino voleva continuare a giocare, e così non voleva che la donna uscisse dall'acqua. Un tursiope adulto può fare quello che vuole con una persona in acqua. Quello che vuole. Possibile che nessuno si renda conto di questo?
In ogni caso, per la donna non c'era possibilità di andarsene. Era sfinita, ma non poteva uscire, così non le è restato altro che attaccarsi ad una boa e chiamare aiuto. E' stata sentita poco dopo, e tratta in salvo, esausta e mezza congelata. Le è andata bene.

E' andata peggio invece a Cliffy, un altro delfino socievole che frequentava l'area del porto di Brisbane, in Australia. La sua storia è però diversa da quella del classico delfino lone sociable. Era infatto stato trovato all'inizio dell'anno in difficoltà, con una lenza attorno alla coda. Venne recuperato e ospedalizzato presso il Sea World Gold Coast lì vicino, e poi rilasciato in mare dopo sei settimane.
Ma una volta in mare, non ha lasciato l'area del rilascio e ora pare dipendere dal cibo che i pescatori gli gettano. Secondo altri invece, è comunque capace di cacciare autonomamente.
Sta di fatto che il Sea World e l'Environment Protection Agency (EPA), cioè l'organismo che ha l'autorità su tutti i mammiferi marini nello stato del Queensland, hanno deciso in questi giorni di ricatturare il delfino, che si trova dunque attualmente in cattività.
La gente si è divisa. Per molti il delfino è stato "rapito" allo scopo di farlo divenire un animale da delfinario, secondo altri è stata la decisione giusta, per il suo bene.

Per questa volta lascio, a chi vuole, i commenti su queste due vicende.

lunedì 24 agosto 2009

Dateci una tregua

Non si ferma il fenomeno delle piccole tartarughe fortemente debilitate che continuano ad arrivare sulle nostre spiagge. E’ una specie di incubo di cui non si vede la fine. Fondazione Cetacea ha recuperato fino ad oggi 52 esemplari. Tre solo ieri, due oggi.
La nostra collega Carola Vallini di Archè che lavora sui lidi ferraresi è arrivata a 14 esemplari e sappiamo che molti ne arrivano anche in Veneto.
Il nostro Ospedale lavora a pieno regime da oltre un mese e mezzo, senza interruzioni, senza sabati o domeniche. E’ un emergenza vera e propria, ma le tv non ne vogliono parlare. E’ agosto, il mese dei turisti e dei bagni in mare e evidentemente niente deve turbare l’industria delle vacanze.
La settimana scorsa abbiamo mandato un telegramma chiedendo aiuto e collaborazione a questi enti:
– Ministero dell’Ambiente
– Ministero delle Risorse Agricole e della pesca
– Comando generale delle Capitanerie di Porto
– Regione Marche
– Regione Emilia-Romagna
– Provincia di Ravenna
– Provincia di Forlì-Cesena
– Provincia di Rimini
– Provincia di Pesaro-Urbino
– Comune di Ravenna
Al momento ci hanno risposto solo il Comando Generale delle Capitanerie di Porto dal quale abbiamo avuto massima disponibilità a collaborare (ma la collaborazione con le Capitanerie funziona già alla grande) e la Provincia di Pesaro-Urbino, con cui abbiamo a breve un incontro. Per il resto, per ora, silenzio.
Abbiamo avuto la disponibilità e la collaborazione dell’Università di Bologna (Annalisa Zaccaroni) e del Centro Ricerche Marine di Cesenatico (Attilio Rinaldi), con cui abbiamo iniziato delle analisi su diversi fronti mentre il nostro veterinario Giordano Nardini prosegue con il lavoro di indagine diagnostica.
Noi ce la stiamo mettendo tutta, ma il centro è strapieno e le spese e le ore di lavoro salgono e salgono. Dobbiamo dire grazie ai nostri volontari che lavorano qui al centro, e anche a quelli che soprattutto lassù nel ravennate corrono di qua e di là a recuperare tartarughe.
Vogliamo una tregua, abbiamo bisogno di una tregua.

lunedì 17 agosto 2009

L'incubo riparte

Ci eravamo illusi. Giovedì e venerdì scorso non sono arrivate tartarughe, e già sognavamo la fine dell'incubo. Non è così. Sabato il giorno di ferragosto ecco due nuove tartarughine, una da Ravenna e una da Gabicce. Poi ieri un disastro, altre cinque. E oggi, altre otto da andare a recuperare. Siamo a 42 animali in un mese. Una tragedia, per loro, e un'emergenza senza fine per noi. Ne hanno parlato i giornali, ma le televisioni si sono fatte di nebbia. La cosa non interessa, evidentemente. Fossero state morte, forse, ma vive... meglio parlare di culi e gossip.

