lunedì 22 novembre 2010

Difficili riflessioni, difficili decisioni

Oggi vorrei approfittare di Elena, una amica conosciuta su Goodreads.com, per rispondere a due domande che, in forme diverse, ma uguali nella sostanza, spesso mi vengono poste.
Elena ha letto "Il mare che non ti aspetti" e mi scrive "Marco, sulla vicenda di Mary G... quando ti chiedi se vale la pena di affrontare tutte le spese e gli sforzi per salvarla, solo per avere un delfino in piu' nel mare... ti giro la domanda: saresti riuscito a guardarla morire?".
Io le ho risposto che questa domanda merita una lunga e ponderata risposta, e lei allora aggiunge: "immagino.... anche perche' continuando a leggere il libro mi sembra di percepire una sorta di tensione interna tra il biologo, piu' scientifico e distaccato che dice che raramente si affeziona agli animali, e l'animalista che pero' nell'ultima pagina dice di non essere animalista ma dimostra di amare gli animali (credo, altrimenti come faresti a fare un lavoro cosi'???!!!)"

Dunque la prima domanda, brutale, è: sarei riuscito a guardare morire Mary G? La risposta è che, no, allora, in quel momento, non ci sarei riuscito. E' cambiato qualcosa da allora? Sì. E molto è cambiato proprio a causa di Mary G.
Ho già scritto diverse volte che la vicenda di Mary G. ha cambiato il mio modo di vedere alcune cose, e ha dato inizio a profondi ripensamenti che poi si sono portati dietro altri effetti collaterali (esempi recenti: la mia svolta decisa verso il pensiero contro la cattività, come qui e qui, e le mie letture recenti sulla bioetica animale). Ne "Il mare che non ti aspetti", che è stato scritto a cavallo fra il 2005 e il 2006, si leggono le prime avvisaglie di queste riflessioni. Ma altri anni sono passati e le mie riflessioni sono continuate.

Recentemente sono stato membro di un tavolo tecnico (ne ho parlato qui) nato per volontà del Ministero dell'Ambiente e che ha il compito di redigere le linee guida per gli interventi sui Cetacei spiaggiati vivi. Il gruppo è composto da una decina di persone e consta di un biologo, un naturalista (io), una esperta di bioetica e diversi veterinari (quasi tutti afferenti ai parchi e dunque legati alla cattività). Bene, il punto che ha causato le discussioni più accese e feroci è stato proprio sollevato da me, e deriva dall'esperienza di Mary. In pratica ho affermato che per quanto mi riguarda non avrei voluto mai più un'altra Mary G. Nel caso cioè di un delfino che può essere salvato ma che sarebbe comunque destinato alla cattività, cioè un piccolo non svezzato o un animale con gravi mutilazioni, andrebbe secondo me praticata l'eutanasia. E' durissima pensare di sopprimere un cucciolo che invece si potrebbe salvare, ma se non lasciarlo morire significa condannarlo a una vita in cattività, io credo si debba decidere per la soppressione.
Voglio essere molto chiaro: stiamo parlando di un animale che sarebbe morto senza l'intervento dell'uomo, ma che noi decidiamo di fare sopravvivere, destinandolo a una vita di una qualità decisamente inferiore a quella naturale, selvatica.Non lo trovo accettabile (anche perché molte altre considerazioni gravano attorno a questa decisione, come ad esempio il valore dal punto di vista della conservazione, di un animale spiaggiato, e molto altro). Quindi, sì, oggi come oggi, io... guarderei Mary morire. O meglio, l'aiuterei a farlo.

