Oggi, 29 dicembre, il blog compie un anno!!
Auguri, auguri!!
Grazie a tutti quelli che sono passati a trovarmi, a quello che si sono fermati a leggere e a quelli che hanno commentato.
Le analisi dei campioni biologici prelevati dai delfini trovati morti sulle spiagge adriatiche, sono ancora in corso, e richiederanno ancora diversi giorni prima di poter dare qualche risposta. Ma la Fondazione Cetacea, proprio perché responsabile del procurato allarme, non è rimasta inattiva. E venerdì mattina sono salito su un elicottero capitanato dal comandante Antonio Di Lizia, messo a disposizione dal Corpo Forestale dello Stato di Pescara. Lo scopo del volo era proprio quello di cercare di verificare l’eventuale presenza di altre carcasse di delfini, anche con lo scopo di recuperare, nel caso, nuovi campioni da analizzare.
Il survey compiuto dal mezzo della Forestale ha sorvolato un’area molto ampia. Partendo dall’Aeroporto F. Fellini di Rimini, l’elicottero si è diretto verso Ravenna, spostandosi ancora verso nord a un punto a circa 5 miglia al largo. Da lì il mezzo è sceso verso Rimini, seguendo un percorso a zig-zag, coprendo così un’area compresa fra le 2 e le 10 miglia circa. L’elicottero ha volato a circa 200 metri di quota, proprio per permettere un buona visuale della superficie del mare. E’ stata un’esperienza esaltante. Non ero mai salito su un elicottero prima e mi è piaciuto tantissimo. Prima di raggiungere il mare abbiamo volato per un po’ sulla mia Rimini. Che spettacolo il ponte di Tiberio visto dall’alto! E il Grand Hotel!
In tutta l’area esaminata, per un percorso di volo di circa due ore, non ci sono stati avvistamenti. Ed è un po’ quello che speravamo. A questo punto, il dato negativo di questo sopralluogo, insieme al fatto che da ormai otto giorni non si sono più riscontrati spiaggiamenti, permette quanto meno di abbassare il livello di allarme. Il fenomeno anomalo, se di questo si è trattato e non solo di una coincidenza negli spiaggiamenti, resta circoscritto alla settimana scorsa e, in attesa comunque del risultato delle analisi biologiche, si può per il momento tirare un grosso sospiro di sollievo.
Ma qualunque sia il destino di Mary, in mare o in vasca, questo non deve intaccare il valore di quanto è stato fatto. Tutte le esperienze del genere vissute in passato, ci hanno insegnato che un delfino che si spiaggia o che cerca un rifugio inusuale come un porto o un canale, ha infinitesime possibilità di cavarsela. Con Mary abbiamo visto che quell’infinitesima possibilità vale comunque la pena di giocarsela. Nel senso che ce la si può fare.
Anche se, forse, almeno per quanto mi riguarda, il senso di queste operazioni andrebbe rivisto, e ri-valutato con attenzione. Ecco cosa mi ha lasciato dentro tutta la storia Mary. Il dubbio, lo scricchiolare di alcune convinzioni. Ha senso davvero, spendere montagne di ore, fatica e tanti, tanti soldi per salvare chi la natura aveva deciso di escludere? Non ho una risposta chiara, ma almeno adesso la sto cercando e non mi sembra più così scontata.
Non mi sembra più così scontato ed indiscutibile che se si trova un delfino morente su una spiaggia, si deve fare di tutto, a tutti i costi, perché questo sopravviva. In passato ho cercato di mettere in fila le motivazioni che spingono a questo gesto, pensando che trovarne una valida o almeno plausibile risolvesse la questione. Ma non è così. La motivazione può essere ottima, ma subito dopo bisogna anche darle un senso: le due cose sono facce della stessa ma non sono identiche, e la seconda non deriva strettamente e automaticamente dalla prima.
Le motivazioni che spingono verso un intervento di recupero mi pare si possano ricondurre a tre categorie: motivi legati alla tutela e alla conservazione, motivi scientifici e motivi etici.
