L’evoluzione non è un processo continuo che “dà origine a specie sempre più evolute”, per giungere “all’essere più evoluto di tutti: l’uomo”. L’evoluzione è un processo fondamentalmente casuale, che si basa sulla selezione naturale, e che origina nuove specie, non in linea retta, ma a cespuglio. Un cespuglio vario, ramificatissimo, intricato. L’esistenza dell’essere umano, come quella di ogni altra specie, è frutto di un caso. L’uomo soprattutto non è il fine dell’evoluzione, nè il culmine.
Dire che l’essere umano, o che qualunque altra specie, è la specie più evoluta, non ha alcun senso. Il risultato dell’evoluzione è l’adattamento (in genere momentaneo) a un dato ambiente. Gli squali, i pesci, i delfini sono molto più adattati alla vita nell’acqua, di quanto non sia l’uomo. Il lombrico è molto più adattato di noi a vivere sotto terra, e così via più o meno per qualunque specie. E se invece la misura del grado di evoluzione è la capacità a sopravvivere ed adattarsi a più ambienti diversi, allora non c’è dubbio che molto più evoluti di noi sono i batteri, capaci di vivere e prosperare a valori di temperatura, pressione, pH, per esempio, assolutamente pazzeschi (per l’essere umano, si intende).
L’intelligenza non è l’elemento che caratterizza la nostra “massima evoluzione”. Come visto sopra, non siamo più evoluti (perchè non ha senso affermarlo) perchè siamo più intelligenti. L’intelligenza è una conseguenza della nostra particolare storia evolutiva, una caratteristica acquisita nel tempo, e rivelatasi adattativa. Le pinne dei pesci, le ali degli uccelli, il senso elettro-magnetico degli squali, l’esoscheletro dei crostacei, l’intelligenza dell’uomo: tutti caratteri evolutivi, utili e preziosi alle specie che li portano. Il fatto che l’intelligenza ci permetta (unica specie, probabilmente, a farlo) di ragionare sui noi stessi, e sulle altre specie, non ci mette al di sopra di queste, non a livello evolutivo, nè tanto meno di superiorità o dominanza.
L’idea che l’uomo sia il fine ultimo dell’evoluzione, o la massima espressione della stessa, produce spesso l’idea terribile che il mondo e le sue creature siano al nostro servizio. Se tutto il processo evolutivo mirava ad arrivare a noi, allora tutto è lì per noi. Questa idea, dalle conseguenze devastanti, è stata perpetrata per millenni. Ne sono, in grandissima parte, responsabili le religioni, in particolare quella cristiana-cattolica, che hanno rappresentato l’essere umano “a immagine e somiglianza di dio”, o come essere speciale agli occhi di dio. Non solo, le sacre scritture riportano molte volte il concetto che il mondo è a nostro uso e consumo, e che noi dobbiamo comandare “sui pesci del mare e sugli uccelli dell'aria, sul bestiame e su tutta la terra, e su ogni cosa che striscia sul terreno”.
L’essere umano non è il centro dell’universo. Una volta lo si credeva in senso letterale. L’uomo come specie dominante sulla Terra, che era al centro dell’universo. Ora sappiamo che la Terra è un piccolo pianeta di uno dei miliardi di sistemi solari dell’universo. Neppure il Sole gira intorno a noi, ma è la Terra che ruota attorno alla sua stella di secondaria importanza (e la Chiesa ha fatto pagare duramente questa rivelazione a Galileo). E non siamo che una delle milioni di specie che la abitano. Come dice Gould, siamo “un effimero accidente cosmico che non si verificherebbe di nuovo neppure se si ripiantasse l’albero della vita dallo stesso seme e lo si facesse crescere nelle stesse condizioni.”
Il nostro grande cervello, e dunque la nostra intelligenza, ci ha dato la capacità di occupare ampie aree e ambienti molto diversi del pianeta, e anche di sfruttarne, in una maniera mai vista prima e mai eguagliata, le risorse. L’animale uomo è una specie fortemente adattabile, grazie alla capacità che un cervello sviluppato ci ha fornito, e il nostro ecosistema è il pianeta stesso. Ma dobbiamo ricordarci chi siamo specie fra le specie, ospite fra gli ospiti.
Se una specie non si integra in un ecosistema, non entra nell’equilibrio che quell’ecosistema sottende e regola, alla fine deve soccombere. Le regole che governano i sistemi naturali, che pure abbiamo studiato e appreso, non ci mettono al di sopra di esse. La nostra tecnologia, che ci ha permesso di prosperare sempre di più, anche e soprattutto a spese delle risorse globali, può causare la nostra distruzione, probabilmente per esaurimento delle risorse stesse.
L’intelligenza, che ci ha fornito la tecnologia con la quale abbiamo “conquistato il pianeta” deve ora farci comprendere come fermarci e come reinventarci, per essere parte di un equilibrio, e non distruttori e sfruttatori dello stesso. Il nostro cervello, la nostra capacità di coscienza, ci consentono, unici fra le specie, di preoccuparci del nostro pianeta e di prendere decisioni per agire per un “bene comune”, nostro e degli altri coinquilini della Terra. Ora o mai più, è il momento di farlo.