sabato 12 luglio 2014

Un naturalista al Parlamento Europeo

Sono atterrato a Bruxelles, per la prima volta di questa nuova avventura, il 9 giugno. È passato dunque un mese, più o meno. Un mese molto intenso, ricco di mille cose nuove. Riunioni, incontri, burocrazia, viaggi, moduli, smarrimenti (i due palazzi del PE sono enormi labirinti).
La situazione, caotica, migliora piano piano ma l'effetto di trovarsi su un altro pianeta resta forte. Passerà. Soprattutto con il lavoro, che è già tanto ma che non è ancora del tutto entrato nel vivo. Il vivo sono le commissioni.

Io, come avevo chiesto sin da subito, sono entrato come membro titolare nella commissione PECH (Pesca). Sono anche titolare nella ENVI (Ambiente, sanità pubblica e sicurezza alimentare), una delle più grandi, e importanti, direi. Non è usuale che un deputato entri a pieno titolo in più commissioni (si può partecipare ai lavori anche come membri "supplenti"), ma noi del M5S lo abbiamo fatto tutti, per lasciare scoperte meno commissioni possibile.

Ci sarà tanto lavoro da fare, ma la sfida è stimolante.
In settimana intanto ho incontrato Isabella Lövin, deputata svedese dei Verdi, e già al suo secondo mandato in commissione Pesca. Il suo libro, "Silent seas", uscito nel 2007 ha vinto un sacco di premi e grazie a questo le è stato chiesto di candidarsi, lei è una giornalista, per il Parlamento Europeo, nel 2009. È stata eletta allora, e di nuovo adesso.
È stato un incontro interessante, penso che lavoreremo bene insieme. Per loro è strano e... promettente che un biologo marino entri in quella commissione (non è che sia successo spesso...) e dove tanto si decide del futuro del nostro mare.
È la stessa aspettativa che hanno molti di quelli che mi contattano, e dunque è una bella responsabilità. 
Al lavoro.


domenica 1 giugno 2014

#eurodep

E rieccomi qua.

Poco meno di un mese fa avevo salutato dicendo che, essendo impegnato nella campagna elettorale, non avrei aggiornato il blog.
Adesso torno e... tutto è cambiato, visto che sono effettivamente stato eletto al Parlamento Europeo.

Questo blog è nato alla fine del 2005. All'inizio si chiamava Storie di Mare e aveva un indirizzo diverso. Quando, a fine 2011, ho lasciato Fondazione Cetacea, per la quale ho lavorato 15 anni, ho deciso di personalizzarlo un po': l'ho spostato sul dominio marcoaffronte.it, e gli ho cambiato nome. Da libero professionista, mi serviva una "visibilità" diversa.

Ora mi aspettano cinque anni di un impegno molto particolare. Anche se al Parlamento Europeo cercherò di portare comunque le mie tematiche, le mie sensibilità e competenze, le mie battaglie di sempre. Prima di tutto, il mare e l'ambiente.

Dunque questo luogo cambierà ancora, anche se al momento non so bene come.

Voi, se volete, continuate a seguirmi. E grazie, sempre grazie.

giovedì 8 maggio 2014

Assente giustificato

Lo so, stavate già pensando che il blog fosse defunto. Non scrivo da tempo.
E' che mi sono buttato in una nuova avventura, molto molto impegnativa, anche se appagante e che dà molte soddisfazioni. Sono infatti candidato alle elezioni del Parlamento Europeo.
Ho pensato che avrei potuto provare a portare le mie battaglie per l'ambiente e la conservazione anche là dentro. O almeno ci provo. E dunque eccomi qua, a dedicare tutto il mio tempo a questa "impresa", lasciando le briciole al resto.
Tornerò da voi, potete contarci, dopo il 25 maggio. Nel frattempo, se abitate in Emilia-Romagna, Veneto, Trentino o Friuli, potete anche votarmi, volendo (se lo fate, ricordate di scrivere il mio cognome sulla scheda, barrando il simbolo del Movimento 5 Stelle).