Il tentativo di salvare un esemplare di Cetaceo in difficoltà può apparire direttamente collegato con la conservazione, in realtà lo è, ma solo in maniera indiretta. Un esemplare spiaggiato non ha, dal punto di vista ecologico, nessun valore. Da una parte esso è stato, in qualche modo, rifiutato, eliminato dal suo ambiente naturale. Paradossalmente, intervenire per restituirlo al suo ambiente, può in questo senso apparire quasi come un intervento “contro natura”. In seconda battuta, a livello di conservazione della specie, o anche solo di una popolazione, il restituire al suo ambiente un solo esemplare non ha nessun effetto per la sopravvivenza della popolazione interessate, tanto meno della specie. Indirettamente però, l’emozione, l’interesse che questi interventi suscitano, possono avere importanti ripercussioni a livello di sensibilizzazione del pubblico verso certe tematiche. Quindi un apporto indiretto, appunto, alla causa della tutela delle specie.
Non troppo disgiunto da questo è il fatto che esemplari che forzatamente restano per periodi più o meno lunghi sotto l’osservazione del team, rappresentano una possibilità per ottenere informazioni (di tipo fisiologico, anatomico, comportamentale, eccetera) su essi stessi e sulla specie cui appartengono. Lo studio degli animali marini in genere, e anche dei Cetacei, è un’impresa difficoltosa anche e soprattutto per la mancanza di materiale su cui fare ricerca. E la ricerca scientifica, cioè la necessità di conoscere a fondo ogni caratteristica delle specie studiate, è un presupposto fondamentale per l’elaborazione e la strutturazione di progetti di conservazione solidi.
A tutto ciò si aggiungono le motivazioni etiche degli interventi sui Cetacei in difficoltà. In primo luogo ci si riferisce al fatto che, anche se in maniera molto indiretta, anche se in modo spesso nascosto e difficilmente indagabile, può succedere che lo spiaggiamento di un Cetaceo sia il risultato, magari indiretto si diceva, dell’interazione con una attività antropica (inquinamento di ogni tipo, interazioni con strumenti da pesca, disturbi in senso lato, collisioni, e altro). Ancora più forte è una motivazione morale semplicemente di compassione umana. Come esseri umani, e anche come persone che lavorano per la tutela di specie ed ambienti naturali, può risultare impossibile non intervenire cercando di fare il possibile affinché un animale sofferente non sia lasciato al proprio destino.
Riassumendo e semplificando in maniera forse brutale, diciamo allora che si interviene su un delfino spiaggiato per
1) ottenere un indiretto, e anche poco quantificabile per la verità, effetto per la causa della conservazione delle specie (tramite ricerca scientifica e sensibilizzazione) e
2) rispondere alla parte umana e compassionevole della nostra natura
3) Non nascondiamoci dietro a un dito e aggiungiamo pure che un terzo obbiettivo è molto meno etico ma pur sempre fondamentale. L’esposizione mediatica che un intervento come quello su Mary può regalare a un ente come la Fondazione Cetacea, rappresenta linfa vitale per ottenere l’attenzione da parte del pubblico e soprattutto di possibili sostenitori, finanziatori, sponsor.
Non è di poco conto ora cercare di capire in quale misura queste tre spinte all’azione agiscono nella scelta “interventista”. Perché un intervento di lunga degenza, e di successo, come quello della piccola Mary G., costa qualche decina di migliaia di euro, per non parlare dell’investimento di tempo, energie, oltrechè emozionale, che richiede. E si deve, brutalizzando ancora la questione, praticare la mai superata analisi costi/benefici. Restituire un delfino al mare, o anche solo alla vita, “vale” questo investimento? Ha senso spendere e spendersi tanto, per la vita di un essere vivente (vita che secondo natura sarebbe già cessata)?
Attenzione alla risposta, che non deve essere così scontata come può apparire. “Una vita non ha prezzo” è una risposta troppo semplicistica e manca di riflessione. Spendereste 30.000 euro per salvare un ratto, un pappagallo, un cervo volante? Perché è anche questo il problema: ci sono animali che valgono più di altri?
