mercoledì 26 novembre 2008

I (poveri) delfini delle Solomon

Le Isole Solomon sono state un protettorato della Gran Betagna per oltre un secolo, fino al 1976 quando sono diventate una nazione indipendente. La popolazione ha da sempre fatto affidamento sulle risorse del mare per il proprio sostentamento. Compresi i delfini che abitano quelle acque. Alcune tribù hanno una tradizione di caccia al delfino. Li cercano e li seguono con le loro barche e poi facendo rumore li spingono verso riva, dove vengono poi tenuti forzatamente sott'acqua fino a che annegano, oppure semplicemente accoltellati. Ne mangiano la carne e ne prelevano i denti, che usano come merce di scambio, come moneta cioè, o come doni nuziali.
Stranamente però non hanno mai cacciato i tursiopi, di cui reputano di poco valore sia la carne che i denti.
Questo fino al 2003, quando un canadese di nome Christopher Porter offrì parecchi soldi ai pescatori locali, perchè gli pescassero tursiopi da vendere ai delfinari messicani.
Parentesi: visto i lunghi anni passati a contatto con i delfinari, conosco molti addestratori di delfini, e non sarà mica un caso che molti di loro adesso lavorano nel florido mercato dei delfinari messicani, no? Chiusa parentesi.
Come risultato dell'offerta di Porter, 28 delfini furono spediti dalle Solomon al Messico. Allora, le isole Solomon non erano parte della Cites (la convenzione di Washington che regola o vieta il commercio di specie protette). Anche a seguito di questo fatto però si arrivò presto al divieto di esportazione di delfini dalle Solomon, e allo stesso divieto di import-export di delfini per e dal Messico.
Ma nel 2005 il buon Porter non si perse d'animo e mise in piedi un'altra cattura di delfini per un acquario delle Bahamas. La cattura venne effettuata ma l'uragano Katrina ci mise lo zampino, prima che gli animali potessero essere spediti. L'Atlantis Aquarium delle Bahamas colse al volo l'occasione di ottenere delfini gratis facendo anche bella figura, e si offrì di ospitare i delfini dell'acquario di Gulfport che erano rimasti senza casa proprio a causa dell'uragano. Quelli catturati ma mai spediti rimasero senza compratore e non si seppe mai che fine fecero.
Porter, uomo dalle mille risorse, era comunque ancora in gioco, e appena seppe che, dopo un cambio di governo, il divieto di export dalle Solomon era caduto, ed eccolo di nuovo là a catturare (anzi a fare catturare) altri 28 delfini, presto spediti a un delfinario degli Emirati Arabi Uniti.
Nel giugno del 2007, l'anno scorso mica tanto tempo fa, proprio nell'anno in cui le Solomon entravano nella Cites, e proprio durante una riunione della Cites, ecco la notizia che si stavano catturando altri delfini, ancora da spedire agli Emirati Arabi. Se fai parte della Cites non puoi esportare delfini senza il consenso dell'Autorità Scientifica che deve valutare se questo "prelievo" dalla natura è sostenibile dalle popolazione di delfini da cui sono prelevati. Ma lo stato delle popolazioni di cetacei delle Solomon è sconosciuto, così ecco altri 28 delfini (perchè sempre 28? Mah...) partire per Dubai.
Dopo ciò, i paesi membri della Cites hanno sollevato il problema e si sono fatti sentire, ma il processo è lungo. Così, il governo delle Solomon visto che la Cites aveva lasciato passare l'ultimo carico verso Dubai senza obiettare, decise che non era una cosa poi così cattiva, e ha stabilito che ogni anno si possono catturare e esportare 100 delfini.
Fiutato l'affare, diversi gruppi di cattura sono sbucati dal nulla, e a quanto pare ci sono già accordi per spedizioni ad acquari a Taiwan, Panama, Thailandia e Singapore.
Lo scorso agosto è stato organizzato un workshop di scienziati ed esperti che prendessero in esame la situazione della popolazione di delfini dell'Indo-Pacifico e la conclusione è stata che per sopportare un prelievo di 100 delfini all'anno, la popolazione delle Solomon dovrebbe contare almeno 5000 animali. Ma i dati sono scarsi e comunque si stima che siano molti di meno. I partecipanti al workshop si sono raccomandati di bloccare le catture fino a che non si sarà studiata meglio la situazione. Ma il governo delle Solomon ha scelto di ignorare le conclusioni degli esperti, e prosegue per la sua strada.

