venerdì 5 ottobre 2012

Dopo vent'anni, l'olio della Exxon Valdez fa ancora danni

La superpetroliera Exxon Valdez, il 24 marzo 1989, rimase incagliata in una scogliera all'interno di un'insenatura del Golfo di Alaska. Rovesciò in mare quasi 41 milioni di litri di petrolio. Si stima che la fuoriuscita di petrolio uccise 250.000 uccelli marini, 2800 lontre, insieme a migliaia di mammiferi marini e innumerevoli pesci, invertebrati e piante marine. Oltre a questo, miliardi di uova di salmone di aringhe e di altri pesci vennero distrutte.
L'incidente della petroliera Exxon Valdez resta uno dei maggiori disastri per l'ambiente naturale che la storia ricordi.

Sono passati 23 anni da quel disastro e mentre molti pensano che le conseguenze di quanto è successo siano in azione ancora oggi, questo resta difficile da dimostrarsi. Provare a individuare in che modo le specie di un dato ambiente riescono a recuperare dopo un grave disastro ambientale non è una questione semplice: innanzitutto è difficile avere dei dati sull'abbondanza di popolazione e sui trend di questa, prima del disastro; inoltre non è facile stabilire se durante gli anni, successivi al fatto, ci siano altri fattori che influiscono sul recupero stesso delle specie. Nel caso di un oil spill, attribuire il ritardo nel recupero delle specie proprio all'olio rimasto nell'ambiente implica, fra le altre cose, che si riesca a provare che le specie sono ancora sottoposte al contatto e all'esposizione con le sostanze oleose.

È questo lo scopo del lavoro di un folto gruppo di scienziati dell'Alaska Science Center e del National Marine Fisheries Service, che ha studiato le zone della fascia intertidale del Prince William Sound (luogo del disastro della Exxon Valedz) - dove è noto che ci siano delle riserve di olio residuo persistente - analizzando le conseguenze sulle lontre che si nutrono proprio in queste zone. La fascia intertidale è quella compresa fra le due linee di marea, cioè quella fascia litorale che può essere sommersa, nei momenti di alta marea, o emersa durante la bassa. Le lontre sono solite scavare proprio in questa zona per cercare cibo, e dunque gli scienziati si sono chiesti con quale frequenza incontrano l'olio residuo e quali conseguenze possa avere su di loro.

I primi studi successivi al disastro identificarono un elevato tasso di decadimento dell'olio, si parlava di circa il 58% all'anno. Si pensava dunque che non ci fossero particolari preoccupazioni relativamente al recupero a lungo termine delle specie coinvolte. Studi successivi mostrarono la rapida ripresa di molte specie e dichiararono che le conseguenze dell'olio residuo e persistente per le lontre erano minime. Ma secondo altri autori, non tutte le specie degli ecosistemi colpiti si riprendevano così velocemente, in particolare quelle che dipendevano dalle catene alimentari vicine alla spiaggia. In particolare due studi, del 2001 è del 2007, rivelarono che la velocità di ripresa delle lontre era circa la metà di quella attesa, soprattutto nelle aree più colpite dal petrolio. Il destino delle lontre marine era condiviso dalle lontre di fiume, e da due specie di uccelli: tutti si riprendevano in maniera inspiegabilmente lenta. E tutte sono specie che occupavano habitat di riva. 

Il contatto con gli idrocarburi, appunto nella fascia intertidale, provoca in queste specie problemi metabolici che portano a diverse conseguenze, anche gravi, come la ridotta capacità di sopravvivenza delle femmine. Nel 2004 fu pubblicato uno studio, relativo al 2001, che documentava come negli habitat intertidali fossero presenti ancora 55.600 kg di olii su un'area di oltre 11 ettari.

Ricapitoliamo: quell'area a distanza di anni è ancora piena di olii residui; questi si trovano soprattutto nella fascia intertidale: lì le lontre scavano delle buche per cercare cibo, vengono a contatto con gli olii e ne subiscono le conseguenze.

I ricercatori hanno dunque equipaggiato 28 lontre con degli strumenti che registrano la durata e la profondità delle immersioni; di questi strumenti, 19 sono stati raccolti, e i dati che contenevano, analizzati. Sulla base della mappa della presenza degli olii e della frequenza con la quale le lontre si immergono per nutrirsi nella zona intertidale, i ricercatori hanno stabilito che una lontra incontrerà l'olio residuo in media 10 volte in un anno, con una probabilità per le femmine 2,5 volte maggiore rispetto ai maschi. Circa la metà dei sedimenti analizzati, prelevandoli direttamente dalle biche scavate dalle lontre, erano contaminati dall'olio. Dunque le lontre non evitano le spiagge contaminate, e entrano in contatto con gli idrocarburi residui.

In definitiva, a 20 anni e oltre di distanza dal disastro della Exxon Valdez, le lontre di quell'area sono potenzialmente esposte al contatto con gli olii fuoriusciti dalla nave, e rimasti in ambiente. Inoltre, in accordo con il comportamento di alimentazione di questi animali, la maggiore probabilità di venire a contatto con gli olii si ha in tarda primavera - inizio estate, quando la gran parte delle femmine adulte dà alla luce i piccoli. Questi sono dunque esposti ad alti livelli di rischio. I ricercatori concludono dunque che vanno riconsiderati i tempi in cui si suppone che le specie, almeno alcune, siano sottoposte a potenziale rischio, dopo un disastro ambientale che coinvolge gravi perdite di idrocarburi.

Per la cronaca, la Exxon Valdez è tuttora in attività, ha solo cambiato nome in Sea River Mediterranean. Le è però proibito entrare nel Price William Sound.

Bibliografia:
Bodkin J.L.,Ballachey B.E., Coletti H.A., Esslinger G.G., Kloecker K.A., Rice S.D, Reed J.A., Monson D.H. 2012
Long-term effects of the ‘Exxon Valdez’ oil spill: sea otter foraging in the intertidal as a pathway of exposure to lingering oil
MEPS 447:273-287 (2012) - doi:10.3354/meps09523

Questo articolo è stato pubblicato anche su 


Nessun commento:

Posta un commento

Lascia un commento