A presto!




mercoledì 16 aprile 2014

La comunicazione nei casi di emergenza in ambiente marino

Vi segnalo un corso di formazione che terrò insieme a Elisabetta Mutto Accordi, un'esperta di comunicazione.
Il titolo è "La tutela dell’ambiente marino nei casi di emergenza: la comunicazione come strumento di intervento, garanzia per la pubblica sicurezza e sensibilizzazione" e si terrà il 16 maggio a Porto San Giorgio (sarà ripetuto anche il 13 giugno a Cesenatico).
Il corso è stato studiato ed ideato per fornire gli strumenti necessari a gestire in modo efficace la comunicazione nei casi di emergenza in ambiente marino. È rivolto dunque a tutte le figure professionali potenzialmente coinvolte nelle procedure di intervento. Lo scopo è quello di favorire la buona riuscita delle operazioni, la tutela degli ecosistemi, la sicurezza pubblica e la sensibilizzazione dei cittadini.
Il corso è realizzato in collaborazione con il CEA "La Marina Ecoidee".



venerdì 11 aprile 2014

A spasso nella marineria

Questa mattina, nell'ambito del progetto Rimini Soul Mare, ho accompagnato 43 bambini di terza elementare, a conoscere il porto e la marineria di Rimini. E' stata un po' una scommessa, perché sono tematiche che amo molto ma delle quali non sono propriamente un esperto. Ho dovuto studiare un bel po' (però con grande soddisfazione) e costruire un percorso che comprendesse storia e presente, notizie, curiosità e informazioni che pochi conoscono davvero, e figuriamoci i bambini.
Siamo partiti dai cantieri navali (non siamo entrati però), poi alla darsena a visitare la barca storica "Amarcord", grazie all'Associazione "Vele al Terzo", poi di nuovo sul lungo porto e via verso il mercato ittico, che abbiamo potuto visitare grazie al direttore, sig. Capello. 
Poi lunga passeggiata alla scoperta dei pescherecci (strascico, volanti, turbosoffianti, eccetera), pausa al ponte della Resistenza, e poi giù fino al Faro, con cenni di storia del porto di Rimini, una storia lunghissima e varia, e interessantissima per il rapporto "contrastato" e problematico con il fiume Marecchia.
I bambini, della scuola il Cammino, sono stati grandiosi. Hanno camminato per tre ore, e per più di 2 km, sempre attenti e curiosi. Credo si siano divertiti e di certo hanno scoperto e imparato un sacco di cose che hanno sotto agli occhi da sempre, ma che non conoscevano.
Io ho vinto la mia scommessa: raccontare il porto e la marineria ai bambini si può fare ed è molto divertente.

giovedì 27 marzo 2014

A lezione di Squali e Cetacei

Venerdì 6 e sabato 7 giugno, terrò due seminari, uno sulla biologia dei Cetacei e uno sulla biologia degli squali, a Porto S. Giorgio, in collaborazione con il Centro di Educazione Ambientale "La Marina Ecoidee".




sabato 8 marzo 2014

Orche: fine dello spettacolo?

Credo che pochi, onestamente, avrebbero potuto prevedere gli effetti che il film-documentario "Blackfish" sta avendo sulla questione della cattività delle orche. Ne ho scritto anche qua
Il mio pensiero, forse più una piccola speranza, è che "Blackfish" ha trovato un terreno favorevole. Cioè è arrivato al momento giusto. Un momento in cui ormai molte persone si chiedono che senso abbia continuare a tenere Cetacei in cattività, e orche in particolare. Dove sia la tanto sbandierata utilità dal punto di vista educativo e scientifico, e quanto sia invece decisamente poco etico e morale, rispetto a standard morali che non sono decisamente più quelli di 30 anni fa.

Un ulteriore effetto del film, non da poco, e di cui si parla molto in queste ore, è una proposta di legge della California, dichiaratamente ispirata al documentario, che di fatto vieterebbe la cattività delle orche in quello stato. Qui potete leggere il documento completo. Qui la notizia riportata dalla CNN.

