sabato 31 marzo 2012

Il mare ha bisogno di riserve

Più o meno per coincidenza, negli ultimi giorni, mi sono trovato spesso a parlare di aree marine protette. Ad esempio, la settimana scorsa sono stato ad assistere a una riunione della IV commissione del Comune di Rimini, dove si parlava di pesca, e qualcuno ha tirato fuori il discorso (sentito persino troppe volte, senza risultati) di istituire una o più aree protette, viste le condizioni della pesca e del mare. C'è poi un mio amico, appassionato sub, che spesso mi parla di un progetto di affondare relitti o altro in Adriatico, per farci un parco, protetto e redditizio, sfruttando il turismo dei divers. Mentre un altro amico porta avanti un progetto di un "Parco dei relitti", dalle parti del monte Conero.

Coincidenze, ma mica poi tanto. Chi si trova spesso a parlare di mare, e chi lo fa dalla parte della tutela e della conservazione, ben presto arriverà anche alle aree marine protette, come soluzione, o almeno come una delle soluzioni ad una mare sofferente, sovrasfruttato e impoverito.
Così mi è anche tornato in mente un articolo, che ormai ha una decina d'anni, in cui B. S. Halpern, dell'Università della California, si domandava quale fosse l'impatto delle riserve marine: in pratica, funzionano o no?
Lo faceva studiando i dati di ben 89 aree marine protette, di dimensioni davvero molto varie: da una di 0,002 chilometri quadrati, alla più grande di 846 chilometri quadrati. Nello studio venivano presi in considerazione 4 fattori, confrontandoli fra quello che avveniva dentro alla riserva e fuori da essa: densità, biomassa (cioè la massa totale di tutti gli organismi viventi di una particolare area), taglia degli organismi e loro diversità.
I risultati non lasciano spazio a molti dubbi: all'interno di un'area marina protetta la biomassa degli individui è circa il triplo di quella riscontrabile all'esterno, mentre la densità è più o meno il doppio. Sia la diversità degli organismi che la loro taglia è circa il 20-30% più alta nelle riserve.

Che le riserve marine "funzionino", ormai lo sappiamo. Negli anni è diventato evidente anche il cosiddetto spillover effect, cioè il fenomeno, facilmente comprensibile, per cui le aree protette si "riempiono" di organismi che poi ovviamente fuoriescono e vanno a rimpinguare anche le zone limitrofe, che quindi subiscono i positivi effetti della riserva, senza esserlo loro stesse.
Ad esempio, come scrive Lester Brown nel suo Plan B 3.0 "Un caso di studio relativo a una zona di pesca dello snapper (pesce oceanico simile all’orata), al largo della costa del New England, ha evidenziato che i pescatori, nonostante si fossero violentemente opposti all’istituzione della riserva, ora si battono a favore avendo constatato che la popolazione locale di snapper è aumentata di 40 volte."

Insomma di riserve marine protette ci sarebbe un gran bisogno, anche tenendo conto che, a fine 2010, nel mondo ce n'erano circa 6800, e coprivano solo l'1,17% della superficie degli oceani (sigh).
Se volete approfondire, qua trovate molte notizie, mentre invece se volete "navigare" in tutte le aree protette del mondo, non perdetevi questo sito.