mercoledì 12 agosto 2009

In ginocchio

Continuano ad arrivare. Le tartarughe di cui parlavo nei due post precedenti, continuano ad arrivare, ogni giorno. Il fenomeno non si ferma. Siamo in ginocchio sia per la stanchezza, sia per la mancanza di spazio, sia per pregare che si fermi.
Ne sono arrivate 25 in 20 giorni. 14 solo nell'ultima settimana. Quattro lunedì, una ieri, due oggi (per ora). Sappiamo cosa fare, ma non sappiamo le cause del fenomeno. Ho informato la comunità scientifica mondiale, e ho avuto risposte e contatti da Spagna, Stati Uniti, Australia e non mi ricordo più chi altro. La risposta è sempre quella, "il fenomeno è noto ma non si conoscono le cause, le nostre tartarughe erano tutte più grandi delle vostre".
Abbiamo fatto analisi del sangue a tutte e quasi sicuramente faremo l'analisi del DNA.
Tre o quattro stanno molto male e ieri sono andate via alla clinica del nostro veterinario Giordano Nardini, le altre si riprendono, e quelle arrivate a metà luglio stanno già bene.
Abbiamo bisogno di aiuto. Principalmente economico, andate qui se potete e volete darci una mano. Inoltre, ci servono persone che abitano a Ravenna, Cervia, Cesenatico, Pesaro, Fano, Senigallia e che siano disponibili, in caso di ritrovamento di tartarughe ad andare sul posto, recuperarle, e portarcele a Riccione. Se volete, mandatemi una mail a: ambientemare[at]fondazionecetacea.org ([at] sta per chiocciolina).
Nella tabella sopra e qui sotto, l'andamento dei ritrovamenti. Siamo nel picco massimo.


Intanto domani, tre pazienti tornano in mare: sono Rutger, operata il 6 giugno per la rimozione di un grosso amo in gola, Regina, pescata da una rete a strascico, e Sandro una delle piccole ora ristabilita. Tartarughe che vanno, tartarughe che vengono. Se volete venire a salutarle il ritrovo è alle 15 presso il nostro centro Adria (all'altezza del bagno 44 a Riccione).

venerdì 7 agosto 2009

Tartarughe debilitate: aggiornamento

Purtoppo sono costretto ad aggiornare la situazione della piccole tartarughe colpite da forte debilitazione, di cui parlavo tre giorni fa. Il fenomeno non è affatto finito, anzi. Martedì elencavo 10 animali, di cui 9 ancora in vita. Beh in soli tre giorni il conto è arrivato a 14 esemplari, di cui tredici ricoverati nelle nostre strutture, che al momento sono in forte difficoltà, se non altro per problemi di spazio.
Abbiamo informato la comunità scientifica di quello che sta accadendo, e domani ci sarà una conferenza stampa qui in Fondazione. Abbiamo saputo che al centro di recupero di Pola, in Croazia, hanno due casi simili, e un altro è capitato ai colleghi di Archè, nel ferrarese.
Stiamo analizzando il fenomeno, pur brancolando nel buio, allo stato attuale. Qui sotto la tabella dei ritrovamenti (le ultime tre stanno arrivando al centro, e dunque non sono ancora state misurate).