La proposta di legge, decisamente di difficile applicazione, non gira troppo intorno al problema. Al primo punto leggiamo infatti:
"E' illegale per chiunque mettere in atto una delle seguenti operazioni:
(1) Tenere in cattività, o usare, un'orca catturata in natura o nata in cattività, a scopo di intrattenimento;
(2) La cattura nelle acque dello Stato, o l'importazione da un altro Stato, di qualunque orca destinata a essere utilizzato per scopi di intrattenimento.
(3) Fare riprodurre o fecondare un'orca in cattività.
(4) Esportare o importare da un altro Stato sperma, altri gameti o embrioni di orche in cattività, per fini di fecondazione artificiale."

La proposta scrive anche che le orche attualmente in cattività dovrebbe essere riabilitate per il loro ritorno in mare. Quando questo non è scientificamente possibile (non lo è praticamente mai), andrebbero trasportate in appositi recinti in mare, aperti al pubblico, ma senza effettuare spettacoli. Finché tali recinti non saranno stati approntati, le orche già in cattività possono stare dove sono già adesso, ovviamente stanti i punti di cui sopra (no riproduzione, no spettacoli, ecc.).

Non è chiaro, e credo che sia uno dei punti debolissimi della legge, chi dovrebbe costruire questi recinti, chi dovrebbe farsi carico del mantenimento delle orche nei recinti, e tutto ciò con quali soldi.
Per questo, e credo non solo per questo, dubito che un atto del genere possa essere approvato ma, almeno da punto di vista mediatico, è un altro potente pugno nello stomaco per il SeaWorld e per l'impresa dei delfini in cattività.

Altri due stati americani, in passato avevano legiferato contro la cattività delle orche, South Carolina e New York, ma erano gesti simbolici, visto che in quegli stati non ci sono orche. In California invece c'è il SeaWorld, con le sue dieci orche. La battaglia continua, dunque.

mercoledì 26 febbraio 2014

Quando ai delfini davamo la caccia

Stavo cercando, per un amico, il Decreto che vedete sotto, e l'ho trovato. Che effetto vi fa leggere oggi, quello che allora era addirittura sancito dalla legge?
Quanto è cambiata, in qualche decennio, la nostra sensibilità?
Adesso inorridiamo per le stragi in Giappone, alle Faroe, o per la baleneria. Ed è giusto così! Ma insomma, non è che 60-70 anni fa noi fossimo molto diversi, giusto?
Per fortuna il mondo cambia, e con esso anche l'etica e la morale. Cose lecite il secolo scorso, oggi sono inammissibili (purtroppo non vale per tutti gli animali, e nemmeno per tutti gli esseri umani, ahimè). Convinzioni e ideologie possono cambiare e trasformarsi, con la conoscenza, lo studio e la corretta divulgazione delle informazioni. 

N.B.: i grassetti qui sotto li ho messi io.


DECRETO MINISTERIALE 1 GENNAIO 1939-XVII

Oggetto:
ISTITUZIONE DI UN PREMIO IN DANARO A FAVORE DEI PESCATORI ITALIANI
CHE CATTURINO E UCCIDONO DELFINI
Gazzetta Ufficiale 15 febbraio 1939, n. 38

IL MINISTRO PER L'AGRICOLTURA E LE FORESTE
Visto il testo unico delle leggi sulla pesca approvato con Regio decreto 8 ottobre 1931, numero 1604;
Ritenuta la necessità di incoraggiare ed intensificare la lotta contro i delfini, per attenuare i danni che essi sogliono produrre ai pescatori durante le operazioni di pesca;

DECRETA:
Art. 1 - E' istituito un premio di lire 50 a favore di qualsiasi cittadino italiano che, entro il 31 uccida, portandolo poi a terra, un delfino.
Il premio è elevato a lire 100, quando si tratti di femmina, durante il periodo di riproduzione.
La spesa relativa sarà posta a carico del capitolo 75 del bilancio del Ministero dell'agricoltura e foreste, per l'esercizio 1938-39 sul quale è all'uopo impegnato la somma di lire 40.000 (lire quarantamila).
Art. 2 - I premi saranno pagati dal Ministero dell'agricoltura e delle foreste in base a verbale dell'autorità marittima locale, che accerti l'uccisione e la distruzione della testa e della pinna codale del cetaceo.
I verbali saranno trasmessi al Ministero della Regia capitaneria di porto competente, con la indicazione, da parte di quest'ultima, della persona alla quale dovrà essere corrisposto il premio. Il presente decreto sarà inviato alla Corte dei Conti per la registrazione.
Roma, addì 1 gennaio 1939-XVII.