Tratto da AWI Quarterly, Fall 2008, Volume 57, Number 4

mercoledì 19 novembre 2008

Tropico del Mediterraneo

Riscaldamento globale, cambiamenti climatici. Termini che sono diventati di uso comune, conseguenze, forse un giorno devastanti, dell’effetto dell’attività dell’uomo sull’”ecosistema Terra”. Dietro a queste espressioni, altre ne seguono, conseguenze o effetti collaterali di questi grandi cambianti apparentemente in (rapido) corso. In mare, dove gli effetti sono comunque se non meno ampi, forse meno evidenti o leggibili, si parla per esempio di tropicalizzazione e meridionalizzazione.
Il primo termine indica l’ingresso nel Mare Mediterraneo di organismi provenienti da mari più caldi, tropicali o sub-tropicali, appunto. Ma il Mediterraneo, lo si legge su ogni libro di geografia, è un mare semi-chiuso. Da dove arrivano dunque questi nuovi ospiti? Due sole sono le strade: lo stretto di Gibilterra, apertura naturale del bacino verso l’Atlantico, e il canale di Suez. Questa volta un’entrata “secondaria” aperta però proprio dall’uomo e che collega il nostro mare con il Mar Rosso.
Siamo chiari: ingressi di specie alloctone (cioè non appartenenti a quel dato ambiente) in Mediterraneo, soprattutto da Gibilterra ci sono sempre state. In mare non ci sono muri o cancelli. La novità è data dal fatto che ora alcune di queste specie possono trovare anche qui un ambiente non ostile, soprattutto meno freddo, e dunque viverci e proliferare.
Cosa si intende invece per meridionalizzazione? Qualcosa forse di più semplice. E’ ovvio che anche in un mare relativamente piccolo (in confronto agli oceani) come il Mediterraneo, ci sia una anche evidente differenza di temperature – medie, massime e minime – fra le aree più a nord e quelle più meridionali. Queste differenze di temperature incidono sulle specie presenti nelle diverse zone, ed è evidente che animali che prediligono acque più fredde si trovino nei bacini settentrionali, e viceversa. Con l’aumento delle temperature, non solo la differenza tra le due aree tende a diminuire, ma soprattutto le acque tendono a scaldarsi e ad assomigliare così a quelle del sud. Dunque le specie meridionali non sono più impedite dal freddo e possono ora colonizzare anche bacini settentrionali.
Questa la teoria. Nella pratica, la capacità di molte specie di migrare e di spostarsi a piacimento magari in cerca di cibo, rende il tutto meno netto e definito.
In Adriatico per esempio, si osservano sì cambiamenti di questo tipo, ma non dobbiamo pensare alla comparsa assoluta di nuove specie, quanto semmai alla maggiore frequenza con cui specie prima del tutto occasionali, ora diventano più o meno regolarmente pescate o avvistate. Così ad esempio Attilio Rinaldi della Dafne fa notare “la presenza massiva e superiore alla norma” nelle nostre acque “di specie termofile”, cioè che prediligono acque più calde. “Tra queste l'Alaccia (Sardinella aurita), la Lampuga (Coryphaena hippurus), la Ricciola (Seriola dumerili), la Leccia (Lichia amia), la Palamita (Sarda sarda) e il Barracuda boccagialla (Sphyraena viridensis). Mentre la Donzella pavonina (Thalassoma pavo) viene segnalata come abbondante nell’Adriatico centrale”.
Attenzione però, mentre le specie di derivazione più meridionale possono, con l’innalzarsi delle temperature spostarsi o semplicemente espandere il proprio areale a nord, quelle invece che ricercano temperature più basse, non trovano scampo, nel vicolo cieco dell’alto Adriatico, non potendo in effetti spostarsi più nord. Queste sono dunque a rischio di scomparsa. Un esempio pare essere quello dello Spratto (Sprattus sprattus), che ha già fatto registrare una significativa riduzione in termini di biomassa.
E’ importante ricordare che l’ingresso di nuove specie in un determinato ambiente è un fenomeno da non trascurare. Non si tratta di stilare elenchi di specie quasi come curiosità, tutt’al più per subacquei e appassionati. Ambienti ed ecosistemi sono delicati equilibri, che devono riorganizzarsi ogni volta che si provoca un notevole cambiamento, e l’ingresso di nuove specie lo è eccome, si pensi alle catene alimentari. Dunque la meridionalizzazione va tenuta almeno sotto stretta osservazione e di certo non sottovalutata.