Il secondo punto è più facile. Innanzitutto non mi sono mai definito animalista (ma oggi, forse, chissà...) perchè ho sempre dato al termine un'accezione negativa, intendendo con questo nome un fanatico, uno disposto a tutto per la difesa degli animali (o di un singolo animale, concetto che per me ha una valenza molto diversa). Detto questo, è vero, non mi affeziono mai al singolo animale, non ci riesco proprio, salvo rare eccezioni: il gatto di casa, la tartaruga Sole...
Non credo sia solo questione di "biologo, scientifico e distaccato", ma anche e soprattutto di un affetto e di un profondo amore per gli animali, ma che si esprime su un altro livello. Come ho già scritto: ho per loro un profondo rispetto, rispetto la loro natura, il loro essere, la loro dignità. Non sono pet, sono solo altri abitanti del nostro stesso pianeta. Come noi, al pari di noi.

13 commenti:

  1. Caro Marco, le tue parole hanno descritto il vero amore. Continuo a sostenere che c'e' un poeta dentro di te poiche' il tuo pensiero, le tue riflessioni sono lo specchio di un grande cuore.

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  2. Scusa, non ho firmato il mio commento... ma credo che l'avrai comunque capito...
    Christina

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  3. Sì, avevo capito. Nessun altro ha mai osato darmi del poeta... Un abbraccio.

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  4. Non sono assolutamente d’accordo con questo suo punto di vista.
    Ho letto anch’io “Il Mare che non ti aspetti” e le mie conclusioni sono diverse.
    Cominciamo dalla Fondazione Cetacea. Fra gli scopi leggo: “Fondazione Cetacea è nata nel 1988. Il suo impegno è nella tutela del mare Adriatico, e nello sforzo di farlo conoscere e apprezzare nei suoi aspetti naturali, studiando, educando e informando. Da sempre si occupa di Cetacei, tartarughe marine e squali. Si avvale del prezioso contributo di biologi, veterinari, naturalisti e volontari. E’ attiva nel soccorso di animali in difficoltà, in special modo Cetacei e Tartarughe marine.”
    Soccorso significa praticare l’eutanasia su animali in difficoltà? E’ compatibile il suo, peraltro rispettabile, punto di vista con gli scopi dell’associazione della quale è responsabile scientifico?
    La cattività è certamente un problema ma perché non parlare invece in un’ottica strategica di razionalizzazione dei parchi in vista della creazione di santuari? Dico questo per il semplice fatto che non credo abbia senso cercare fondi e il consenso delle persone (fra le quali, convintamente, il mio) se poi lasceremmo comunque morire per motivazioni “filosofiche” animali già in grosse difficoltà nel loro ambiente naturale ampiamente degradato proprio dall’azione di noi umani. E’ vero che non è immettendo delfini nei parchi (o tartarughe nelle vasche, etc.) che aiutiamo il mare a resistere ma è ugualmente un punto di partenza concreto, fattuale, e non pessimista per iniziare a operare e coinvolgere anche gli altri … e anche perché ciascuno di noi presenta sempre quella caratteristica che ci contraddistingue come esseri umani, ovvero di avere comunque un rapporto empatico con le altre creature viventi del mare e degli altri ambienti naturali.
    MaryG in realtà, a parer mio, è stata invece il punto di lancio di tutta una serie di azioni a salvaguardia dell’ambiente marino – dell’Adriatico ma non solo - e dei suoi abitanti. Molte persone che non conoscevano nulla della vostra azione di difesa e soccorso si sono avvicinate proprio per l’interesse di questo cucciolo di grampo e non è scorretto sostenere che è proprio a partire da MaryG che – forse – avete (e abbiamo) salvato qualche tartaruga e delfino in più.
    Quindi il sottoscritto avrebbe comunque tentato di salvare Mary, o Mario o chiamiamoli come vogliamo.
    Spero che lei modifichi questa sua idea che, penso, sia anche frutto di riflessioni esacerbate in un periodo di grandi difficoltà per la Fondazione, che comunque coincidono con gravi problemi di tutto il nostro Paese.
    Cordialmente
    Manuel