martedì 4 agosto 2009

Piccole tartarughe in difficoltà, in Adriatico

Succede qualcosa alle piccole tartarughe del nord Adriatico. Da un mese a questa parte l’Ospedale delle Tartarughe della Fondazione Cetacea è sottoposto a un duro lavoro. Gli spiaggiamenti di tartarughe in estate, sulle coste del’Adriatico settentrionale, non sono affatto infrequenti. Si tratta molto spesso di carcasse di animali già morti e portati a riva dalle correnti. Di quando in quando una tartaruga ancora viva e in difficoltà viene segnalata, e questa viene poi prontamente recuperata e ricoverata nel centro di Fondazione Cetacea. Routine, più o meno. Ma il fenomeno di questi giorni è diverso.
Il 30 giugno a Numana (AN) è stata trovata una piccola tartaruga di soli 25 cm di lunghezza del carapace. Era molto debilitata, magrissima e soprattutto completamente ricoperta di balani. I balani, o denti di cane, sono dei Crostacei dalla conchiglia bianca e durissima, che vivono attaccati a substrati mobili, come appunto il guscio delle tartarughe. E’ normalissimo trovare balani sul guscio delle tartarughe, ma quando queste stanno male e si muovono poco, i balani possono moltiplicarsi e espandersi anche alla pelle delle zampe, del collo, del testa, ovunque insomma. Era proprio il caso della piccola tartaruga di Numana.
Due settimane dopo, il 15 luglio, a Ravenna, ecco il secondo caso: anche questa piccolissima, solo 23 cm, e anche questa completamente coperta di balani. Non solo: parte del carapace aveva sviluppato anche molte alghe, e c’erano pure delle piccole cozze che vi crescevano sopra. Lo stesso giorno, ancora nei pressi di Ravenna, un altro esemplare con le stesse caratteristiche, ma questa volta purtroppo già morto.
Da qui ecco il crescendo: il 17 luglio una piccolina a Fano, poi il 23 e il 24 due esemplari, uno a Cattolica e una a Cervia. Il 28 un altro ancora, a Milano Marittima. Per finire, ecco il primo weekend di agosto: il 1 altre due tartarughine in grossa difficoltà, una a Ravenna e una a Cervia. Il giorno dopo, domenica, è la volta di Rimini, con una piccoletta di soli 19 cm di carapace.
Un totale di ben 10 animali, di cui nove ancora vivi e ricoverati al Centro di Cetacea, a Riccione. Tutti questi esemplari sono stati trovati spiaggiati oppure in difficoltà in pochi centimetri d’acqua, avvistati da bagnini o bagnanti.
Tutte le pazienti sono simili, molto piccole e talmente incrostate di balani da averne anche sugli occhi e persino sulla lingua. Alcune poi mostrano difficoltà di nuoto, perchè la pelle delle zampe è “irrigidita” da questi crostacei. Da notare che la cura di queste piccole sfortunate è di fatto abbastanza semplice e rapida. Prima, due o tre giorni in acqua dolce. In questo modo tutti i balani e gli altri organismi sul corpo muoiono, e pian piano cadono. E’ una trasformazione notevole, ripulite in questo modo le tartarughe passano da un aspetto mostruoso a splendidi esemplari dal carapace screziato e bellissimo. Nel frattempo le tartarughe vengono messe a… dieta ingrassante. Pesce e calamari per ritrovare le energie e la forma.
Quello che non si spiega è che cosa possa causare questi casi. Il fenomeno viene descritto come Debilitated Turtle Syndrome, cioè molto semplicemente la Sindrome delle Tartarughe debilitate. E’ stato individuata e studiata già da diversi anni, per esempio in Florida e in Georgia, negli USA. Fondazione Cetacea ha già contattato ricercatori americani per uno scambio di informazioni. Sebbene però individuata e studiata, non si conoscono le cause di questa sindrome.
Quello che si sa è che normalmente una tartaruga molto debilitata tende a rimanere molto tempo ferma, ed è allora che i balani hanno tempo e modo di espandersi. Ma cosa ha prima debilitato la tartaruga?
E se non fosse così? E se fosse che alcune cause ambientali sconosciute provocano un sviluppo spropositato di balani, che “attaccano” poi le piccole tartarughe, rendendo loro il nuoto difficoltoso, e da qui il profondo stato di spossatezza? Non lo sappiamo, ma nessuna ipotesi è da scartare. Ad esempio il caldo prolungato e intenso di luglio, con temperature sopra la media, può avere influito?
E’ un bell’enigma, di difficile soluzione. Quello che è certo che ora tutte le tartarughine sono in ripresa, nella vasche dell’Ospedale delle Tartarughe, e quella ritrovata a Numana il 30 giugno è già tornata in mare, sempre a Numana, la settimana scorsa. Per le altre, una degenza più o meno lunga, e poi il ritorno alla libertà, da qui a settembre. A loro è andata bene, quante altre là fuori non avranno avuto la loro stessa fortuna?

venerdì 17 luglio 2009

Tante, troppe tartarughe

Superlavoro in questi giorni, per l'Ospedale delle Tartarughe. Stanno arrivando tartarughe in difficoltà, l'una dietro l'altra.
Ai primi di giugno le uniche tartarughe presenti erano:
- Sole, con noi ormai da tre anni per una brutta frattura al cranio. Ora è in vasca di riabilitazione e pare andare tutto bene. Nei miei sogni, e nei miei piani, a settembre tornerà in mare.
- Leo: pescata al largo di Ancona, l'8 maggio, ha subito dimostrato di non avere grossi problemi. tornrà in mare il 30 giugno.
- Trilli: piccolina di due o tre anni è una di quelle giunte dal Centro di Manfredonia il primo aprile scorso, con lei c'era anche
- Levante: un po' più grande, è come Trilli in attesa di rlascio. Trilli tornerà in mare a fine luglio, Levante in agosto.
In più c'erano allora anche due grosse tartarughe, Cretaccio e Panda, liberate in mare il 20 giugno.