Il Ministro ROSSONI

martedì 18 febbraio 2014

Come ti uccido (male) la balena

È stato pubblicato davvero pochi giorni fa, un articolo molto interessante di Michael J. Moore, che lavora per la Woods Hole Oceanographic Institution, negli Stati Uniti.
L'articolo affronta un argomento noto, la caccia alle balene, ma da un punto di vista molto particolare. Lo si capisce già dal titolo "Cibo per la mente. Come tutti noi uccidiamo le balene".
Sentiamo, leggiamo e discutiamo spesso di come alcune nazioni, in particolare Giappone, Islanda e Norvegia, continuino a cacciare le balene. Le critichiamo ferocemente, e giustamente, ed esprimiamo giudizi negativi su questa pratica che riteniamo barbara, ed è condannata dal "tutto il mondo".
Cosa ci fa così indignare, della baleneria? Intanto, che incide su popolazioni di animali, appunto i grandi misticeti, che sappiamo essere stati portati sull'orlo dell'estinzione anche a causa di questa caccia indiscriminata, ma non solo da questa.
Inoltre ne facciamo anche una questione di etica e di benessere animale: la baleneria, molto più in passato, ma anche oggi, usa tecniche che recano sofferenze agli animali che vengono colpiti dagli arpioni. E che possono impiegare diverso tempo per morire, anche quando non sono catturati, ma fuggono portandosi l'arpione in corpo per giorni .

Abbiamo dunque una questione di conservazione e una legata alla morale. Ebbene l'autore ci dice chiaramente che dovremmo avere lo stesso tipo di preoccupazioni anche per altre attività che incidono allo stesso modo sulle grandi balene. Lui ne nomina diverse - collisioni con le imbarcazioni, inquinamento acustico, inquinamento chimico, eccetera - ma ne porta alla nostra attenzione una in particolare. Parla delle reti fisse, cioè quelle reti lasciate in mare distese a pescare, anche per giorni, e poi salpate periodicamente da grandi imbarcazioni. Noi sappiamo che queste reti, se piazzate in aree frequentate alle balene, hanno una certa probabilità (un'alta probabilità, in certe zone) di catturare le balene stesse, portandole spesso alla morte e comunque con effetti molto pesanti anche sul loro benessere.
I numeri che raccontano questo problema sono scioccanti e, per quanto mi riguarda, anche del tutto inaspettati. La mortalità di cetacei causata dalla cattura accidentale in strumenti da pesca ammonta probabilmente a centinaia di migliaia di individui all'anno. È in questo conto quasi sicuramente sono sottostimati i numeri relativi ai grandi cetacei, balene e balenottere; questi animali infatti spesso sono abbastanza forti e grandi da riuscire a liberarsi dalla rete, ma solo per allontanarsi con ampi lembi della stessa fermamente impigliati e attorcigliati a parti del loro corpo. Noi non troviamo queste balene impigliate nelle reti, ma molte di queste probabilmente vanno a morire da un'altra parte. Conoscere quante balene muoiono per questo è quasi impossibile: spesso le grandi balene vanno a fondo o muoiono al largo, in ogni caso lontano dai nostri occhi.

In uno studio condotto sulle coste orientali del Nord America su 323 individui di otto specie di grandi cetacei, la causa di morte più comune è risultata proprio l'intrappolamento nelle reti. In un lavoro pubblicato nel 2012 su documenti fotografici raccolti in Nord Atlantico dal 1980 al 2009 sulle balene franche, si è visto come l'incontro con le reti è praticamente una certezza nella vita di ogni balena. Su 626 individui ben 519 erano stati almeno una volta rimasti impigliati in una rete, ne portavano i segni, e di questi addirittura 306, due o più volte. L'incidenza del fenomeno colpisce più i giovani degli adulti.