Mi ricordo quando nel 2002 siamo intervenuti su un grande pesce luna spiaggiato vivo a Riccione. Era un animale splendido, un enorme creatura che non sapevamo come aiutare. L’abbiamo spinto al largo dove è morto due giorni dopo, rispiaggiandosi. Abbiamo cercato di aiutarlo come potevamo, ma non ci è mai passato per l’anticamera del cervello di allestire una vasca di fortuna, o di riattivare un delfinario in disuso per provare a salvarlo. E allora, dove sta la discriminante? Perché un delfino sì e un pesce luna no?
Se Mary fosse stata un tonno avremmo mosso tutto la macchina che abbiamo avviato per Mary? E i tonni sono molto più minacciati in Adriatico e in Mediterraneo che non i grampi. Perché conservazione indiretta e sensibilizzazione qui non sono più argomenti validi? Per il pesce luna la “molla” della ricerca scientifica e delle importanti informazioni che avremmo potuto ottenere non è scattata (eppure di pesce luna ne sappiamo proprio poco), come mai?
Perché si legge spesso di mobilitazione di massa, si task force che intervengono (pensate al caso dell’iperodonte del Tamigi di qualche mese fa) solo quando si parla di Cetacei? La vita di un delfino vale più di quella di un branzino? Perché per alcune specie lasciamo che la “natura faccia il suo corso” e per altre no? Non sono certo qui per dare delle risposte, ma per fare in modo che certe domande vengano almeno poste.
All’ultimo convegno dell’European Association for Aquatic Mammals ci è stata raccontata la bella storia di Clyde, il grampo adulto curato per mesi in Florida e finalmente rilasciato in mare nel febbraio scorso. E non ho potuto fare a meno di notare, forse proprio a seguito di queste riflessioni che dal dopo Mary mi rincorrono, allo sproposito fra le forze e i mezzi messi in campo e il risultato ottenuto. Soldi, fatica, lavoro e impegno enormi, per un delfino in più in mare. E scusatemi se per il momento, non sono sicuro che ne valga la pena.
Dopo attenta valutazione all'unanimità si ritiene nel suo interesse che Mary G. non possa ritornare in mare.
Tale parere è dovuto alle seguenti motivazioni:
Alba, per esempio. Dal 1997 al 2000 Alba era diventata oramai un’istituzione, un punto fisso, la mascotte indiscussa del centro.
Alba era un giovane esemplare di Tartaruga comune con una triste storia che comincia alla fine di luglio del 1997 quando, in una località vicino a Venezia, presso un centro di allevamento di mitili, Alba viene ritrovata, agonizzante per una tremenda ferita che le attraversa il carapace, cioè la parte superiore del guscio. Probabilmente un’elica o la chiglia di un’imbarcazione l’hanno colpita. La ferita è grave e profonda. Viene recuperata dalla Capitaneria di Porto di Venezia e, tramite una staffetta con gli agenti del Corpo Forestale dello Stato di Forlì, consegnata alla Fondazione Cetacea.
La diagnosi non è buona: la ferita è molto ampia e difficilmente potrà cicatrizzare, inoltre è abbastanza profonda da aver raggiunto la colonna vertebrale e infatti Alba ha grosse difficoltà di movimento delle natatoie, cioè le zampe, posteriori. In pratica, è semi-paralizzata.
Va seguita e medicata quotidianamente e costantemente da un veterinario qualificato. La nostra veterinaria di allora, la dott.ssa Carlotta Gaio, decide quindi di portarsela via con sé, nel suo ambulatorio di Milano. E’ in buone mani ma decisamente non nutriamo molte speranze.
