venerdì 31 dicembre 2010

Lavorare con i delfini

Volontari per foto-identificazione tursiopi, in Francia
Al GECC (Groupe d’Etude des Cétacés du Cotentin – Cetacean study team of the Cotentin) cercano diversi volontari per un progetto di foto-identificazione sui tursiopi (lavoro di ufficio e sul campo), da aprile 2011 a novembre 2011. Qui i dettagli.

Internship a Outer Banks, North Carolina, USA
The Outer Banks Center for Dolphin Research (OBXCDR)/Nags Head Dolphin Watch ha due posti liberi per una internship per l'estate del 2011 (dal 15 maggio al 30 di settembre)
Anche questo è un progetto di ricerca sulla foto-identificazione dei tursiopi. Qui i dettagli.

Un ecologo con PhD al National Marine Fisheries Service
L'NMFS, Southeast Fisheries Science Center Marine Mammal Program sta cercando un ecologo con dottorato di ricerca (PhD) per lavorare su un progetto di ricerca sui mammiferi marini. Qui i dettagli.

martedì 21 dicembre 2010

A Natale di cinque anni fa...

Stanno per iniziare le vacanze di Natale. Per me sempre queste sono rimaste: le vacanze di Natale. Come quando andavo a scuola. Fin da quando ho un lavoro, ho sempre preso due o tre settimane di ferie, a Natale. I giorni feriali che stanno fra una festa e l'altra, in questo periodo, per me non esistono, non sono feriali, sono feste anche quelle. Sono i giorni della ricarica dopo un anno di lavoro e routine, sono i giorni della creatività, nel senso che ho il tempo di fare cose non meramente utili, ma anche solo "belle da fare". Magari disegno, sono abbastanza bravo, ma non ho mai il tempo...
E poi leggo, studio e magari sperimento cose nuove.

Nelle vacanze di Natale di 5 anni fa, è nato questo blog. Il primo post è del 29 dicembre 2005.

Cinque anni non sono pochi. Per esempio allora avevo due figlie e tutta la convinzione del mondo che due sarebbe rimaste. Invece è arrivato il piccolo Tommaso.
Mia mamma era ancora viva, e oggi non c'è più.
"Il mare che non ti aspetti" era nei miei pensieri, e in piccoli pezzi nel mio pc, oggi è un libro.

Sì, il tempo è passato, eppure la voglia di tenere vivo questo spazio non mi è quasi mai mancata. A volte, solo a volte, fare le ricerche o anche solo prendere il tempo per scrivere un post mi sembra una fatica invece che un piacere. Ma insomma, quando clicco il pulsante "pubblica post", anche dopo 290 post, è sempre una piccola soddisfazione. Come una barchetta con sopra un messaggio, un biglietto, un regalino, che spingo via dalla riva e vedo dove va a finire. Dall'altra parte ci siete voi che la raccogliete e date un'occhiata a cosa ha portato. E siete ancora lì, dopo cinque anni. Grazie.

Fatevi un regalo in queste feste, date un bacio a una persona che da voi non se lo aspetta più.

Auguri di cuore a tutti voi, buone feste, buon riposo.

sabato 18 dicembre 2010

Insidiose reti

Il 7 novembre ho scritto questo post sul problema della plastica e dei rifiuti in mare. Due giorni dopo ho ricevuto una mail, che pubblico qui integralmente. Mi scuso con l'autore della mail per avere lasciato la sua mail così a lungo "in attesa". Non sempre quello che vorrei fare coincide con quello che ho il tempo di fare.