Come si vede, per quello che riguarda il discorso della conservazione, i numeri sono più che preoccupanti.
E per quanto riguarda il benessere animale la situazione non è più allegra. Una balena impigliata in una rete e che se ne va trascinandosi dietro la rete stessa o parte di questa, può metterci fino a sei mesi a morire. Una balena cacciata o colpita da una nave muore in tempi molto più rapidi. Gli animali con pezzi di rete addosso possono provocarsi ferite profonde, ampie incisioni che non si chiudono mai ma anzi che con il tempo peggiorano, con le lenze e cordame che continuano a scavare pelle, grasso e muscoli. Inoltre, la balena consuma molta più energia dovendosi trascinare dietro questo peso ulteriore, e per di più con ferite e lesioni debilitanti; vedrà diminuire la sua forza e la sua energia lentamente, con il passare dei giorni, fino alla morte certa ma decisamente lenta.

Il merito di questo articolo, di questo "cibo per la mente", di Moore, è quello di farci aprire gli occhi su questioni che hanno impatti devastanti uguali se non peggiori a quelli causati dalla baleneria, ma che quasi mai saltano agli onori della cronaca, nè vengono messi in discussione da nazioni che non praticano questi tipi di pesca, e che non giudicano come invece facciamo noi rispetto alle nazioni baleniere.
Moore conclude che ogni tipo di caccia alle balene, e non solo la baleneria vera e propria, deve essere attentamente valutata e tenuta sotto controllo. È praticamente impossibile dargli torto.


ResearchBlogging.orgMichael J. Moore (2014). Food for Thought. How we all kill whales ICES Journal of Marine Science DOI: 10.1093/icesjms/fsu008

sabato 8 febbraio 2014

Delfinari: e se fosse l'inizio della fine?

Un mio articolo pubblicato su Mareeonline.com

Delfinari nella bufera: qualcosa sta cambiando?
Il SeaWorld è un colosso da oltre 1,4 miliardi di dollari all'anno, incassati grazie ai suoi "parchi di divertimento", una dozzina, in alcuni dei quali delfini e orche si esibiscono da ormai 50 anni. Ma nel 2013 il gigante ha vacillato paurosamente e continua a tremare. Tutto per colpa ... Leggi il resto...

martedì 28 gennaio 2014

Dagli allo squalo!

Il Governo dell'Australia occidentale si è reso protagonista di una scelta a dir poco scellerata. Ha stanziato la bellezza di 6,85 milioni di dollari, per eliminare o ridurre il pericolo degli attacchi di squali sulle coste del paese. Di questi, ben 2 milioni vanno al Dipartimento della Pesca, per cercare e uccidere squali. La caccia è aperta.
Verranno poste delle lenze, e tutti gli squali da 3 metri in su catturati saranno uccisi. Il primo a farne le spese, già domenica scorsa, probabilmente uno squalo tigre. 
Il piano ha suscitato proteste accesissime da parte degli ambientalisti (vedi foto).

La decisione segue i due attacchi da squali verificatisi in quelle acque lo scorso novembre, entrambi fatali. Nel primo, il 23 novembre è morto Chris Boyd, un surfista di 35 anni; nel secondo, il 29 novembre, la vittima è Zac Young, un ragazzo di 19 anni.
Dal 2000 ad oggi, sono 11 le persone uccise da attacchi, nelle acque della Western Australia.

Ora, si parla della morte di persone, e dunque nessuno vuole sminuire l'importanza delle tragedie accadute. Però le perplessità sulla decisione del governo a me restano. Enormi.

