mercoledì 26 maggio 2010

Globicefali in Adriatico!

E’ il secondo avvistamento mai registrato nell’Adriatico settentrionale

Domenica scorsa, il 23 maggio, il sig. Fabio Innocenti, appassionato di mare e di pesca, è uscito con la sua barca per una delle prime escursioni della stagione. Si è diretto verso sud, al largo dunque di Misano Adriatico e Cattolica.
Quando si è trovato a circa 4 miglia dalla costa ha notato qualcosa di strano, un po’ distante da lui. “Sembrava un’onda strana, o forse un tronco galleggiante ma si dirigeva veloce verso di me e non c’era vento”.
Infatti ben presto si è visto avvicinato da tre delfini, ma molto strani, non ne aveva mai visti di simili. “Dopo 5 minuti ero attorniato da tre grossi mammiferi di un colore strano, sicuramente grigio-scuro, un colore uniforme senza chiazze chiare. Poco belli da vedere.” Così li descrive.
Scatta appena in tempo alcune foto, poi i tre animali prendono il largo.
Il giorno dopo invia le foto ad alcuni quotidiani locali. Uno di questi contatta Fondazione Cetacea, ed ecco la sorpresa. Quelli nelle foto sono sì delfini, ma di una specie molto particolare e normalmente non presente in Adriatico: i globicefali.
I globicefali (Globicephala melas) sono una specie di delfini che è abbastanza comune in Mediterraneo occidentale, ma praticamente assente nel bacino orientale e appunto nell'Adriatico.
L'unica altra segnalazione di globicefali nel nostro mare risale al 1920 circa (erano due esemplari catturati nella tonnara dell'isola di Rab, in Croazia).
Ieri sera sono stato a lungo al telefono con il sig. Innocenti, che ha descritto nei minimi particolari l’avvistamento. Ovviamente non si era reso conto di essere stato protagonista di un avvistamento eccezionale, anche se ripeteva che “delfini così non ne avevo mai visti prima”.
La notizia verrà ora divulgata da Cetacea alla comunità scientifica, e inoltre si cercherà di allertare chi va per mare, in modo da ottenere eventualmente ulteriori segnalazioni. Non c’è dubbio che i tre esemplari, che apparentemente sono in buona salute, siano comunque fuori dalle loro rotte e aree abituali, e dunque ci si augura possano presto ritornare ad acque più consuete. Inutile ogni ipotesi sul perchè siano qua.

Il globicefalo prende il suo nome dalla forma della testa molto pronunciata e tondeggiante, presenta una livrea uniforme senza macchie (tranne che sul ventre quindi normalmente non visibili) e di colore nero o marrone. Ha corpo molto allungato, e raggiunge anche i 6 metri di lunghezza per 2 tonnellate di peso.
In inglese viene chiamato Pilot whale, cioè delfino pilota, perchè in genere forma gruppi che sembrano seguire un esemplare che li guida, il “pilota” appunto. E’ protagonista, in varie parti del mondo, di spiaggiamenti di massa molto numerosi (una volta in Norvegia, anche 1000 esemplari in una volta), e si dice che la causa sia proprio dovuta all’abitudine di seguire l’esemplare “pilota”, se questo si ammala e perde l’orientamento, si spiaggia e gli altri lo seguono… In realtà altre ipotesi sono forse più probabili.
Vive in genere in gruppi di alcune decine si esemplari, e in Mediterraneo è comune nel mare di Alboran, alle Baleari e nella porzione occidentale del Mar Ligure. Meno frequente in Tirreno, diventa rarissimo in tutto il bacino orientale.

Fondazione Cetacea rimane in allerta per ulteriori eventuali segnalazioni, e ringrazia nuovamente il sig. Fabio Innocenti, non solo per non essersi tenuto la notizia per sè, ma anche per la bella abitudine di viaggiare in mare costantemente accompagnato dalla sua fedele macchina fotografica.