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  5. Caro Manuel,
    rispondo volentieri a quanto scrive, ma ritengo doverose alcune semplici premesse:
    - non ho mai scritto, nel post in questione, che le opinioni espresse sono quelle di Fondazione Cetacea
    - in effetti, nelle colonne laterali del blog è riportato chiaramente che le opinioni qui espresse “sono personali e non necessariamente rispecchiano quelle di Fondazione Cetacea”
    - Fondazione Cetacea non è un partito politico, e non è necessario che, anche su temi centrali, noi si abbia tutti la stessa opinione. Abbiamo in effetti discusso molto la questione, senza peraltro raggiungere un pensiero condiviso, almeno non al 100%. Questo non ci impedirà di svolgere al meglio delle nostre possibilità, il nostro lavoro
    - proprio per questi motivi, ma questo ovviamente lei non poteva saperlo, partecipo al tavolo tecnico ministeriale, come persona esperta, ma non come Responsabile Scientifico di Fondazione Cetacea.

    * fine prima parte, continua *

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  6. * seconda parte *

    Detto questo, lei mi chiede se “Soccorso significa praticare l’eutanasia su animali in difficoltà”. La risposta è: in alcuni casi sicuramente sì, e le faccio l'esempio eclatante dei capodogli pugliesi. L'eutanasia era l'unica forma di soccorso che si poteva dare a quegli animali. Non si è voluto procedere, e sono morti soffrendo per ore (lo conferma l'autopsia), schiacciati dal loro stesso peso.
    Se l'eutanasia è compatibile con gli scopi di Fondazione Cetacea, nel senso delle attività di soccorso di animali in difficoltà? La risposta è ancora sì. Ho studiato almeno una decina di diverse linee guida di intervento su cetacei spiaggiati (USA, UK, Australia, New Zealand), l'eutanasia è un'opzione presente in tutte, anche se in misura diversa (gli inglesi la praticano su ogni esemplare che non può tornare in mare, gli americani invece solo su quelli che non hanno speranze di sopravvivenza).

    Sulla “ razionalizzazione dei parchi in vista della creazione di santuari”, mi perdoni, ma non capisco cosa intende. Può essere più preciso? Beninteso, io non sono per chiudere i delfinari all'istante, che manderebbe a morte tutti i delfini che ci vivono. Ma la popolazione di delfini nei delfinari non si auto-sostiene (sono più i delfini che muoiono di quelli che nascono) e basterebbe vietare gli assurdi prelievi in mare perchè l'industria dei delfinari muoia di morte naturale. E' d'accordo con me che è una follia che nel 2010 si peschino ancora delfini per guadagnare soldi “esponendoli” in un delfinario?

    Fondazione Cetacea cerca “ fondi e il consenso delle persone” per un raggio di attività che vanno dalla tutela e la conservazione dell'ambiente naturale, alla sensibilizzazione, all'educazione, alla ricerca. E poi ovviamente anche per il recupero di animali (che comunque ha uno scopo educativo e di sensibilizzazione, non di conservazione diretta, non si fa conservazione salvando un animale alla volta). E mi creda se le dico che parlare alle centinaia di bambini che ogni anno noi incontriamo è molto più “direttamente” efficace che salvare la vita di un delfino (soprattutto se poi questo non può nemmeno tornare in mare).
    Perchè un punto su cui forse ci siamo fraintesi è questo: non ho mai detto che sono per l'eutanasia di ogni delfino spiaggiato (ad esempio Mario non era un candidato all'eutanasia) ma solo
    a) per animali che non hanno speranza di salvarsi, e ai quali si possono alleviare almeno le sofferenze e
    b) ed è qui che mi scontro con tanti, ma non con tutti, i colleghi, per animali che pur potendo salvarsi sarebbero condannati a una vita in cattività.