Ed ecco invece i nuovi arrivi:
- Rutger: arrivata il 3 giugno da Porto Potenza Picena, nelle Marche, aveva un enorme amo conficcato nell'esofago. E' stata operata il 6 giugno, e ora sta benissimo. Deve solo togliere i punti. Mangia avidamente e senza problemi
- Quasimodo: trovata il 13 giugno nelle acque di Numana, è il caso più strano che abbiamo ora. Ha una targhetta sulla zampa che riporta un codice del Centro Recupero di Napoli. Consultati, ci hanno detto che era stata rilasciata in perfetta salute, il 20 settembre 2008, da Gallipoli, in Puglia. Beh in quei dieci mesi in mare qualcosa le è successo. Quasimodo ha una grave infezione a un occhio e alle vie respiratorie, soprattutto le narici. Ma non è tutto. Il lato sinistro del carapace è schiacciato verso l'interno, come collassato. Sembra avere ricevuto un fortissimo colpo, ma... la TAC ha mostrato che non ha fratture. Com'è possibile? C'è di più, il polmone sinistro è andato. E collassato e fibroso e la tartaruga non lo usa più. Un bel grattacapo. Nonostante tutto Quasimodo non sembra stare malissimo, le abbiamo messo una fascia con un galleggiante (una bottiglietta di plastica) a sinistra, così bilancia meglio il corpo, che altrimenti è sbilanciato verso destra.
- Nicky: solo 25 cm di carapace, Nicky viene anche lei da Numana. Coperta di balani (crostacei che crescono sul guscio delle tartarughe), ne aveva anche sulle zampe. Ripulita da tutto con un bel bagno di acqua dolce, è già in splendida forma e deve solo ingrassare
- Esmeralda (nella foto): più piccola di Nicky, è solo 23 cm di carapace, e anche lei strapiena di balani, insieme a lepadi (altri crostacei incorstanti), cozze e alghe. Aveva balani anche sulla lingua. Magrissima, in due giorni è già in netta ripresa. E' arrivata il 15 luglio da Ravenna.
- Regina: una bella bestia di 62 cm di guscio, è stata pescata il 16 luglio, cioè ieri, al largo di Bellaria da un peschereccio che pescava a strascico. E' rimasta sotto tanto tempo, e sta davvero male. E' da ieri che continua a uscirle acqua dallo stomaco e dai polmoni (l'abbiamo messa all'asciutto e inclinata con la testa in avanti). E' in condizioni preoccupanti.
E oggi mentre scrivo queste righe, eccone un'altra, arriva da Fano dove si è spiaggiata. Non l'ho ancora vista ma mi hanno detto che è piccolissima e anche lei completamente ricoperta di balani.
L'Ospedale è davvero al completo ci stiamo arrangiando come possiamo. Speriamo non ne arrivino altre a breve.
Se volete venire a trovarle ricordate che il nostro centro Adria è aperto al pubblico gratuitamente tutti i giorni.

martedì 7 luglio 2009

Serial killer a chi?

Sabato scorso, il 4 luglio, è uscito su Repubblica un articolo dal titolo “Squalo il killer dell’oceano incastrato dai CSI”. Lo leggete qua per intero.
Che tristezza. Passa il tempo, ma non si avanza di un passo. Siamo ancora allo squalo assassino e feroce. Pur presentando i risultati di una ricerca scientifica, la voglia di sensazione e di esagerazione prevale sempre, e in maniera sconsiderata. Gia nel titolo la parola squalo è associata al termine killer.
Poi l’articolo è costruito nel solito modo. Articoli e documentari sugli squali, salvo rare eccezioni, seguono tutti lo stesso canovaccio. Prima la parte eclatante, cruenta, sangue e paura insomma, che fanno sempre presa. Poi alla fine, ma solo alla fine la redenzione: ma in realtà uccide per mangiare (che sorpresa!), gli attacchi all’uomo sono pochissimi (ma che c’entra poi?) e siamo più cattivi noi che li peschiamo e via di mielosità
Peccato che sia dimostrato che leggendo un articolo o guardando un documentario, la parte che resta impressa nella mente dei lettori/spettatori è sempre la prima. Quindi il recupero finale, non serve. E poi si sa che molti di quelli che leggono un articolo manco arrivano in fondo.
Vediamo comunque qualche brano dall’articolo.

Sostenere che il grande squalo bianco agisca con la spietata ferocia di un serial killer può sembrare un' ovvietà.

Ecco già un bel giudizio prima ancora del processo. Lo squalo e spietato e feroce, è ovvio (ma per chi?)

Secondo gli scienziati il pescecane […] non attacca qualsiasi cosa incontri, ma sceglie accuratamente le proprie prede

Ma chi “attacca qualunque cosa incontri”? Quale animale può essere così sconsiderato o aspirante suicida da buttarsi su tutto quello che trova?
Lo squalo è anche in grado di sfruttare l' esperienza acquisita durante i suoi precedenti attacchi, imparando a uccidere con più efficacia e meno dispendio di energia man mano che s' allunga la lista delle sue vittime, proprio come accadeva a Jack lo Squartatore o al mostro di Rostov.