venerdì 14 novembre 2008

Magari fosse una bufala

Nelle ultime settimane ho ricevuto diverse volte una email che denuncia la strage di globicefali che ogni anno si compie sulle coste delle isole Faroe, in Danimarca. Non avevo mai sentito di un fatto del genere in Danimarca e, vista anche la "forma" dell'email e i forti contenuti delle immagini, ammetto di avere pensato subito a una email falsa, una "bufala" insomma. Pensavo che le foto si riferissero a vecchie "mattanze", magari raccolte qua e là. Insomma, forse ingenuamente, avevo preferito non crederci.
Poi me ne sono dimenticato, anche se ogni tanto il messaggio arrivava di nuovo.
Proprio oggi qualcuno mi ha telefonato dicendo che aveva ricevuto la mail e prima di farla girare voleva capire se fosse una notizia confermata. Così mi sono preso cinque minuti in più e ora posso dire che purtroppo la notizia è vera. Se ne trovano diverse fonti online.
Il fatto viene citato anche fra la minacce (threats) che colpiscono questa specie, nella scheda relativa, sul sito dell'Office of Protected Resources della NOAA, ente governativo americano, così come viene denunciato fortemente su questa pagina della Sea Sheperd Conservation Society.
Qui trovate la notizia ben riportata, in italiano.
Brutte notizie dunque, e vere.

Stop the whales massacre!

domenica 9 novembre 2008

SE... fosse una notizia

Questa settimana sono stato a casa, in ferie. Per cui sono venuto a conoscenza di un comunicato stampa che l'ENPA (Ente Nazionale Protezione Animali) ha rilasciato il 6 novembre, solo quando venerdì mattina ho comperato il giornale. Il comunicato lo leggete qua.
Non sono mai stato un animalista, pur lavorando per la tutela di specie animali da quasi dodici anni. L'ENPA sostiene alcune campagne sacrosante ma forse a volte si lascia un po' prendere la mano dalle proprie tesi e convinzioni.
Oggi ho letto la risposta del parco Oltremare che non devo difendere io, perchè Cetacea non ha avuto niente a che fare con i recenti parti ma anche e soprattutto perchè il caso non esiste e dunque non c'è nulla da difendere. Ma rimango comunque sorpreso e scoraggiato dal comunicato dell'ENPA.
Ma come si può partire da una cosa del tipo "Quanto alle supposte cause di morte - prosegue Guadagna - se Oltremare avesse realmente riunito nella stessa vasca il delfino Cleo ed il suo cucciolo insieme a un grampo, allora non si potrebbe escludere un’ aggressione”.
Cos'è questa? Un'ipotesi o un fatto? Dal momento che la frase inizia con un se, direi un'ipotesi del tutto arbitraria di ENPA. E allora se si ha un'ipotesi la si verifica, non la si pubblica con un comunicato stampa. Non in questo modo, comunque.
E poi va avanti "Il grampo è una specie di delfino differente da quella cui appartengono Cloe e il suo cucciolo. “Le due specie – ha aggiunto Guadagna – comunicano in modo profondamente diverso: non si capiscono. Da tale incomunicabilità possono derivare problemi comportamentali tra cui si annoverano anche episodi di aggressione. Ok, corretto. Ma dal momento che l'IPOTESI che siano stati messi insieme è e resta un'iIPOTESI, questa precisazione è del tutto inutile.
E invece è stata messa lì per creare la notizia. Che così sui giornali diventa, come ho letto io, "I due cuccioli sono stati uccisi da Mary G.?"
Il che è davvero una cretinata. Pechè chi gestisce un delfinario, anche se fosse un essere bieco e amorale, conosce bene come garantire al meglio la salute dei propri animali, non fosse altro per ragioni di mero profitto. Non a caso le strutture moderne hanno vasche separate per i parti e per i primi periodi di vita dei neonati.
Auguro a ENPA di coronare con successo tutte le loro battaglie, anche quella contro i delfinari (ma chiudiamoli subito non è una soluzione...) ma se questo è il modo in cui le conducono, la vedo dura...