    Sono d'accordo con lei quando dice che “Molte persone che non conoscevano nulla della vostra azione di difesa e soccorso si sono avvicinate proprio per l’interesse di questo cucciolo di grampo e non è scorretto sostenere che è proprio a partire da MaryG che – forse – avete (e abbiamo) salvato qualche tartaruga e delfino in più.” Questo è molto vero. Ma se qualcuno ha pagato un prezzo per la nostra “notorietà” e dunque per la possibilità di poter fare molto più per il mare, gli animali, eccetera, quel qualcuno è proprio Mary. E, a mio avviso, sta ancora pagando.

    Infine, la devo deludere. Cambiare idea è sempre possibile, man mano che aumentano le conoscenze e le esperienze, è proprio quello che è successo a me. Ma dal momento che questo cambiamento nasce nel tempo e con lunghe e dolorose riflessioni (e non dal periodo di grandi difficoltà per la Fondazione, per quanto reale), dubito che questo avvenga in tempi brevi.

    Spero continui a sostenerci, nonostante tutto.

    Cordialmente
    Marco

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  7. Sono ovviamente d’accordo con l’esigenza di vietare, severamente, per via legislativa l’introduzione di nuovi esemplari catturati nei loro ambienti di vita originari superando le linee accomodanti verso lo statu-quo del DM 469/2001. Una simile prospettiva si potrebbe ben accompagnare ad un piano di introduzione e incremento delle aree marine protette concretamente dalla pesca e dalle attività umane, in acque territoriali italiane e dunque soggette alla nostra legislazione, in modo da tutelare le aree costiere e profonde anche per le generazioni future. Si tratterebbe di zone di alto interesse ecologico e culturale che oltre a fornire eco-sistemi in grado di sostentare le specie residenti e favorire l’osservazione rispettosa della fauna e degli altri organismi marini potrebbero, in una prospettiva parallela di progressiva dismissione di parchi e delfinari, riservare agli esemplari in cattività aree speciali controllate di transizione versol’ambiente marino.
    L’eutanasia. Il ricorso all’eutanasia, che dovrebbe comunque sempre richiedere scrupolosi protocolli operativi (ed è positivo che il Ministero si stia finalmente accorgendo del problema), è per me attuabile solo su animali sofferenti e non in grado di vivere. Non sono assolutamente d’accordo invece sulla pratica della soppressione preventiva di animali che potrebbero salvarsi. Vi sono certamente questioni pratiche correlate sulle quali si può e si deve discutere e sulle quali dovrebbe essere potenziato un robusto apporto sistemico pubblico connotato - fra l’altro - di civiltà ed etica in linea con i principi costituzionali, ma resto altamente contrario all’eliminazione preventiva di esemplari che hanno speranze di vita e quindi di creature complesse e intelligenti come Mary G. Non avrebbe altrimenti senso perorare la causa del Pianeta Comune, quindi di un mondo con esseri viventi di equivalente dignità se non di uguale sorte, e poi decidere univocamente il destino di altre creature dalla straordinaria intelligenza e sensibilità. La vita in cattività è vita? Non è, ovviamente, la stessa cosa nuotare nel mare aperto e fare innumerevoli giri in vasche di cemento. Ma è una speranza acquisita in più, il tentativo utopico se lei crede, ma concreto di non togliere anche quel poco che resta a questi nostri compagni di viaggio. Chissà che magari non si riesca invece a liberarli in futuro approfondendo le nostre attuali limitate conoscenze su di loro . Ricorda il caso di Keiko, l’orca del film Free Willy? Alla fine, purtroppo, è morta: ma è morta in mare aperto dopo una grande ultima nuotata. E non per mano di un pietoso uccisore.
    Spero continui a salvare i nostri amici delfini, nonostante tutto.
    Cordialmente
    Manuel

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  8. Caro Manuel, le rispondo per punti.

    [Sono ovviamente d’accordo con l’esigenza ... aree speciali controllate di transizione versol’ambiente marino.]
    D'accordissimo su tutta questa parte. Le dirò di più, quello che lei scrive si avvicina molto a quanto stiamo proponendo al Ministero.