E vai! Jack lo squartatore e il mostro di Rostov. I quali, tra l’altro uccidevano per sopravvivere, no? No, eh?

La foca deve essere giovane, e preferibilmente sola.

E’ ovvio. E non perchè lo squalo sia un maniaco feroce e magari stupratore, eh no. Una foca giovane è inesperta dunque indifesa. Una foca sola non ha la protezione e l’attenzione che deriva dal gruppo. Lo squalo no è morboso, ma non è neanche scemo.

Quando si fa sera e la luce comincia a calare, lui sferrerà l' attacco dal basso, non visto, investendola come un siluro e portando un primo, potente morso. Il resto è bassa macelleria.

Bassa macelleria? Un uccellino che mangia un verme vivo, è bassa macelleria anche questa? E il nostro gattino che stacca la testa al topo?

Dice Kim Rossno, professore di Giurisprudenza all' Università del Texas ed ex poliziotto, coinvolto anche lui nello studio sul comportamento "criminale" dello squalo: «Ha lo stesso scopo del serial killer, che è quello di trovare una preda e ucciderla […]”

Eh no caspita. NON HA LO STESSO SCOPO DEL SERIAL KILLER. Proprio no. Lo scopo dello squalo è mangiare per vivere. Non so perchè uccida un serial killer, ma probabilmente ne prova piacere. Nell’atto in sè. Non nella soddisfazione di un bisogno vitale come nutrirsi.

"Per meglio riuscire nel loro intento, si nascondono entrambi, fino al momento ideale dell' assalto. Come gli assassini seriali, gli squali agiscono da soli, sono cacciatori solitari".

E vai così, che da questa similitudine non se ne esce più.

Ma per non correre il rischio di antropoformizzare un comportamento naturale, bisognerebbe stilare anche le differenze tra uno squalo e un omicida plurimo.

Troppo tardi. Lo hai già fatto, dall’inizio alla fine, senza tregua, senza speranza. Tutto quello che segue non conta più, è fuori tempo massimo.

Più di dieci anni fa si parlava di questi messaggi negativi. Dell’impostazione sbagliata data a quasi tutte le comunicazioni, scritte o parlate che siano, quando si parla di squali. Siamo ancora lì, non siamo andati avanti di un metro. Anzi no, qualcosa è cambiato. Rispetto a dieci anni fa ci sono molti ma molti meno squali… Sterminiamo i serial killer!

mercoledì 1 luglio 2009

Il successo di Adria

E’ passato appena un mese e mezzo da quando abbiamo inaugurato (il 16 maggio scorso) Adria, il Centro di Recupero Animali Marini e di Divulgazione sull’Adriatico della Fondazione Cetacea, ed ora a Riccione è già sulla bocca di tutti. Senza nessun tipo di “lancio pubblicitario”, e solo con locandine che da alcuni giorni stiamo (fat
icosamente) negli stabilimenti balneari di Riccione, Adria è un successo.
Dalla sua apertura già oltre 6500 persone sono entrate a visitare il centro, aperto a tutti e completamente dedicato al mare Adriatico e ai suoi abitanti, nato per informare e divulgare coscienza ambientale e rispetto per il nostro mare. Una struttura unica nel suo genere, e che Fondazione Cetacea, a costo di enormi sacrifici ha voluto e vuole fortemente mantenere ad ingresso gratuito.
E così moltissime famiglie, e davvero tanti e tanti bambini sono venuti e vengono ogni giorno a trovare le tartarughe pazienti dell’Ospedale, a vedere i documentari proiettati nella saletta video, a vistare le mostre dedicate agli abitanti e alle caratteristiche del nostro Adriatico, a giocare e imparare con i laboratori a loro dedicati.
Adria sta diventando in poco tempo una grande attrazione dell’estate 2009 di Riccione, un’attrazione che basa le sue fondamenta solo su messaggi positivi: rispetto dell’ambiente, tutela del mare e dei suoi abitanti, sensibilizzazione, educazione.
Inoltre venerdì 26 giugno è stata inaugurata alla esterno della struttura la grande Balena. Si chiama Matu Maloa (da un racconto di Stefano Benni) è lunga venti metri ed è stata realizzata completamente di rami di ciliegio e nocciolo (all’insegna del biodegradabile) è stata costruita interamente dall’architetto Manolo Benvenuti. La struttura è cava e diventerà teatro di eventi e manifestazioni. Venerdì scorso per esempio ha ospitato tanti bimbi per la manifestazione “Le Fiabe del Mare”: letture di fiabe e leggende ispirate al mare, per bambini dai 4 ai 90 anni. Il 30 luglio sarà la volta dello spettacolo teatrale “Nel ventre della Balena”.
Ora ci auguriamo che amministrazioni e imprenditori locali si rendano conto di quale strumento per il turismo e per lo sviluppo del territorio, sia sorto praticamente dal nulla, e dunque ci diano una mano, con contributi concreti, a mantenere Adria vivo e aperto liberamente al pubblico.