"Gentile Dott. Marco Affronte,
abito a Senigallia in provincia di Ancona; sono solito leggere il suo blog, e proprio oggi ho visto che riportava la notizia relativa alla massiccia presenza di rifiuti di ogni genere in mare.
Premetto che sono un assiduo frequentatore del litorale senigalliese sia in inverno che in estate e negli ultimi anni ho avuto modo di constatare la presenza continua di reti in plastica, di forma cilindrica, di lunghezza variabile da alcuni decimetri sino anche a più di 3 metri di colore bianco. Ad occhio le assicuro che costituiscono per lo meno la metà di tutto il rifiuto che il mare ci riconsegna, senza prendere in considerazione rami, tronchi o quant'altro di origine organica. Incuriosito ho deciso di svolgere una piccola indagine personale riuscendo a risalire alla tipologia di attività che produce questo rifiuto: gli allevamenti di cozze. Tali reti, in gergo dette calze, vengono usate per contenere i mitili durante il loro accrescimento in acqua. Ho già segnalato la cosa al locale ufficio marittimo e mi hanno detto che provengono da nord, perciò ho deciso di scriverle per sapere se nella vostra zona avete mai avuto segnalazioni o avete mai riscontrato tale fenomeno. Ne ho verificato la presenza, oltre che su tutto il litorale Nord e Sud di Senigallia, anche a Marotta , tra Marotta e Torrette di Fano ed infine un mio parente me ne ha confermato la presenza anche sulla spiaggia di Falconara Marittima. Ritengo che il fenomeno sia particolarmente dannoso per la fauna marittima dato che possono essere facilmente ingoiate. In allegato alcune foto, così che si possa fare un'idea di come son fatte.

P.S.: le 3 buste le ho raccolte a metà settembre in un'ora su 300 m di spiaggia a Senigallia. In quei giorni il mare ne ha depositate un gran quantitativo, molto sopra alla media."

Ammetto di non conoscere il problema, O meglio, non so se davvero esiste un "problema reti di allevamento cozze". Sto facendo qualche ricerca, ma se intanto qualcuno sa qualcosa di più, i commenti sono benvenuti.

venerdì 10 dicembre 2010

Squali in Egitto, allarmismi in Italia

Ho seguito, con non troppa attenzione, la vicenda dei ripetuti attacchi di squalo a Sharm el-Sheikh, culminati poi nella morte di una turista tedesca, domenica scorsa. Lunedì mi ha cercato con insistenza la radio Svizzera per un'intervista sull'accaduto ma stavo facendo una lezione sulle tartarughe marine all'Università di Ferrara e così il contatto non c'è stato. La sera poi sono andato leggermi cos'era successo. Un resoconto lo trovate qui.

Nei giorni seguenti ho seguito lo scambio di messaggi sulla lista Elasmo-L, dove si parlava anche della spedizione di un gruppo di scienziati per valutare l'accaduto. In effetti la situazione è particolare, perchè prima dell'attacco fatale c'erano stati altri attacchi, questa volta non mortali, nei giorni immediatamente precedenti.

Le autorità locali avevano vietato la balneazione, per poi riaprirla sabato. Domenica, la morte della signora tedesca. A quanto pare, il responsabile dei primi attacchi pare essere un mako (quello nella foto), mentre quello mortale è stato causato da un longimano, non a caso considerato uno dei più pericolosi.

Non so, se avessi fatto l'intervista alla radio, cosa avrei potuto dire. Le solite cose, immagino: impossibile stabilire le cause di questi eventi ripetuti e ravvicinati. Inutile la caccia allo squalo che si è scatenata in Egitto, l'eventualità di un attacco di squalo verso una persona resta davvero remota, i veri predatori siamo noi, ecc. ecc

Dopo qualche giorno poi mi trovo a leggere questo articolo. Rimango sconcertato dalla faccia tosta di questi signori che “cavalcano la notizia” per i loro interessi. In questo momento immagino siano a Sharm, dove nessuno però ha richiesto il loro intervento...

Nell'articolo ci sono alcuni passaggi che sarebbero ridicoli se non fossero invece chiaramente in malafede. Dicono che vanno laggiù perchè è “Un modo per studiare il fenomeno prima che si verifichi nel Mediterraneo e, peggio ancora, fino al nostro Adriatico e magari a ridosso delle nostre spiagge.” Come può quello che è successo a Sharm essere d'aiuto a prevenire un problema che nemmeno esiste? Cosa c'entra l'Adriatico?
E poi ancora: “Mi chiedo cosa stia facendo il Governo italiano a riguardo, visto che negli ultimi due anni sono entrate nel Mediterraneo molte specie di acque tropicali; spero che non si debba aspettare in Italia quello che sta succedendo in Mar Rosso.“ Io spero che il governo italiano abbia altro a cui pensare. E cosa dovrebbe mai fare? Una bella battuta di caccia allo squalo? Prevenire è meglio che curare?