Prima cosa, i numeri. Quasi sette milioni di dollari per qualcosa che ha ucciso 11 persone in 14 anni. Tanto per capirci, circa 300 persone all'anno, in Australia, muoiono annegate. Mentre 10, sempre all'anno, sono quelle che muoiono per shock anafilattico a seguito di punture di vespa. Altri 10 sono i morti a causa di fulmini. Lasciamo stare altre cause di morte: incidenti, fumo, obesità (25.000 solo quest'ultima, per dire).
Ora queste 11 morti (in 14 anni) giustificano un investimento del genere, e la caccia al killer che si voluta scatenare?

Secondo punto, il metodo. Io non riesco davvero a capire come andare a caccia di squali per ucciderli possa risolvere il problema. La soluzione è, come minimo, temporanea, a meno che non li stermini tutti, ma la vedo dura. Poi, secondo me, inefficace. Quanti squali ci sono al largo dell'Australia dell'ovest? Mah... E dunque? Quanti devi ucciderne per avere dei veri effetti sul problema?

Terzo, il messaggio. Un animale che vive nel suo ambiente, suo, non nostro, crea un problema agli esseri umani? Sterminiamolo. Bello. Davvero. Educativo, soprattutto.

Non so quali misure, veramente efficaci però, si sarebbero potute prendere con 7 milioni di dollari, ma mi pare si sia scelta la strada meno valida, ma più di effetto.

Io credo che il premier australiano, Barnett, abbia voluto dare un segnale forte, una specie di rappresentazione a beneficio del pubblico. Infatti afferma "Non ho alcun piacere nel vedere squali uccisi ma ho la responsabilità imperativa di proteggere il popolo del Western Australia. Quando hai squali che sono tre, quattro, cinque metri di lunghezza, di specie notoriamente aggressive, che nuotano in acqua molto vicino ai bagnanti, c'è un pericolo imminente."
Vero. Ma io credo che lui sappia che non otterrà niente in questo modo, se non il poter dire "ho fatto quel che potevo", ma intanto colpisce creature che hanno l'unica colpa di vivere... nel loro ambiente naturale. Credo potesse impiegare molto meglio i soldi dei suoi connazionali.

giovedì 23 gennaio 2014

Disastro a orologeria?

L'eurodeputato Andrea Zanoni riporta la notizia che le prospezioni geologiche condotte in Adriatico negli ultimi mesi stanno giungendo al termine. Ne avevo parlato qui. Nella mappa qui di fianco vedete la "griglia" dei passaggi della nave Northern Explorer.
Qui la pagina dedicata a questo survey dalla compagnia Spectrum che l'ha condotto.

Bene. La notizia, pessima, è che il petrolio c'è. E non è poco.
Riprendo quelle che scrive Zanoni: "Nonostante i dati precisi non siano ancora stati diffusi, sembra che le scorte petrolifere sottomarine ammontino a 2,87 miliardi di barili. Secondo informazioni riportate dal Vecernji list di Zagabria, ci sarebbe la possibilità di attivare circa venti centri estrattivi su piattaforma.
La scoperta dei giacimenti ha già mobilitato le principali compagnie petrolifere mondiali alla corsa all’oro nero e al gas. La procedura per le concessioni petrolifere dovrebbe iniziare già nel primo semestre di quest’anno, mentre il Governo croato starebbe già valutando l’offerta economicamente più vantaggiosa.
L’operazione, secondo le fonti del Vecernji list, porterebbe nelle casse della Croazia fino a 1 miliardo e 300 milioni di euro in quattro anni."

Qui la notizia data dall'ANSA di ieri.

Ne parlavo proprio domenica, alla conferenza al Museo di Cattolica. L'Adriatico è piccolo, stretto fra le terre e con un volume di acqua risibile. Provate a immaginare cosa succederebbe se ci fosse un incidente con una piattaforma, o con una petroliera, in budello lungo e stretto, e piccolo, come il nostro mare.
Sarebbe la fine. Una distruzione totale.

Spero che le notizie che ieri hanno iniziato a circolare siano un'esagerazione e che la situazione sia meno appetibile per le compagnie, anche se la stessa Spectrum dice che "l'Adriatico orientale è senza dubbio molto attraente per le corporazioni internazionali dato che il mare non è molto profondo, fatto che riduce notevolmente il costo delle piattaforme per l'estrazione, in paragone ad altre parti del mondo, come in Africa o in Brasile."