giovedì 6 novembre 2008

Argonauta

Due settimane fa, sul quotidiano La Voce è stata riportata la notizia che all'interno della darsena di Rimini era stato ritrovato un organismo marino che poteva essere un Argonauta.
Difficile dalla foto stabilire cosa fosse, ma la notizia ha comunque portato all'attenzione uno degli organismi più particolari che vivono nei mari temperati, compreso l'Adriatico, l'Argonauta appunto. Il nome scientifico completo è Argonauta argo, ed è quasi un animale mitologico. Innanzitutto va detto che questo Mollusco gasteropode (cioè parente stretto di polpi e seppie) è famoso fra le altre cose per la sua meravigliosa conchiglia. Solo che non è una conchiglia...
Andiamo per ordine. In questa specie c'è un forte dimorfismo sessuale, cioè una notevole differenza fra le caratteristiche della femmina e quelle del maschio. Quest'ultimo infatti è circa venti volte più piccola della femmina, infatti possono raggiungere rispettivamente 1 centimetro di lunghezza lui e 20 centimetri lei.
L'altra differenza fondamentale è che la femmina è in grado, tramite un secreto che esce da alcune ghiandole poste sul primo paio di braccia o tentacoli, di costruire una conchiglia appunto, che è fatta di materiale calcareo ed è più o meno trasparente. Questa meraviglia, per trovarne una in spiaggia da noi bisogna essere molto ma molto fortunati, non serve a proteggere il corpo dell'animale, ma viene usata invece per contenere e dare a riparo alle uova. Ecco perchè non si può definire conchiglia ma tecnicamente viene detta “ooteca”, cioè contenitore di uova.
Il maschio non ha l'ooteca, in quanto ovviamente le uova sono prodotte dalla femmina. Esso inoltre, come detto, è piccolissimo e assomiglia a un polpo in miniatura, ma con un braccio lunghissimo (ectocotile) che serve durante l'accoppiamento per portare lo sperma dentro la cavità del mantello della femmina. Ma le stranezze non finiscono qui, perchè a questo punto il braccio si stacca e può sopravvivere per diversi giorni dentro la femmina. In effetti in passato fu molto spesso confuso con un parassita. Per i motivi suddetti, per secoli si sono conosciuti esclusivamente esemplari femmine, dei maschi non si sapeva niente.
Questi animali vivono un po' in tutto il Mediterraneo anche se non sono così comuni. Conducono una vita pelagica, cioè si lasciano galleggiare in balìa delle correnti, in genere sotto costa. A volte possono dare aggregazioni e pare che nell'Adriatico settentrionale ce ne sia stata una vera invasione, nel 1936.
Si cibano principalmente di piccoli pesci e di plancton, ma anche di crostacei e piccoli molluschi.
Nell'antichità incontrare un argonauta era ritenuto il più favorevole degli auspici, perché orientava la rotta e assicurava un viaggio sicuro, essendo riconosciuto come la conchiglia degli dei. Il poeta greco Oppiano ne parla così: "O creatura marina giustamente cara ai naviganti, la tua presenza annuncia i venti dolci e amici; tu riconduci la calma del mare e ne sei il segno".
Infine, il nome Argonauta venne dato a questa specie da Carlo Linneo che per primo lo descrisse nel 1758: era il nome che nella mitologia greca era attribuito ai 50 eroi guidati da Giasone sulla nave Argo alla ricerca del Vello d'Oro.