IL RITORNO A CASA DI CRETACCIO E PANDA
Intanto, sabato 27 giugno abbiamo fatto la prima liberazione di tartarughe, dell'anno. Due esemplari di Tartaruga marina comune (Caretta caretta), dopo la convalescenza passata nelle vasche dell’ospedale delle Tartarughe marine del Centro ADRIA della Fondazione Cetacea, sono ritornate in mare.
I due animali erano stati catturati con delle reti a strascico nei pressi di Manfredonia la scorsa primavera ed erano giunti - dal centro di recupero di Manfredonia allora sovraffollato – a Riccione per completare la loro degenza.
Anche in questo caso, grande assalto di pubblico e applausi per tutti. Qui potete vedere il servizio televisivo sull'evento.

giovedì 25 giugno 2009

Salvare un gabbiano

Ho appena finito di leggere un articolo sul Journal of Marine Animals and Their Ecology. Mi ha subito intrigato il titolo: "Costi di riabilitazione - Perchè salvare un gabbiano?". L'autore fa parte di un'associazione canadese che si chiama Oceanographic Environmental Research Society (OERS). L'articolo tratta di temi di cui mi sono già occupato, per esempio qui, e comunque sono sempre nella mia testa e forse in quella di chiunque si occupi di recupero di animali in difficoltà.
Le domande che si pone l'autore sono solite per chi svolge questo mestiere, ma forse meno consuete per chi vede queste cose solo da fuori. Ha senso spendere tempo e soldi nel recupero di animali? Oppure, ci sono animali per cui vale la pena farlo e altri meno? Qual'è il criterio per decidere, in ogni caso? Forse vale la pena farlo solo se la specie è in pericolo di estinzione, mentre per le altre il gioco non vale la candela. O forse invece bisogna farlo (e per la verità spesso è così) solo per le specie che hanno qualcosa di "speciale". Perchè sono intelligenti (delfini), perchè ci emozionano, perchè hanno un valore di immagine, quasi di icone (lupi, aquile, ma anche tartarughe e gli stessi cetacei).
Vale la pena spendere mezzi e soldi per salvare un comunissimo Tursiope? Sì, è la risposta di molti, perchè comunque acquisisci informazioni importanti per la ricerca e impari cose che poi forse ti saranno utili per interventi su altre specie, quelle sì minacciate di estinzione. E' un buon motivo? Direi di sì, ma non è tutto qui, sono convinto.
In realtà molte volte, più che per la sopravvivenza di una specie, lo si fa per la sopravvivenza del... centro di recupero stesso, persino per "giustificarne" l'esistenza , che però oltre a questo fa anche altre cose, anche grazie alla "popolarità" che i rilasci in natura gli possono dare. Un bel ginepraio insomma.
L'autore comunque conclude dicendo che l'OERS interviene sempre, qualunque sia l'animale in questione. E dice che sì, vale la pena di farlo. Perchè? In sostanza perchè la soddisfazione di vedere un animale tornare libero dopo giorni e spesso notti passate a cercare di salvarlo, è indescrivibile.
Vero, ma... non sarà allora che lo facciamo per noi stessi?

giovedì 18 giugno 2009

Lasciate in pace Andrea: il Codice di Condotta

Come ho scritto più volte anche qui sul blog, durante la scorsa estate si sono succeduti, nelle acque antistanti la costa romagnola, segnalazioni e avvistamenti di un delfino, successivamente conosciuto come “Andrea”. Il delfino mostrava le caratteristiche di quello che tecnicamente viene definito un lone sociable, cioè un delfino solitario e che cerca continuamente il contatto con l'uomo.
I lone sociable (solitari e socievoli) sono quei delfini che si avvicinano a luoghi abitati dall'uomo e iniziano, spesso di loro iniziativa, a interagire con l'uomo. Il fenomeno è ormai ben studiato, sebbene ancora con molti punti oscuri, e in un recente report sono stati contati, dal recente passato ad oggi, ben 91 casi di delfini solitari e socievoli nel mondo. Queste notizie destano, oltre alla sorpresa, anche una certa preoccupazione, perché è facile che questi animali diventino presto troppo confidenti con conseguenze nefaste per il delfino stesso.
In quei mesi il delfino si mosse lungo la costa romagnola, da Rimini a Ravenna, diventando protagonista ogni volta di eventi indimenticabili per chi li ha vissuti, ma sempre più condizionanti per il delfino, che lentamente andava perdendo la sua selvaticità e in qualche modo la sua autonomia. E' stato salvato dall'inverno, che ha bloccato l'escalation di contatti e incontri "proibiti" col delfino, semplicemente perchè col freddo la gente ha smesso di frequentare l'acqua.