Incrociamo le dita.

venerdì 17 gennaio 2014

A Cattolica "Il mare delle sorprese"

Domenica alle 17 sarò a Cattolica, al Museo della Regina, con la mia conferenza "Il mare che non ti aspetti", per l'occasione ribattezzata "Il Mare delle sorprese".

Ecco quello che scrive il Museo:
Domenica 19 gennaio prosegue la seconda serie di conferenze riunite sotto il titolo generale Il Museo studia; all'interno del breve ciclo Il mare che non ti aspetti, si colloca la conferenza di Marco Affronte, naturalista e divulgatore, il cui protagonista sarà il mare Adriatico, la sua originalità, la sua vita e biodiversità.
Il nostro è infatti un mare particolare. Stretto fra coste densamente popolate, poco profondo, gli viene attribuita essenzialmente una "vocazione" turistica, economica (è uno dei mari più pescati al mondo), commerciale, come via di ingresso per le merci che arrivano dal Mediterraneo. 
Ma l'Adriatico è una culla di biodiversità, un bacino ricco di vita che dà rifugio anche a specie simbolo della conservazione: delfini, squali, tartarughe marine. Una ricchezza che richiede protezione e tutela, e che è decisamente poco conosciuta.
Il racconto di Marco Affronte si snoderà principalmente attraverso delle storie: storie fuori dal comune, aneddoti, testimonianze di prima mano, situazioni vissute in prima persona da un naturalista che si occupa di Adriatico da oltre 15 anni. Seguiremo, attraverso le immagini e i racconti, le cronache di eventi eccezionali: la prima megattera mai avvistata in Adriatico, l’invasione degli enormi squali elefante nelle acque romagnole del 2001, delfini che lottano per la vita fra le mani dei loro soccorritori, il capodoglio spiaggiato a Rimini nel gennaio 2005, le decine di tartarughe marine ricoverate presso un Ospedale a loro dedicato e poi rilasciate in mare, giganteschi pesci luna che vengono a morire sulla spiaggia, i due delfini, madre e figlia, trovati nel porto di Ancona a giugno 2005, la storia di Andrea, il delfino che cercava la compagnia degli esseri umani.
Storie e racconti di un mare che sorprende, testimonianze di un Adriatico diverso e poco conosciuto, accompagnati da riflessioni su quanto dovremmo e potremmo fare per proteggere una ricchezza che appartiene a tutti noi.


mercoledì 15 gennaio 2014

Il trucchetto del SeaWorld

Come credo sappiate, l'uscita del film Blackfish sta creando grossi problemi al SeaWorld. Molti musicisti che avevano in programma concerti in uno dei parchi della catena hanno annullato le loro performance (siamo già a una decina), proprio a seguito di quanto mostrato dal film. I visitatori sono calati, magari non tantissimo, e i commenti sui siti e sulle pagine Facebook della grande catena americana di parchi non sono molto lusinghieri, a dir poco.

Come se non bastasse, il SeaWorld nella sua rincorsa contro il film che gli sta facendo perdere tanti consensi, non pare indovinarne una. Fino al ridicolo.
Ecco cosa è successo pochi giorni fa. L'Orlando Business Journal ha postato sul suo sito un sondaggio, che diceva così: "l'uscita del documentario Blackfish ha cambiato la tua percezione del SeaWorld?".
Il sondaggio non ha avuto un grande successo, e hanno votato solo 328 persone. Ed è però risultato che il 99% di queste avevano risposto "No". 
La percentuale davvero esagerata era molto sospetta, così il Journal ha effettuato un'indagine e ha scoperto che più della metà dei voti (il 54%) venivano da un unico indirizzo internet. Indovinate di chi? Ma del SeaWorld, ovviamente. Beccati!

mercoledì 8 gennaio 2014

Squali a Milano

Domani, alle 19, sarò a Milano con una conferenza sugli squali, organizzata da Sea Shepherd Conservation Society.
L'incontro si tiene alla Sala degli Affreschi di Palazzo Isimbardi, in corso Monforte.
Dividerò la serata con Massimo Boyer, biologo marino, fotografo subacqueo e recente autore del libro "Scilla. Storia di uno squalo bianco" (che ho appena finito di leggere).
Io presenterò una versione ridotta della mia conferenza "Il bello degli squali" che ho già portato anche, ma non solo, al Festival della Scienza di Genova, lo scorso ottobre.