venerdì 23 marzo 2012

Fratellone blu

Siete lì? Ci siete ancora? Siete ammirevoli, visto che il blog è davvero poco aggiornato, ultimamente. E' che da due mesi la mattina faccio un nuovo lavoro, e non ha a che fare con il mare. I pomeriggi di gennaio e febbraio li ho passati a leggere e scrivere di mare, invece. Ma adesso per qualche settimana al pomeriggio, insegno in una scuola, e dunque, attualmente sono poco naturalista e più altre cose.
Va così.
E' normale che avendo lasciato Fondazione Cetacea mi sarei un po' allontanato dal mio fratellone blu. Ma non lo lascio. Intanto il mio nuovo libro, un passettino alla volta, va avanti e per quanto ne so la data di uscita, settembre, per ora non è slittata.
Poi ho altre cosine in pentola. Sto preparando due conferenze, tutt'e due sull'Adriatico, una sarà in aprile e l'altra in giugno. Saranno entrambe nelle Marche, appena avrò maggiori conferme sarete i primi a saperlo. Una di queste ha a che vedere con una collaborazione appena iniziata con un neonato Centro di Educazione Ambientale, La Marina Ecoidee; collaborazione che trovo molto stimolante e che promette belle cose.
Sono anche stato invitato a fare parte del comitato scientifico della Biennale Habitat 2012"Adriatico Patrimonio dell’Umanità", anche se il mio contributo, per ora, è davvero limitato.
Altri progetti e idee stanno solo adesso prendendo una prima forma, dunque è presto anche solo per accennarne.

mercoledì 14 marzo 2012

Carburanti dalle alghe?

Un mio articolo pubblicato su sottobosco.info:


Biocombustibili dalle alghe?
La ricerca di combustibili, alternativi al petrolio e affini, è continua. La produzione di bio-combustibili, trasformati in bioetanolo, almeno agli inizi, sembrava la soluzione perfetta. Sono una fonte rinnovabile, e la loro produzione libera in atmosfera molta meno CO2, rispetto ai combustibili tradizionali (da una tonnellata di biocombustibile ... Leggi il resto...

lunedì 12 marzo 2012

Recinti in mare

Negli ultimi venti-trenta anni, l'impoverimento delle risorse ittiche, dovuto a un eccesso di pesca, un po' in tutto il mondo ha portato alla crescita sempre più diffusa degli allevamenti ittici. L'industria del pesce allevato nasce da basi positive - se il pesce lo allevo non lo pesco - ma molte sono invece le conseguenze negative sull'ambiente marino. La più paradossale è che, molto spesso, per nutrire i pesci negli allevamenti vengono pescate grandi quantità di pesci di piccola taglia. E siamo daccapo. Ci sono poi anche problematiche legate all'inquinamento e all'eutrofizzazione che questi recinti in mare portano con sè (vedi anche qua).
In Mediterraneo, sono 16 le nazioni costiere che praticano l'allevamento in mare. Utilizzando uno strumento che sta diventando un'arma molto preziosa nelle mani di ricercatori di vari discipline, e cioè Google Earth, tre studiosi hanno recentemente analizzato gli allevamenti ittici nelle acque del Mediterraneo, in particolar modo per vedere se i dati di produzione di questi allevamenti corrispondessero con quelli forniti ogni anno alla FAO (United Nations Food and Agriculture Organization).

Grazie a Google Earth i tre ricercatori sono stati in grado si "sbirciare" lungo il 91% delle coste mediterranee, contando ad esempio 248 gabbie per tonni (cioè recinti circolari di oltre 40 metri di diametro), e 20.976 gabbie di altri tipi. Veramente tante. Praticamente la metà di queste, pari al 49%, si trovano al largo della Grecia, mentre la seconda nazione per importanza è la Turchia, con un altro buon 31%. Seguono la Francia e poi l'Italia, che è quarta con il 4,3% (912 recinti).

In definitiva, il risultato è che le stime che il lavoro riporta, calcolate proprio studiando le mappe di Google Earth, sono praticamente conformi ai dati ufficiali della FAO. Una conferma quindi, anche se forse i ricercatori si aspettavano di scoprire qualche magagna. In ogni caso è anche una dimostrazione che lo strumento, innovativo e tutto sommato comodo, funziona. Qui sotto la mappa delle "aggregazioni" di recinti.