Qui le tre foto:
http://www.flickr.com/photos/cetaceaonlus/sets/72157624139208808

martedì 18 maggio 2010

A Riccione, a scuola di tartarughe

Gli operatori dei centri di recupero tartarughe marine delle Marche a scuola da Fondazione Cetacea

Durante l'anno appena trascorso, il Ministero dell'Ambiente ha completato alcune azioni che riguardano le tartarughe marine. Ha prodotto la prima versione del “Piano di azione Nazionale”, ha pubblicato le definitive Linee Guide per i Centri di Recupero Tartarughe Marine italiani. Infine, per regolare tutta le questione territoriale, ha dato incarico a ogni regione costiera di mettere a punto e coordinare una Rete regionale, che faccia riferimento a un Centro di Recupero principale.
La Regione Marche, nei mesi scorsi, approntando questa rete si è subito rivolta a Fondazione Cetacea, che pur essendo in territorio romagnolo, da sempre si occupa di questi Rettili, anche sulle coste marchigiane.
In base alla convenzione siglata il 10 maggio scorso, l'Ospedale delle Tartarughe di Fondazione Cetacea è il punto di riferimento per tutta la costa marchigiana, per ogni questione riguardante le tartarughe marine. Un riconoscimento dovuto e inevitabile al lavoro ventennale di Cetacea.
Sul territorio marchigiano sono stati individuati tre punti di Prima accoglienza:
- a nord, il Parco Naturale del Monte San Bartolo
- al centro, il Parco del Conero in collaborazione con il Comune di Numana
- a sud, la Riserva Naturale della Sentina, in collaborazione con l'Università di Camerino

Questi centri si occuperanno di recuperare le tartarughe spiaggiate, vive o morte, sul tratto di costa di loro competenza. Per gli animali già morti, raccoglieranno informazioni e dati, che confluiranno nel database di Fondazione Cetacea, e da qui a quello Ministeriale.
Nel caso di animali vivi, potranno ricoverarli nelle strutture che sono state predisposte, fino a un periodo massimo di 48 ore, in attesa del trasporto e della definitiva ospedalizzazione presso Cetacea.

Gli operatori, volontari e no, di questi tre centri, e anche il personale dell'Università di Camerino, dovranno seguire una specifica formazione. E giovedì 20 maggio, infatti, verranno ospitati e istruiti da Fondazione Cetacea, in un corso intensivo su queste tematiche:
- biologia generale delle tartarughe marine
- tartarughe marine in Adriatico (ecologia, conservazione)
- procedura di intervento su tartaruga viva e su tartaruga morta (rilievi dati, manipolazione, trasporto, rapporti con le istituzioni, rapporti coi media, etc.)
- gestione degli animali in vasca

Dopo una prima parte di lezioni teoriche, nel pomeriggio gli “studenti” si sposteranno direttamente fra le vasche del centro riccionese, a “toccare con mano” la gestione, la manipolazione e le procedure pratiche sulle tartarughe in difficoltà.

Nel frattempo, causa temperature ancora troppo basse, non sono ancora iniziati i rilasci in mare delle tartarughe guarite, e l'Ospedale è al completo con ben 25 ricoveri.
Ben presto verrà annunciata l'apertura ufficiale della stagione del Centro Adria, prevista il 12 giugno, in occasione del rilascio in mare della storica Sole, la tartaruga ricoverata da quasi 4 anni e ora finalmente pronta a tornare a casa.

In attesa di schiarite sul fronte economico, dove la situazione di Cetacea resta comunque davvero difficile.

mercoledì 12 maggio 2010

L'Adriatico in tv

Qui sotto il video della trasmissione "Impatto Ambientale", che dedica una puntata (circa 30 minuti) all'Adriatico. Nella prima parte lunghe interviste a Roberto Venturini e al sottoscritto, e si parla di Po ma soprattutto di Adriatico in generale. Le risorse, le caratteristiche, i problemi del nostro piccolo grande mare.

lunedì 10 maggio 2010

I Capodogli del Gargano e la questione degli spiaggiamenti di animali vivi

Mazzariol (Università di Padova) parla dei capodogli del Gargano. Mentre è nato il gruppo di lavoro sui Cetacei spiaggiati vivi

Vi segnalo molto volentieri questa intervista, in cui l'ottimo Mauro Colla scambia alcune battute con Sandro Mazzariol dell'Università di Padova. L'argomento sono i risultati delle necropsie e delle ricerche che sono seguite, sui sette capodogli spiaggiati lo scorso dicembre, in Puglia.
Finalmente un po' di chiarezza e anche qualche notizia fresca su quell'evento che ha calamitato l'attenzione di tutti. Sandro smentisce l'ipotesi che i capodogli siano morti a causa della plastica ingerita, come anche in questo blog avevo detto: era una notizia purtroppo frettolosa e sensazionalistica, ma con pochi fondamenti.