Quello che è successo a Sharm va studiato perchè è un evento fuori dal comune (non l'attacco in sé, ma il ripetersi degli attacchi), per evitare altre fatalità, e magari evitare una sconsiderata caccia a qualunque squalo. Tutto qui. Per il resto, gli squali hanno già abbastanza problemi di conservazione, perchè dementi allarmismi debbano aggravarne la situazione.

lunedì 29 novembre 2010

L'Europa e gli squali

Il difficile percorso per eliminare la piaga del finning, che fa strage di squali, nelle acque europee.

Il regolamento europeo vieta la pratica del finning, cioè di tagliare le pinne agli squali, per poi venderle a mercato orientale, per la tradizionale zuppa di pinne di pescecane. Ma una deroga concede agli stati membri di rilasciare ai pescatori l'autorizzazione a "lavorare" gli squali pescati, e dunque a tagliare le pinne a bordo del peschereccio. Germania, Regno Unito e altri paesi hanno via via bloccato la concessione di tali autorizzazioni, attualmente concesse solo in Spagna e Portogallo. Questi permessi rendevano, di fatto, praticabile il finning. Perchè? Perchè se io pescatore posso arrivare in porto con pinne di squalo da una parte e corpi dall'altra, posso avere diciamo 10 carcasse di squalo, ma pinne provenienti da 25 squali. vuol dire che almeno 15 squali sono stati pescati appositamente per le pinne, dunque ho praticato il finning.

Nel 2003 per cercare di ovviare al problema, i responsabili della pesca dell'Unione Europea adottarono un rapporto che doveva "legare" le pinne che un pescatore aveva in barca, con le carcasse di squalo. Dunque un imposto che il peso delle pinne in barca non doveva superare il 5% del peso degli squali a bordo. Questo rapporto per la verità è alto e dunque molto permissivo rispetto a quanto adottato da altri paesi, e al rapporto reale peso pinne/peso squalo intero. Ne ho già parlato qua.

Le barche europee hanno inoltre un'altra scappatoia: possono sbarcare corpi e pinne in porti diversi, il che crea ulteriori confusione.

Nel febbraio 2009, la Commissione Europea, con la pubblicazione del Piano di Azione per gli Squali, si impegna pubblicamente a rafforzare il divieto di finning.

Due mesi dopo, nelle Conclusioni ufficiali sul Piano d'Azione, il Consiglio Europeo dei Ministri della Pesca richiede di emendare (cioè modificare) il divieto di finning come prioritario.

A quasi due anni di distanza, il 15 novembre scorso, la Commissione Europea presenta un documento di consultazione pubblica, che si può leggere qui, aperto dunque ai commenti di tutti i cittadini, che chiede la modifica del regolamento sul finning, introducendo la norma che gli squali devono essere sbarcati con "le pinne naturalmente attaccate".
Questa politica non solo avrebbe come risultato un’applicazione più incisiva del Regolamento, ma permetterebbe anche la raccolta di informazioni sulle specie e sulle quantità di squali sbarcati, fondamentale per stimare e gestirne le popolazioni.

sabato 27 novembre 2010

Storie di Mare via email

Ho aggiunto al blog un nuovo servizio che spero sia utile. Se guardate nella colonna di fianco, proprio sotto a "Chi sono" trovate il titolo "AGGIORNAMENTI VIA EMAIL". Potete iscrivervi per ricevere una mail ogni volta che c'è un nuovo post.
E' facilissimo:
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lunedì 22 novembre 2010