L'orso polare, animale simbolo

Un mio articolo pubblicato su scienze-naturali.it:


L’orso polare lotta per sopravvivere
E’ diventato uno dei simboli della lotta contro i cambiamenti climatici e il riscaldamento globale. Avete presente la foto di un orso polare sopra una piccola “zattera” di ghiaccio, dando l’idea che il ghiaccio si stia sciogliendo? Molte persone sanno cos’è un orso polare, ma pochissime conoscono ... Leggi il resto...

venerdì 2 marzo 2012

La pesca e le conseguenze

Due miei articoli pubblicati ieri, entrambe sulle trophic cascades. Cosa sono? Basta leggere...


Quando la pesca uccide la barriera corallina
Non è possibile intervenire in un sistema naturale, prelevando o modificando un suo componente, senza avere effetti anche sul resto del sistema. In una catena alimentare marina, pescare con assiduità una specie che ne fa parte, porta ad inevitabili, ma spesso difficilmente “leggibili”, conseguenze. Questi effetti che da un livello della catena trofica hanno ripercussioni su altri livelli, si chiamano “trophic cascades”. ... Leggi il resto...


Trophic cascades
Le catene trofiche sono sistemi complessi. Lo sono da studiare e persino da spiegare. Esse rappresentano una estrema semplificazione dei rapporti che intercorrono fra diverse specie, in un dato habitat. Tanto per capirci, stiamo parlando di predatori e prede, ma anche di consumatori primari, consumatori secondari, produttori, eccetera. Un esempio che si potrebbe usare per spiegare una catena trofica marina ... Leggi il resto...

giovedì 1 marzo 2012

Morte al SeaWorld

A luglio 2012 è prevista l'uscita di un libro sicuramente interessante, intrigante, forse controverso. Si intitola, molto esplicitamente "Death at the SeaWorld" (Morte al SeaWorld). E' un libro sulle orche tenute in cattività. Il titolo, ad effetto, fa riferimento al fatto che quattro addestratori, nel tempo, sono stati uccisi da orche tenute in delfinario e in particolare all'ultima di questi, Dawn Brancheau, morta al SeaWorld nel 2010. 
Come tutti i libri, è fatto per essere venduto, e non c'è dubbio che il titolo abbia questo scopo (e presto sapremo se lo raggiunge anche). Il libro, da quel poco che si legge qua e là, racconta l'effettiva fattibilità di tenere animali come le orche - che per dimensioni, carattere, comportamenti e socialità, dovrebbero essere pessimi candidati per la cattività - chiusi in una vasca. E quanto questo possa essere, a quanto pare, pericoloso per l'uomo. 

L'autore, David Kirby, è un giornalista affermato e ha scritto libri per esempio sull'industria degli allevamenti di animali (ad esempio Animal Factory).

La prossima uscita del libro sta causando malumori e proteste, e persino boicottaggi. Kirby viene accusato di volere speculare sulla morte della Brancheau. La battaglia si è fatta subito molto aspra. Sostenitori del SeaWorld hanno messo on line questo video, che invita a boicottare il libro di Kirby, e di certo non ci vanno leggeri. Addirittura è partita una petizione con lo stesso scopo.

Kirby, che immagino se la rida per tutta questa pubblicità gratis, in un'intervista si dice stupito di tutto questo clamore e anche di questa animosità verso di lui, visto che nessuno per ora ha mai letto il libro. Dice anche che i suoi detrattori rimarranno stupiti di quanto poco il libro parli invece della morte della Brancheau che appare, dice, in un capitolo su un totale di 36.
Il libro è invece su tutta la questione delle orche in cattività: "Ho passato un anno e mezzo a investigare su questo, e dico che la vita per le orche in cattività, non è la stessa vita delle orche in oceano e invece questo è proprio quello SeaWorld afferma, in sostanza. Seaworld dice che vivono e muoiono in vasca nello stesso modo in cui lo fanno in natura, ma non è così. E non è un mio parere è un dato di fatto: il tasso di mortalità è due volte e mezzo maggiore per le orche in cattività; sono dati pubblicati" dice Kirby.

Non so voi, ma io il libro lo compro.