Eppure i giorni passano e l’attesa triste notizia non arriva. Carlotta ci tiene costantemente informati: dopo un preoccupante periodo iniziale, le sue condizioni migliorano ma molto lentamente e la ferita, mantenuta chiusa e soprattutto asciutta tramite una “toppa” di resina e plastica, periodicamente ricambiata, si sta chiudendo. Ci vuole più di un anno, ma alla fine, nel novembre del 1998 Alba rientra a Riccione. La ferita è richiusa, Alba sta bene ma le sue zampe posteriori sono ancora semi-paralizzate. Non sappiamo come se la caverebbe in mare, anche se conosciamo casi di tartarughe marine che sopravvivono anche con le natatoie posteriori amputate. Facciamo delle prove immergendola in un acquario da 8000 litri. La prova non va bene: Alba fatica molto a venire a galla a respirare, si muove con difficoltà. Quando poi uno dei pigri e grassi squali nutrice che stazionano spesso inerti sul fondo della vasca, le nuota dietro cercando di morderle le esanimi zampe posteriori, decidiamo che non è più il caso di insistere. Viene chiesto ed ottenuto l’affidamento permanente all’Ufficio CITES del Corpo Forestale dello Stato (che si occupa della detenzione di specie protette).
Abbiamo ormai realizzato che Alba non potrà più tornare in mare; e diventa così un testimone, un simbolo dei danni che la presenza invadente dell’uomo possono provocare sulle creature marine. Nel 1999 Alba ha una vasca tutta sua, proprio all’interno della mostra sulle tartarughe marine allestita al Delphinarium Riccione. Migliaia di bambini e visitatori la vedono e apprendono la sua storia e, sicuramente, riflettono… Per due anni Alba ha raccontato più di ogni parola che le tartarughe marine sono in pericolo, muoiono e soffrono anche a causa nostra. Ha ricoperto, suo malgrado, un compito importante che dava un po’ un senso alla sua permanenza forzata.
E invece, nel frattempo, quello che sembrava irreparabile lo è diventato sempre meno: le sue zampe posteriori lentamente hanno riacquistato qualche movimento e sembrano almeno aver ripristinato grossolanamente la loro funzione di timoni del nuoto. Dopo ore passate a discutere e a consultare esperti una nuova decisione viene presa: Alba può tornare in mare.
Il 12 ottobre 2000 è il gran giorno. Siamo emozionati e pur avendo assistito a decine di ritorni in mare delle nostre pazienti, mai come in questo caso ci chiediamo come andrà a finire, che fine farà Alba. Ce la farà? Una volta messa in acqua, mentre con un groppo in gola la vediamo allontanarsi, non possiamo fare altro che sperare. Siamo comunque ebbri di gioia, ma alla gioia del ritorno alla vita di un’amica si unisce la triste consapevolezza che quasi mai queste storie finiscono così bene. Alba scompare nelle acque torbide dell’Adriatico, dopo pochi attimi. Dobbiamo rassegnarci al fatto che non ne sapremo mai più nulla, il che ci consente comunque di immaginarla mentre nuota, ormai cresciuta, nel suo mare. Una tartaruga come tante, con una lunga cicatrice sul dorso.
Se volete avere questo bel regalo e nel contempo aiutare Darja nella sua ricerca e nella sua azione per la salvaguardia dei delfini del nord Adriatico, scrivetele per acquistare il calendario all’indirizzo darja.ribaric[chiocciola]guest.arnes.si
Tartarughe marine
Ogni anno si svolge il grande, eccezionale, mastodontico simposio mondiale sulle Tartarughe marine. E’ un convegno di dimensioni spropositate. Io ci sono stato solo una volta, a Miami, nel 2002. Nel 2006 si svolgerà a Creta (è la prima volta che si tiene in Mediterraneo).
Trovate le informazioni qui.
Poi, a distanza di qualche anno l’uno dall’altro ci sono i convegni Mediterranei sulle tartarughe. Il primo è stato a Roma nel 2001, il secondo l’anno scorso in Turchia.
Poi ci sono le liste di discussione.
Le più importanti:
C-Turtle (Lista mondiale sui mammiferi marini, super-consigliata)
Per iscriversi: scrivere a LISTSERV@lists.ufl.edu con scritto nel corpo del messaggio:
SUBSCRIBE CTURTLE Nome Cognome.