    [L’eutanasia. ... resto altamente contrario all’eliminazione preventiva di esemplari che hanno speranze di vita e quindi di creature complesse e intelligenti come Mary G. Non avrebbe altrimenti senso perorare la causa del Pianeta Comune, quindi di un mondo con esseri viventi di equivalente dignità se non di uguale sorte, e poi decidere univocamente il destino di altre creature dalla straordinaria intelligenza e sensibilità.]
    Ma gli animali spiaggiati sono stati eliminati dalla Natura! Dal Pianeta Comune, se vuole. Se decidiamo di intervenire su uno spiaggiato, per praticare una eutanasia ma anche per salvargli la vita, stiamo già decidendo univocamente il destino di un'altra creatura. O abbiamo il diritto/dovere di farlo sempre, o non ce l'abbiamo mai.

    [La vita in cattività è vita?...]
    Sì, ma di qualità inferiore a quella selvatica, ovviamente. Allora io dico: un neonato di delfino vivo e senza madre, morirebbe dopo poche ore. Possiamo noi andare contro a una legge di natura, decidere di salvargli la vita, ma condannandolo a una vita di qualità inferiore? Per me no, ma il punto è tutto qui.
    Purtroppo la legge non ci aiuta. La legge 189 del 2004 configura come reato di maltrattamento il mantenimento di esemplari di specie animali in condizioni diverse rispetto alla loro natura e alle loro caratteristiche etologiche.
    Ma la legge prevede anche la pena per chi uccide animali senza giustificato motivo e per coloro che liberano animali adattati alla vita in cattività.

    [Ricorda il caso di Keiko, l’orca del film Free Willy? Alla fine, purtroppo, è morta: ma è morta in mare aperto dopo una grande ultima nuotata. E non per mano di un pietoso uccisore.]
    Non vorrei "sfruttare" la nostra interessante discussione "a scopi pubblicitari", ma un capitolo del mio nuovo libro che uscirà a maggio, il capitolo più lungo, è dedicato a Keiko. Su Keiko tantissimo si è scritto e detto. In generale ci sono due visioni: Keiko è stato un successo, perchè alla fine è morto comunque "libero" in mare. Keiko è stato un fallimento, perchè non è mai riuscito ad adattarsi di nuovo al mare, ed è morto. Io sulla vicenda di Keiko non riesco a non pensare che sono stati spesi 20 millioni di dollari per questo lungo sogno. Venti milioni, si rende conto? Sa quanto si poteva fare per la conservazione e la tutela del mare con 20 milioni di dollari?

    [Spero continui a salvare i nostri amici delfini, nonostante tutto.]
    Oh, non si preoccupi. Se smetterò sarà solo perchè alla fine la mancanza di soldi non avrà lasciato altra scelta. E non manca molto, purtroppo.

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  9. Solo il fatto che MaryG esiste mi riempie di gioia: è insopportabile il pensiero che qualcuno volesse praticarle l’ eutanasia, voglio scacciare questa terribile possibilità.
    Fiorella

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  10. [Ma gli animali spiaggiati sono stati eliminati dalla Natura! Dal Pianeta Comune, se vuole. Se decidiamo di intervenire su uno spiaggiato, per praticare una eutanasia ma anche per salvargli la vita, stiamo già decidendo univocamente il destino di un'altra creatura. O abbiamo il diritto/dovere di farlo sempre, o non ce l'abbiamo mai.]