Purtroppo, come ci aspettavamo, Andrea è ora tornato a farsi vedere nelle acque riminesi. Durante l’avvistamento del 25 aprile scorso, è evidente come la deriva comportamentale del delfino sia continuata. L’esemplare ora si lascia fare tutto, carezze, abbracci, persino baci sul rostro. Si lascia prendere per la coda e girare sulla pancia, insomma una sorta di animale domestico.

Il codice di condotta
Anche in considerazione del fatto che stiamo andando verso una nuova stagione estiva, quindi con massiccia presenza in acqua di persone, bagnanti, diportisti, la Capitaneria di Porto, sollecitata da Fondazione Cetacea e con la collaborazione della Sub Rimini Gian Neri, ha ritenuto di dovere intervenire per la salvaguardia di questo esemplare.
Viene quindi emanato e divulgato un codice di condotta da tenere in caso di incontri con il delfino, sotto forma di locandina da divulgare presso porti, circoli velici, e in generale nei luoghi frequentati da chi vive il mare, sia per lavoro che per passione.

Il documento è stato presentato in conferenza stampa, martedì scorso, il 16 giugno, presso la sede della Capitaneria di Porto di Rimini.

Qui potete scaricare la locandina con il codice di condotta.

Qui sotto, due TG locali, riportano la notizia:


mercoledì 10 giugno 2009

Il "piccolo" squalo elefante

Ieri sera sono stato avvisato dalla Capitaneria di Porto di Ancona, che un peschereccio che pescava con una rete di tipo volante, aveva accidentalmente catturato uno squalo elefante (o cetorino). Arrivato in porto con lo squalo morente nella rete, l'esemplare è stato poi sbarcato e lasciato nel salone di un mercato ittico in attesa che stamattina andassi a vederlo.
Splendido esemplare, una giovane femmina di 4,25 metri.
Era da tanto che non ne vedevo uno. In Adriatico non sono comuni, e dopo l'invasione del 2001 (60 avvistamenti un mese) non si sono più registrati altri avvistamenti, almeno così a memoria. C'è stato in realtà un altra cattura nel gennaio del 2002, a Civitanova Marche: un bestione di oltre 8 metri.
Devo sottolineare l'estrema disponibilità del Consorzio Pesca Ancona che non solo ci ha permesso di fare i nostri rilievi ma, a loro spese, hanno poi trasportato la carcassa a Forlì, presso l'Istituto Zooprofilattico, dove domattina faremo l'esame necroscopico.

mercoledì 27 maggio 2009

Se io fossi uno squalo

Se fossi uno squalo adesso nuoterei nel blu, incurante della pioggia, là sopra. Se fossi uno squalo ascolterei attento i miei sensi. Godrei dell'abbraccio di madre acqua. Scivolerei silenzioso e fluido nel suo ventre altrettanto fluido. Se fossi uno squalo godrei appagato della potenza dei miei muscoli, della perfezione delle mie forme, dell'acutezza del mio sentire.
Se io fossi uno squalo non conoscerei che il piacere o il dolore, l'avere o la privazione, la soddisfazione dei miei istinti o la spasmodica attesa che questo avvenga. Se fossi uno squalo non avrei bene o male, nè giusto o sbagliato. Avrei solo il vivere, o magari morire, prima o poi.
Se fossi uno squalo non avrei domande, e non cercherei risposte. Se fossi uno squalo, consapevole o no, farei parte del tutto, anzi io sarei il tutto. Non mi curerei delle creature che mangio, perchè così è stato e così sempre sarà. O dovrebbe essere. Se fossi uno squalo non saprei spiegarlo con concetti o suoni, ma sarei parte di un equilibrio, delicato, meraviglioso, sempre diverso eppure sempre uguale a se stesso. E lo saprei. Lo comprenderei e ne sarei compreso.
Se fossi uno squalo vedrei milioni di altri squali uccisi ogni anno da chi questo equilibrio sa spiegarlo ma non conservarlo. Vedrei milioni di squali sterminati da chi ritiene di essere sopra ad ogni equilibrio naturale. O da chi sceglie di ignorarlo, per cupidigia, stoltezza, brutalità, ignoranza.
Se fossi uno squalo non capirei quale specie possa permettersi di uccidere altri animali, prenderne delle piccole parti (come le pinne) e buttare via tutto il resto. E non capirei come possa farlo, non per necessità, ma per sfizio, per "tradizione".
Se fossi uno squalo sarei spaventato. Se fossi uno squalo sarei davvero incazzato.
Ma non sono uno squalo, per fortuna. Sono un uomo, e qualche volta mi vergogno.