L'ingresso è gratuito.
Se siete in zona, non mancate. Per info: contatto[at]seashepherd.it


martedì 7 gennaio 2014

Macellai in nome della scienza

Come forse saprete, cacciare le balene è vietato. Ma, come potete leggere su Wikipedia, "questo "trattato di pace" a livello mondiale ha lasciato troppe scappatoie per poter essere veramente efficace. Da allora sono state uccise 57.391 balene, tra cui balenottere minori, balenottere comuni, balenottere boreali, balenottere di Bryde, megattere, balene grigie, capodogli e balene della Groenlandia. Perfino dal 1986, anno di entrata in vigore del divieto della caccia alla balena, Giappone, Norvegia, Islanda, Russia, Corea e balenieri locali di diversi altri Paesi hanno continuato la loro attività, uccidendo complessivamente circa 21.760 balene."

Il Giappone è senz'altro il paese che con più convinzione e caparbietà, continua la sua spietata caccia, comprandosi, con mezzi vari, la sua quota di balene da pescare, ogni anno al meeting della International Whaling Commission. 
Se avete mai letto qualcosa su questo, e immagino di sì, sapete che il Giappone dichiara da sempre che la sua caccia alla balene viene effettuata per scopi scientifici. Proprio così.

Ora, poche ore fa, gli attivisti della Sea Shepherd Conservation Society hanno beccato e fotografato una nave baleniera giapponese che cacciava, con successo, proprio nel Santuario delle Balene, in Antartico. 
Qui ci sono le foto dell'intensa attività... scientifica dei giapponesi.
Se sfogliate le immagini, vedrete che in alcune di esse, sulla nave baleniera, campeggia la scritta www.icrwhale.org.
Se andate a visitare quel sito, vi trovate sulle pagine dell'Institute of Cetacean Research. Un istituto di ricerca, dunque, proprio come hanno sempre sostenuto i giapponesi. Cliccate ovviamente sulle pagine in inglese (a meno che non conosciate il giapponese) e girate un po' il sito. Mentre lo fate, ricordatevi che sono gli stessi delle foto drammatiche che avete appena visto qua.

Vedrete che parlano davvero di ricerca, di preoccupazione per lo stato delle balene, del Santuario delle Balene (in cui loro stessi cacciavano). E lo fanno come ricercatori indipendenti e noprofit! Davvero, fatevi un giro in quel sito e capirete tanto, di cosa si parla quando si parla di baleneria "moderna".
Ma la maschera cade ad esempio se cliccate su "About", e poi ancora su "Whale research byproducts", che significa più o meno "prodotti di scarto ottenuti dalla ricerca sui cetacei". Lì, si legge: "Dopo il prelievo di campioni biologici, le carcasse delle balene catturate vengono smaltite in base alla Convenzione internazionale sulla regolamentazione della caccia alle balene (articolo VIII paragrafo 2), che richiede che i sottoprodotti siano elaborati ed utilizzati per quanto possibile. Così, i sottoprodotti di entrambi i programmi di ricerca sulle balene vengono elaborati e venduti in Giappone sotto la guida del governo giapponese e il ricavato della vendita è utilizzato per coprire una parte dei costi di ricerca."
Bello no? Io faccio ricerca, e per farla devo cacciare e uccidere delle balene (per studiarle meglio, bambina mia...). E poi, non vorrai mica che butti via quelle enormi carcasse? No, no; le vendo sotto la guida del governo giapponese.
E vanno avanti con questa favoletta da quasi trent'anni. 'Sti giapponesi...