Difficili riflessioni, difficili decisioni

Oggi vorrei approfittare di Elena, una amica conosciuta su Goodreads.com, per rispondere a due domande che, in forme diverse, ma uguali nella sostanza, spesso mi vengono poste.
Elena ha letto "Il mare che non ti aspetti" e mi scrive "Marco, sulla vicenda di Mary G... quando ti chiedi se vale la pena di affrontare tutte le spese e gli sforzi per salvarla, solo per avere un delfino in piu' nel mare... ti giro la domanda: saresti riuscito a guardarla morire?".
Io le ho risposto che questa domanda merita una lunga e ponderata risposta, e lei allora aggiunge: "immagino.... anche perche' continuando a leggere il libro mi sembra di percepire una sorta di tensione interna tra il biologo, piu' scientifico e distaccato che dice che raramente si affeziona agli animali, e l'animalista che pero' nell'ultima pagina dice di non essere animalista ma dimostra di amare gli animali (credo, altrimenti come faresti a fare un lavoro cosi'???!!!)"

Dunque la prima domanda, brutale, è: sarei riuscito a guardare morire Mary G? La risposta è che, no, allora, in quel momento, non ci sarei riuscito. E' cambiato qualcosa da allora? Sì. E molto è cambiato proprio a causa di Mary G.
Ho già scritto diverse volte che la vicenda di Mary G. ha cambiato il mio modo di vedere alcune cose, e ha dato inizio a profondi ripensamenti che poi si sono portati dietro altri effetti collaterali (esempi recenti: la mia svolta decisa verso il pensiero contro la cattività, come qui e qui, e le mie letture recenti sulla bioetica animale). Ne "Il mare che non ti aspetti", che è stato scritto a cavallo fra il 2005 e il 2006, si leggono le prime avvisaglie di queste riflessioni. Ma altri anni sono passati e le mie riflessioni sono continuate.

Recentemente sono stato membro di un tavolo tecnico (ne ho parlato qui) nato per volontà del Ministero dell'Ambiente e che ha il compito di redigere le linee guida per gli interventi sui Cetacei spiaggiati vivi. Il gruppo è composto da una decina di persone e consta di un biologo, un naturalista (io), una esperta di bioetica e diversi veterinari (quasi tutti afferenti ai parchi e dunque legati alla cattività). Bene, il punto che ha causato le discussioni più accese e feroci è stato proprio sollevato da me, e deriva dall'esperienza di Mary. In pratica ho affermato che per quanto mi riguarda non avrei voluto mai più un'altra Mary G. Nel caso cioè di un delfino che può essere salvato ma che sarebbe comunque destinato alla cattività, cioè un piccolo non svezzato o un animale con gravi mutilazioni, andrebbe secondo me praticata l'eutanasia. E' durissima pensare di sopprimere un cucciolo che invece si potrebbe salvare, ma se non lasciarlo morire significa condannarlo a una vita in cattività, io credo si debba decidere per la soppressione.
Voglio essere molto chiaro: stiamo parlando di un animale che sarebbe morto senza l'intervento dell'uomo, ma che noi decidiamo di fare sopravvivere, destinandolo a una vita di una qualità decisamente inferiore a quella naturale, selvatica.Non lo trovo accettabile (anche perché molte altre considerazioni gravano attorno a questa decisione, come ad esempio il valore dal punto di vista della conservazione, di un animale spiaggiato, e molto altro). Quindi, sì, oggi come oggi, io... guarderei Mary morire. O meglio, l'aiuterei a farlo.

Il secondo punto è più facile. Innanzitutto non mi sono mai definito animalista (ma oggi, forse, chissà...) perchè ho sempre dato al termine un'accezione negativa, intendendo con questo nome un fanatico, uno disposto a tutto per la difesa degli animali (o di un singolo animale, concetto che per me ha una valenza molto diversa). Detto questo, è vero, non mi affeziono mai al singolo animale, non ci riesco proprio, salvo rare eccezioni: il gatto di casa, la tartaruga Sole...
Non credo sia solo questione di "biologo, scientifico e distaccato", ma anche e soprattutto di un affetto e di un profondo amore per gli animali, ma che si esprime su un altro livello. Come ho già scritto: ho per loro un profondo rispetto, rispetto la loro natura, il loro essere, la loro dignità. Non sono pet, sono solo altri abitanti del nostro stesso pianeta. Come noi, al pari di noi.