MedTurtle (lista mediterranea, consigliata).
Per iscriversi: mandare una e-mail a medturtle-request@compulink.gr con la parola SUBSCRIBE nel corpo del messaggio
ITART (lista italiana, ve la consiglio ma è un po’ addormentata, ultimamente)
Per iscriversi mandare un messaggio a itart-subscribe@yahoogroups.com oppure andate qua http://groups.yahoo.com/group/itart/
Non è mia intenzione in questi post mettere un elenco di link, ma per le tartarughe marine almeno uno ci vuole. Tutto lo scibile umano su questi Rettili lo trovate su www.seaturtle.org. Un sito eccezionale, dove fra migliaia di cose interessanti, potete anche cliccare su tracking. Vedrete a sinistra una colonna di nomi. Sono i nomi di decine e decine di tartarughe, in varie parti del mondo, marcate con trasmettitori satellitari. Ciccando sui nomi delle tartarughe vi si apre una cartina con il tracciato che quella tartaruga sta compiendo giorno per giorno, in tempo reale. Buon divertimento!
Il post del 15 gennaio “Riflessioni: passioni” ha suscitato diversi commenti. Ospito molto volentieri sul mio blog la discussione che ne è scaturita. Avevo deciso di “stare a guardare”, ma l’ultimo commento di Federica richiede che esprima il mio parere, soprattutto perché è rivolto alle parole di una ragazza (Roberta) di 16 anni. Rispetto l’opinione di Federica, ma credo che in quello che scrive ci sia un risvolto molto triste.
Lavorare nell’ambiente della “natura e degli animali” (scusate l’orribile semplificazione) è difficile perché le opportunità sono molto poche. Se poi si decide di puntare verso la biologia marina, lo spettro di scelte si riduce ancora. Infine se si è interessati ad animali particolari come i Cetacei, ma anche le Tartarughe marine e gli Squali, l’imbuto si restringe ancora a dimensioni infinitesime.
Ciò non toglie che ce la si possa fare. Ciò non toglie che sia giusto provarci, almeno!
Le discipline scientifiche richiedono studi difficili (in realtà né più né meno di tanti altri); e allora? Basta una prima difficoltà per accantonare un sogno, un progetto, una passione?
Scegliere il corso di laurea in base alla facilità di impiego sarà anche comodo e pratico ma per la miseria che tristezza. Gli anni spesi all’università non sono e non devono essere solo il mezzo per arrivare al “pezzo di carta” (ma siamo ancora lì?) e all’impiego ma anche l’opportunità di arricchire le proprie conoscenze personali e di concimare e innaffiare il seme di quello che si vuole diventare poi. Se si ha la passione e un interesse forte per qualcosa, come si può decidere di buttare tre o cinque anni della propria vita in qualcos’altro, per un “lavoro assicurato”?
Roberta hai una probabilità su mille di lavorare in questo campo, ma intanto seguila, e poi vedrai che durante il percorso potrai scoprire tanto di più, magari deciderai da sola di fare delle deviazioni sulla strada della tua formazione.
Il mio consiglio è di iscriverti a una Facoltà che ti dia una buona base scientifica (Scienze Naturali, Scienze Ambientali, Scienze Biologiche, per esempio). Durante gli anni di università, dal momento che nessuna di queste ti prepara a lavorare su ambiti così specifici, datti da fare da sola. Nel post “News: informazioni sui Cetacei” ho già scritto come fare un passettino nell’ambiente dei cetologi.
Inoltre usa le estati per fare volontariato e esperienze nel settore che ti interessa. Nelle liste di discussione che vi ho consigliato ci sono spesso richieste di volontari in giro per il mondo, a lavorare su delfini eccetera.
Accresci le tue conoscenze e il tuo bagaglio di esperienze. Studia, leggi, cerca, tracciati la TUA strada.
A cercare un lavoro di ripiego fai sempre in tempo… In bocca al lupo!