martedì 19 maggio 2009

Partiti

Sabato scorso abbiamo inaugurato Adria.
Adria è il nostro “Centro di Recupero Animali marini e di Divulgazione sull’Adriatico”. In pratica è prima di tutto, il coronamento e la realizzazione di venti anni di lavoro. Dalla sua nascita, nel 1988, Cetacea si occupa di ricerca, di educazione ambientale e anche di recupero di tartarughe e delfini in difficoltà. Tutto con un unico comune denominatore: il nostro mare. Da sempre cerchiamo di trasmettere la ricchezza, l’importanza biologica e la fragilità del nostro ecosistema adriatico.
Ora abbiamo uno strumento in più. Adria infatti è uno spazio aperto a tutti, ad ingresso libero, e completamente dedicato al mare Adriatico e ai suoi abitanti. Un centro destinato anche alla fruizione da parte dei turisti e del grande pubblico, per informare e divulgare coscienza ambientale e rispetto per il nostro mare.
Uno sforzo e un impegno enorme che Cetacea ha portato a compimento con l’aiuto del Comune di Riccione, della Provincia di Rimini e di alcuni enti privati, fra quali spicca la Delicarta, grande sostenitrice di questo progetto. Il centro rimarrà aperto da sabato e per tutta l’estate, tutti i giorni, sempre a ingresso libero.
Sabato è stata una bella festa. Tanta gente è venuta a trovarci, tanti amici. Persone che non vedevamo da tanto e altri che sono con noi adesso in questa fase del nostro cammino. E' stata una giornata frenetica ma divertente, faticosa ma appagante. Ed è stata solo un primo passo. Adesso siamo aperti tutti i giorni, orgogliosi e contenti di quanto abbiamo fatto, ma timorosi, dal momento che è una assoluta novità. Vedremo. Noi abbiamo dato tutto, in ogni senso.

Intanto se ne comincia a parlare in giro. Ecco l'intervista di questa mattina a RadioMonteCarlo:

mercoledì 13 maggio 2009

Un artista del senso di colpa

Il quadro che vedete qui sotto, è fatto con 2,4 milioni di pezzi di plastica. Ogni ora 2,4 milioni di pounds (1 pound=453,6 grammi) di plastica finisce nei mari del mondo. Tutta la plastica usata nel quadro è stata "pescata" nell'oceano Pacifico.

Un particolare del quadro


Il quadro che vedete qui sotto, è fatto con 270.000 denti di squalo. Ogni giorno 270.000 squali vengono uccisi per le loro pinne.

Un particolare del quadro


Il quadro che vedete qui sotto rappresenta 25.000 tonni. Ogni 15 minuti 25.000 tonni vengono pescati nel mondo.


L'autore dei quadri fotografici si chiama Chris Jordan, il suo sito è www.chrisjordan.com

martedì 5 maggio 2009

P. e T. e le tartarughe

P. è una ragazzino delle scuole medie. E' in una delle classi in cui quest'anno ho proposto il progetto didattico sulle tartarughe marine. Il progetto è stato un successo, i ragazzi si sono entusiasmati e hanno partecipato davvero con molta passione. Alcune ragazzine sono poi venute qualche pomeriggio a fare volontariato con le tartarughe.
P. ha dei problemi. Problemi di famiglia, ma anche di possibili cattive compagnie e di comportamento. Non lo interessa molto la scuola, ma gli sono piaciuti gli incontri sulle tartarughe e soprattutto quello CON le tartarughe. Ha trovato finalmente qualcosa che lo interessa. Così le sue insegnanti mi hanno chiesto di fare un percorso insieme, da qui alla fine della scuola. Due volte alla settimana P. viene qui e si occupa delle nostre tartarughe.
Abbiamo già le nostre volontarie, ovviamente non avremmo bisogno di un aiuto in più, ma questo non conta.
Stamattina è venuto per la prima volta, con il suo educatore. Insieme a loro anche T., una ragazzina anche lei con problemi, diversi da quelli di P. Anche lei con la sua educatrice.
Si sono divertiti a ingozzare Sole, a provare a fare mangiare le altre tartarughe. Si sono bagnati, si sono sporcati le mani di pesce e di "acqua di tartarughe". Ma sono stati bene, e credo stiano aspettando già venerdì per tornare.
Chi l'ha detto che un Ospedale delle Tartarughe debba dare una mano solo alle tartarughe?