Basta dare un'occhiata al sito dell'International Shark Attack File, cioè il registo mondiale degli attacchi, per rendersi conto che si parla di poche decine di casi all'anno, pochissimi dei quali mortali. Gli attacchi totali sono stati 61 nel 2008 e 60 nel 2009.
Un recente articolo del San Francisco Chronicle riporta una ricerca dell'Università della Florida (che ha fondato l'Interational Shark Attack File), sul numero di attacchi di squali, lungo le coste americane. A quanto pare, negli Stati Uniti, il numero di questi eventi è in calo. Negli ultimi tre anni infatti, il numero è calato da un anno all'altro, con una dimuzione drastica dal 2008 (41 casi) al 2009 (28 casi). Erano invece 50 nel 2007.
Il trend in calo negli Stati Uniti non è però riscontrato nelle altre due nazioni maggiormente colpite. In Australia dal 2007 al 2009 si sono avuti rispettivamente 13, 12 e infine 20 attacchi. In Sudafrica, nello stesso periodo i numeri sono 2, 0 e 6.
Molti casi di attacchi sono catalogati come "minor", cioè come dice George Burgess curatore del File, "l'equivalente di un morso di cane". Tra l'altro, grazie all'avanzare della medicina e degli interventi di urgenza, la percentuale degli attacchi mortali sul totale è passata dal 60 % un secolo fa, al 7 % nel periodo 2000-2009.
Il fatto che gli attacchi siano in calo negli USA ci dice qualcosa? Per la verità no, dal momento che i numeri sono bassi e dunque statisticamente difficili.
Al di là delle battute che si possono leggere nei commenti alla notizia ("Gli squali hanno smesso di mangiare troppi grassi", ovviamente con riferimento al fatto che gli americani sono troppo spesso sovrappeso) la prima cosa che ho pensato dopo aver letto solo il titolo dell'articolo è stata: ci sono meno attacchi perchè ci sono meno squali.
Certo è che se gli squali facessero il loro database di attacchi dell'uomo agli squali, quanto sarebbero diversi i numeri!