    Caro Marco, io penso che l’intervento umano sia individuabile *molto* più a monte. Non possiamo dimenticare che, in particolare per l’Adriatico e il Mediterraneo in generale, è proprio l’azione dell’uomo che ha sconvolto e continua a sconvolgere a ritmo incessante l’ambiente di delfini, tartarughe, e di tutte le altre creature marine. Dovremmo parlare dei disastri della pesca industriale, dell’inquinamento derivante dall’attività dei nostri scassatissimi e scarsamente controllati complessi agro-industriali, perfino dei sempre più frequenti e maldestri test con autentiche bombe sonore per rilevazione dei giacimenti sottomarini di petrolio o di gas. Per non parlare dei sonar delle navi, onnipresenti.
    Se davvero tenessimo presente tutta questa attività umana che ha ristretto enormemente l’ambiente degli altri animali allora potremmo rispondere agevolmente al dilemma che lei ha proposto: sì, abbiamo certamente il dovere di intervenire per salvare il salvabile (sia esso rappresentato da Atlante, Sole, Mary G, etc.). E poi, se volessimo riflettere con più calma, davvero lei pensa che una prospettiva neo-darwinista sia la soluzione migliore al problema? Forse in un pianeta incontaminato, ove le forze della Natura si potessero dispiegare senza l’intralcio di navi, chiazze di petrolio, inquinamenti, etc. Forse….Ma non è così. Ben venga invece una tutela attiva, correndo magari qualche rischio (ma poi, in Italia, chi non ha purtroppo lo stesso problema? E’ la legislazione che deve accompagnare, in questo caso come in altri, gli sviluppi etici e scientifici e non il contrario) ma avendo la certezza di lavorare in vista di un approccio più moderno e consapevole verso la sorte degli animali in difficoltà. Nel caso contrario, chi ci assicura che prima o poi, come successo altrove e in altre epoche, questa visione non si ripercuota su altre specie, magari anche su di noi?

    [Io sulla vicenda di Keiko non riesco a non pensare che sono stati spesi 20 millioni di dollari per questo lungo sogno. Venti milioni, si rende conto? Sa quanto si poteva fare per la conservazione e la tutela del mare con 20 milioni di dollari? ]
    Keiko i 20 milioni di dollari se li è ampiamente guadagnati tutti. E poi, non è un’orca che fu liberata, ma un sogno: il sogno di tanti ragazzi e persone comuni che, magari affascinate da una perfetta sceneggiatura, hanno creduto davvero alla possibilità di liberare questo meraviglioso animale. La Warner non poteva fare altro: e adesso, dopo tanti anni trascorsi, se ci sono ancora migliaia di persone che lottano per la salvaguardia del mare e delle altre orche lo dobbiamo proprio a Willy-Keiko. Chissà se anche la *nostra* (me lo concede?) Mary G non sia anch’essa la causa iniziale della vocazione naturalistica di qualche ragazzo che ci porterà grandi risultati!
    Cordialmente
    Manuel

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  11. [Se davvero tenessimo presente tutta questa attività umana che ha ristretto enormemente l’ambiente degli altri animali allora potremmo rispondere agevolmente al dilemma che lei ha proposto: sì, abbiamo certamente il dovere di intervenire per salvare il salvabile (sia esso rappresentato da Atlante, Sole, Mary G, etc.)].

    L'argomento "agire per senso di colpa" mi può andare, l'ho usato anche io nel mio libro. Anche se esteso come regola generale mi pare scricchioli un po'. Ma se queste azioni mirano a riparare i danni fati alla Natura, Atlante e Sole sono state "salvate", nel senso di restituite alla natura, ma Mary?

    [Ben venga invece una tutela attiva, correndo magari qualche rischio ... ma avendo la certezza di lavorare in vista di un approccio più moderno e consapevole verso la sorte degli animali in difficoltà.]

    Sono d'accordo. Ma secondo me un approccio più moderno e consapevole richiede di valutare caso per caso, tenendo conto del benessere (presente e futuro) dell'animale da salvare, delle implicazioni per la conservazione della specie, delle valutazione sul "valore ecologico di uno spiaggiato". Da questo nuovo approccio nascono le mie considerazioni e le mie convinzioni attuali.

    [Nel caso contrario, chi ci assicura che prima o poi, come successo altrove e in altre epoche, questa visione non si ripercuota su altre specie, magari anche su di noi?]