Da sottolineare l'ultima frase di Mazzariol "Lavoriamo ancora a bassissimo budget ma la politica si è accorta di un problema che prima ignorava. Per la comunità scientifica conta moltissimo e ne sono contento. Prima nessuno sapeva come gestire questi casi mentre ora stiamo lavorando tutti insieme alla preparazione di protocolli d’intervento coinvolgendo veterinari, biologi e anche esperti di bioetica. Le questioni aperte sono tante. Una su tutte: se (e in che modo) far ricorso all’eutanasia, per evitare agli animali inutili sofferenze."
In effetti a dicembre scorso, si è formato, su iniziativa del Ministero dell'Ambiente, un gruppo di lavoro che ha il compito di redigere le linee guida per gli interventi sui Cetacei spiaggiati vivi. Il gruppo è composto da una decina di persone, ne faccio parte anche io, e conta di un biologo, un naturalista (io), una esperta di bioetica e diversi veterinari.

Gli incontri e i lavori sono molto stimolanti e spesso anche dibattuti. Sulle parti tecniche bene o male si procede di concerto, su quelle invece etiche, si discute moltissimo, anche in maniera animata, e su alcuni punti in effetti non c'è per ora una visione concorde.
Chi mi segue da un po' sa che questi punti sono per me il nocciolo del problema. Le questioni etiche sono fondamentali e devono fare da premessa a tutto il resto. Perchè si interviene, quando intervenire, se e in quali casi è meglio la "dolce morte" (significato di eutanasia) piuttosto che un intervento di recupero. Ho spinto moltissimo perchè questi temi fossero sviscerati al tavolo di lavoro e sono contento perchè lo stiamo facendo, anche se su questioni molto spinose, pochissimi sono d'accordo con me. Ma discuterne è essenziale e la presenza dell'esperta in bioetica ci aiuta molto ed è di sprone, almeno per me, a non mollare la presa su temi che toccano argomenti così difficili, ma non evitabili.

lunedì 3 maggio 2010

Chi danneggia chi

Delfini e pescatori sono in competizione? Sì, ma ci rimettono i delfini.

E’ di circa un mese fa la notizia di un delfino ucciso in Sardegna da otto colpi di arma da fuoco. Non è la prima volta che si apprendono notizie del genere. Magari non sarà neanche l’ultima. Purtroppo è noto che c’è anche chi si diverte a sparare in mare a delfini o tartarughe, anche se probabilmente non è questo il caso.
L’animale di cui si parla infatti, sembra invece essere stato ucciso da qualcuno a bordo di un peschereccio. Era un tursiope adulto di circa 250 kg. Si suppone che a sparare sia stato qualche pescatore in quanto i colpi sono stati esplosi da distanza ravvicinata, dunque forse per evitare che il delfino mangiasse dalle reti.
Per molti pescatori i delfini sono una peste, dal momento che possono appunto rubare pesce dalle reti e anche rompere con i denti le reti stesse. A questo livello, non c’è dubbio che questo sia possibile, anche se forse (forse!?) sparare direttamente al delfino sembra davvero una crudele esagerazione.
Passando però dal particolare al generale, diffusa è l’accusa che i delfini “impoveriscano” le risorse ittiche, a scapito della pesca. Insomma, delfini come competitori dell’uomo nell’accesso alle risorse del mare. Tutto sommato, mangiamo le stesse prede, più o meno. Ma sarà così? Pare proprio di no.
Una ricerca molto recente condotta da ricercatori italiani in Grecia, sembra infatti dimostrare il contrario. Nell’area di studio vivono 15 delfini comuni (Delphinus delphis) e 42 tursiopi (Tursiops truncatus); nella stessa area pescano 307 imbarcazioni. Calcolando, nell’arco di un anno, quanta biomassa (in pratica la quantità di materiale biologico) delfini e barche riescono a prelevare, il risultato è palesemente sbilanciato: poco più di 100 tonnellate i delfini, poco meno di 3500 tonnellate i pescherecci (2,9% contro il 97,1%).
Ma il tipo di biomassa sottratta è la stessa? Più o meno sì, dipende molto dal tipo di rete ma anche dalla specie di delfino. I delfini comuni “pescano” in maniera molto simile alle reti a circuizione, i tursiopi invece al tremaglio e allo strascico.
In definitiva, lo studio porta alla conclusione che la pesca non subisce affatto la “competizione” dei delfini, mentre è vero invece che la pesca eccessiva sottrae prede ai cetacei, e dunque li danneggia fortemente.