    In che senso, che se lo facciamo per gli animali poi il passo è breve che si ragioni allo stesso modo anche per gli uomini? Mah, può essere, glielo concedo. Ma la paura di una deriva etica non dovrebbe bloccarci sul nascere, almeno credo.

    [Keiko i 20 milioni di dollari se li è ampiamente guadagnati tutti. E poi, non è un’orca che fu liberata, ma un sogno]

    Sarò cinico, ma mi sembra più un costoso esperimento finito male. Che però ha fatto sognare molti, è vero.

    [Chissà se anche la *nostra* (me lo concede?) Mary G non sia anch’essa la causa iniziale della vocazione naturalistica di qualche ragazzo che ci porterà grandi risultati!]

    Sono certo sia così, nonostante tutto.

    Marco

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  12. Ho letto con interesse i vostri commenti. Vorrei dire qualcosa anch'io a proposito dell' eutanasia. La mia opinione e' molto semplice. Se io fossi gravemente malata, se avessi una malattia che non mi permettesse piu' un'esistenza autonoma e dignitosa e se questa malattia costringesse i miei cari a prendersi cura di me 24 ore su 24 beh, vorrei poter scegliere se continuare a "vivere" o meno. Rifiuterei qualsiasi tipo di intervento medico volto a tenere in vita un corpo che altrimenti morirebbe naturalmente. Per un delfino spiaggiato vivo malato o semplicemente vecchio a mio parere, bisogna lasciare che la natura completi la sua "opera". L'intervento umano seppur dettato dal bisogno personale di salvare" la vita" a qualsiasi costo equivale ad una condanna di prigionia. Ora, che questa prigione sia una vasca di cemento o il letto di un ospedale fa poca differenza. L'eutanasia e' un grande atto di amore. Quando il mio adorato cane si ammalo' di tumore avrei tanto voluto curarlo e tenerlo con me per piu' tempo possibile ma i suoi occhi mi mostravano quanto stesse soffrendo e sapevo che l'unica cosa che potevo fare per lui, l'unica cosa che lo avrebbe liberato da tanto dolore era la morte. Ho sofferto tantissimo quella mattina dal veterinario ma, dopo pochi minuti dalla sua morte ho realizzato di aver fatto la cosa giusta. Sapete una cosa? So che quello che sto per dire disturbera' molti ma voglio essere sincera: quando anche mia Nonna si ammalo' di tumore, quando era arrivata al punto che non mangiava piu', che non riusciva a sollevare le braccia o aprire la bocca per bere, nei suoi occhi ho visto lo stesso dolore che vidi negli occhi del mio cane. Con un filo di voce mia nonna mi disse: "voglio morire". Quella stessa sera non volle piu' essere assistita da medici ed infermieri. Rifiuto' cure ed iniezioni. Semplicemente chiuse gli occhi e dopo due giorni mori'. Magari non e' cosi' per tutti , lo so, ma e' la possibilita' di poter scegliere cio' che conta. Se Mary G. potesse parlare non sono sicura che ci direbbe che le piace oggi la sua vita. Una vita dentro una prigione di cemento dove e' costretta a fare il pagliaccio per arricchire pochi uomini con pochissimi scrupoli. Magari Mary avrebbe desiderato essere lasciata in pace, magari avrebbe voluto morire accanto a sua madre tra le "mura" della sua casa naturale, il mare.

    Un caro saluto a tutti.
    Christina

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  13. @ Christina
    Interpretare lo stato d'animo di una persona è difficile. Interpretare quello di un animale è praticamente impossibile. Una cosa è certa: se qualcuno muore è finita, stop, chiuso. Se c'è ancora un istante di vita anche lo sbaglio più grave può essere rimediato. Io Mary G l'ho vista e, al contrario di quanto dici, non mi pare né triste né desiderosa di farla finita.
    Auguro al dott. Marco Affronte altri mille di questi "sbagli".

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